Il meccanismo Ue che farà fallire migliaia di aziende
Il primo gennaio entreranno in vigore regole europee più stringenti sui pagamenti arretrati, che prevedono l’automatico fallimento di persone e aziende anche con debiti modesti: basta un debito arretrato di 90 giorni superiore all’1% dell’esposizione totale verso l’istituto di credito, anche se di soli 100 euro (500 per le aziende), per essere insolventi. In pericolo almeno 42.000 attività e imprese.
E’ un’emergenza nell’emergenza. Mentre nella legge di bilancio che si avvia verso l’esame parlamentare sono previsti una catena di sussidi improduttivi, migliaia di cittadini e di imprese sono a rischio default nel nostro Paese. Non solo perché la curva dei consumi si è abbassata drasticamente, in parallelo con il crollo della fiducia nel futuro, ma anche perché il primo gennaio entreranno in vigore regole europee più stringenti sui pagamenti arretrati, che prevedono l’automatico fallimento di persone e aziende anche con debiti modesti.
L’allarme lo ha lanciato nei giorni scorsi, in un’intervista al Quotidiano Nazionale, il Presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi), Antonio Patuelli, ricordando che con l’arrivo del 2021 scatta un concetto più tassativo di fallimento delle imprese: cade in default chi ha un debito arretrato di 90 giorni superiore all’1% dell’esposizione totale verso l’istituto di credito, anche se di soli 100 euro. Se si tratta di aziende, il limite sale a 500 euro, che è in ogni caso una cifra davvero esigua. In altre parole, se un cittadino è in ritardo nel rimborsare alla banca un debito anche minimo per un periodo superiore a 3 mesi, viene dichiarato insolvente, con tutto ciò che ne consegue.
E’ un meccanismo micidiale che andrà a ingrossare l’esercito dei cattivi pagatori e strangolerà l’economia perché le banche saranno ancora più rigide nell’erogazione dei prestiti. Bisogna dunque intervenire al più presto dilatando il periodo necessario per dichiarare l’insolvenza (tre mesi sono pochi) e alzando la soglia minima per dichiarare fallimento (con debiti rilevanti ha senso, ma per importi minimi sarebbe raccomandata elasticità, tanto più in una fase come questa). E’ una decisione che può prendere solo l’Unione Europea, ma certamente la moral suasion degli Stati come l’Italia può incidere sulle possibilità di compiere modifiche e di eliminare sulla testa di cittadini e imprese questa vera e propria spada di Damocle.
Confesercenti ha diffuso una stima sui rischi che corre il sistema produttivo italiano qualora quelle norme europee entrassero in vigore. Sarebbero in pericolo almeno 42.000 piccole attività del commercio, dell’artigianato, dell’industria e dei servizi, che pur di non fallire potrebbero vedersi costrette a ricorrere a finanziamenti illegali. L’impennata del volume di affari degli usurai e delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto produttivo è dietro l’angolo.
I finanziamenti alle piccole e medie imprese diventano oggi più che mai il volano della ripartenza e, per converso, gli ostacoli all’accesso alla liquidità da parte loro preparano la strada a migliaia di situazioni drammatiche, con relativi effetti devastanti su produzione e occupazione.
Nella classifica europea stilata dall’European Banking Authority (EBA), l’Italia ha la percentuale più alta di indebitamento delle piccole e medie imprese (39%) dopo il Portogallo (44%). Gli altri Stati raggiungono livelli meno allarmanti: Irlanda (16%), Francia (27%), Spagna (28%) e la media europea è comunque del 28%. Per quanto riguarda inoltre la categoria delle grandi aziende, quelle italiane sono le più indebitate (34%), contro una media europea del 29%. Le criticità italiane potrebbero determinare una situazione di massiccia sofferenza del nostro sistema industriale qualora l’Ue non intervenisse prendendo atto dell’attuale congiuntura dovuta alla pandemia.
Dunque si apre un nuovo fronte negoziale con Bruxelles dopo quello, assai intricato e dalle prospettive incerte, sul Recovery Fund. I veti di Ungheria e Polonia, uniti allo scetticismo di qualche altra nazione, potrebbero mettere in discussione gli aiuti europei e compromettere la ricostruzione post Covid, in particolare quella di Stati come l’Italia che continuano ad indebitarsi in modo preoccupante, confidando nel paracadute dell’Ue. In ogni caso le nubi si addensano all’orizzonte perché sia Enrico Letta che David Sassoli (Presidente del Parlamento europeo) hanno messo in guardia l’Italia dal chiedere i soldi del Mes, in considerazione delle condizionalità, che sarebbero penalizzanti e pericolose per il nostro Paese. Pertanto non rimane davvero che confidare nella benevolenza dei nostri partner europei.
Anche perché le ultime stime sulla qualità della vita degli italiani documentano un crollo dei consumi dovuto non solo alle chiusure delle attività commerciali e alla paura del covid, ma anche e soprattutto alla mancanza di fiducia nella ripresa socio-economica a causa dei prolungati lockdown. Molti hanno paura di spendere perché non sanno se fra qualche mese avranno un lavoro e potranno far fronte alle incombenze personali e famigliari. I risparmi crescono ma rischiano di alimentare solo i cattivi pensieri del Governo rispetto all’ipotesi di tassarli con la patrimoniale. Sarebbe quello il definitivo punto di rottura del patto tra cittadini e governanti, già profondamente incrinato a causa di provvedimenti discutibili e comunque non condivisi da tanti milioni di italiani.