Il grillo croccante manda in crisi il menu conformista
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Qualcosa non torna nel curioso paradosso di quel mondo progressista (ecologista, antispecista, ecc.) che protegge polli e agnelli ma propone di mangiare insetti: animalismo a giorni alterni? È la nuova bandiera del sedicente "uomo nuovo" per vantare anche a tavola la propria presunta superiorità rispetto al commensale "retrogrado" che rifiuta il paradigma del momento.
Poiché va di moda riscrivere le fiabe secondo le tendenze politically correct del momento, non è da escludere una nuova versione de Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi. Nel nostro caso andrebbe aggiornata la tragica scena in cui il burattino colpisce con un martello il Grillo Parlante: com’è noto, voleva solo metterlo a tacere (ovvero mettere a tacere la sua coscienza), non colpirlo, né tantomeno ucciderlo. «Ma disgraziatamente lo colse per l’appunto nel capo» e l’insetto «ebbe appena il fiato di fare "crì crì crì" , e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete». Fin qui l’originale di Collodi.
A questo punto Pinocchio, che è un burattino moderno, ecosostenibile e attento agli sprechi (pare sia fatto persino di legno riciclato), cosa fa? La soluzione più banale sarebbe quella di buttare i miseri resti dell’insetto nella raccolta dell’organico. Ma la nuova moda dell’entomofagia apre un ventaglio di possibilità decisamente più… squisite, che fino a tempi recenti erano ostacolate da vecchi tabù che impedivano di gustare appieno il “sapore della modernità”, come spiegava su queste pagine Roberto Marchesini. Dunque, Pinocchio può sbriciolare il grillo per farne della farina o la base di un hamburger. Essendo, però, un solo esemplare, se ne può fare anche uno snack veloce, in un sol boccone, a mo’ di finger food, senza neanche perdere tempo a friggerlo (per quanto appaia suggestivo tramutare il Grillo Parlante in Grillo Croccante). Peccato che Pinocchio non avesse un tale spirito imprenditoriale da prendere… il grillo al balzo e farne un allevamento intensivo, che gli avrebbe fruttato molti più zecchini di quelli subdolamente promessi dal Gatto e dalla Volpe: un business tale da garantire a Mastro Geppetto una vecchiaia tranquilla e priva di eco-rimorsi, visto il bassissimo impatto ambientale.
Qualcosa però non torna nel curioso paradosso per cui l’entomofagia sembra divenuta una bandiera di quel mondo progressista che pur si vanta di di ecologismi, ambientalismi, animalismi, antispecismi, e tutti gli -ismi che ornano il miglior curriculum dell’«uomo nuovo», «da un po' di tempo ambientalista», ovvero Il conformista cantato da Giorgio Gaber. Ricordate? «Sono progressista / Al tempo stesso liberista antirazzista / E sono molto buono, sono animalista». Gli stessi che a Pasqua vorrebbero istillarci sensi di colpa se mangiamo l’agnello, che protestano per le condizioni di bovini, suini e pollame avviati al macello, nonché per le emissioni prodotte dagli allevamenti, sembrano stranamente silenti di fronte all’annunciata strage di grilli e cavallette, meno visibili di galline, vacche e maiali, ma purtroppo per loro meno inquinanti: «Se si guarda ai dati relativi alle emissioni di gas serra e consumo di acqua necessari all’allevamento di insetti, ci si può fare una idea di come il loro consumo alimentare possa contribuire ad uno sviluppo sostenibile», afferma la Fondazione Veronesi con l’obiettivo dichiarato di «cercare di sfatare tutti i miti e gli stereotipi sull’alimentazione a base di insetti».
Insomma, prima ci invitano a ridurre e/o eliminare il consumo di carne per evitare sofferenze animali. Ora invece ci bombardano invitandoci a nutrirci di animaletti ancora più piccoli e indifesi. Dunque, la sostenibilità vince sull’animalismo. Ma non solo. Proviamo a immaginare il contrario: se invece degli insetti risultassero più “sostenibili” gli allevamenti di bovini e suini, difficilmente in questo caso ci inviterebbero a consumare carne. Tornerebbe a prevalere la lotta alla sofferenza animale rispetto alla sostenibilità, purché l’animale in questione sia sufficientemente grande e visibile. Del resto, se il problema fosse davvero questo, l’animalista puro dovrebbe evitare di muoversi pensando agli innumerevoli esserini che incautamente calpestiamo senza accorgercene, per non parlare dei mezzi di locomozione: un’ecatombe quantificata da Focus in 675 milioni di insetti al giorno che muoiono spiaccicati sui parabrezza delle auto e sui finestrini dei treni. Stai a vedere che anche gli “antispecisti” in fondo sono specisti.
È dunque ora che qualcuno prenda la penna o la tastiera in difesa delle nuove vittime sacrificali del pensiero radical-chic (o forse radical-gourmet?). Chissà, un redivivo Pascoli che invece della «cavallina storna» canti la «cavalletta storna». Come osservava Marchesini nell’articolo citato, in fondo più che la sostenibilità o la tutela degli insetti, l’obiettivo è infrangere i tabu in nome della propria sconfinata “apertura mentale”, la stessa che porta “l’uomo nuovo” a schernire castelli e cattedrali e poi inchinarsi ossequioso davanti agli intrugli di qualche sciamano dall’altro capo del mondo (si sa che per il radical-chic tutte le culture meritano rispetto, purché siano quelle degli altri). La stessa apertura mentale che si richiude poi ermeticamente quando si trova davanti all’inconcepibile e sacrilego rifiuto di ciò che è nuovo (o riciclato). Anche lui, infatti, ha i suoi tabù da rispettare.
Ed ecco il radical-chic farsi prima missionario e poi via via inquisitore (cioè le stesse cose che rimprovera a noialtri), partendo inizialmente da toni soft per poi perdere le staffe: “Ma ci sono altre culture che si nutrono di insetti” – “Se è per questo anche il Battista si nutriva di locuste, ma si trovava nel deserto, non proprio in condizioni ottimali...” – “In realtà il tuo è un pregiudizio culturale, non sai che gli insetti sono artropodi proprio come i crostacei?” – “Anche il ratto è un mammifero come il vitello, ma lo lascio mangiare a te...”. Generalmente è a questo punto che il radical-chic esplode (del resto, citando ancora Gaber, è un «areostato evoluto che è gonfiato dall'informazione») e spara una variegata gamma di epiteti che vanno da “arretrato” a “talebano”. In fondo ha raggiunto il suo obiettivo: proclamare anche a tavola la propria vantata (e presunta) superiorità morale e al contempo indicare il nemico, il passatista, chiunque rifiuti il paradigma del momento, che a sua volta sarà superato dai paradigmi di domani.