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Insetti a colazione, il sapore della modernità

Da Bruxelles un nuovo invito a cambiare abitudini alimentari, includendo gli insetti nella dieta. Perché? Chi dice per salvare l'ambiente, chi per combattere la fame nel mondo. Ma c'è una spiegazione più convincente: la rottura di un tabù, per portare la gnosi direttamente a tavola.

Editoriali 20_01_2023

L’Unione Europea, questa volta, ci chiede di mangiare insetti. Una dopo l’altra, sta autorizzando la commercializzazione di varie specie di insetti per l’alimentazione dei cittadini del vecchio continente. Ovviamente, i media nazionali sono stati attivati e non fanno che parlare di questo, coinvolgendo chef stellati, «scienziati» e diversi testimonial: i cittadini europei devono considerare normale (anzi: «figo») mangiare insetti; retrogrado l’essere scettici o, addirittura contrari a questa pratica. All’unisono, ad esempio, diverse testate hanno cominciato a propalare l’idea che «Già mangiamo insetti senza saperlo», quindi… che problema c’è? Ed ecco aperta una nuova "finestra di Overton".

Ma perché dovremmo «cambiare il nostro stile di vita» (cosa che, abbiam giurato, non avremmo fatto nemmeno sotto attacco dei kamikaze islamici) e mangiare qualcosa che non rientra nelle nostre abitudini alimentari, suscita un certo ribrezzo e più di qualche dubbio sulla salubrità? La spiegazione ufficiale è questa: «I sistemi alimentari non possono essere resilienti a crisi come la pandemia di COVID-19 se non sono sostenibili. Dobbiamo riprogettare i nostri sistemi alimentari che oggi rappresentano quasi un terzo delle emissioni globali di gas serra, consumano grandi quantità di risorse naturali, comportano la perdita di biodiversità e impatti negativi sulla salute (dovuti sia alla sottonutrizione che alla sovranutrizione) e non consentono ritorni economici e mezzi di sussistenza equi per tutti gli attori, in particolare per i produttori primari».

Ovviamente, serve a salvare l’ambiente. Qualcuno sosteneva che mangiare insetti servisse a combattere la fame nel mondo. Qualcuno, un po' più malizioso, sostiene che sia un modo che l’élite ha escogitato per marcare la differenza di status: il popolo, gli «inutili mangiatori», come ci ha definiti l’intellettuale Yuval Noah Harari, mangino insetti; i vip, impegnati a salvare il mondo, si sostentino con cibi raffinati e succulenti. Sarebbe, per farla breve, un modo per umiliare chi non appartiene all’élite.

Devo dire, francamente, che nessuna di queste spiegazioni mi convince. C’è, piuttosto, un’altra spiegazione che mi ronza nella testa. L’idea è questa: promuovere l’alimentazione insettivora per infrangere un tabù (alimentare e culturale). Questo è l’obiettivo dell’arte moderna: infrangere tabù estetici e culturali. Ad esempio, nel 2014 i curatori della mostra milanese intitolata Reality Hacking, che hanno commentato la decisione di esporre una «scultura» (un fallo di legno alto quattro metri e pesante una tonnellata) dello svizzero Peter Regli con queste parole: «[...] queste azioni combinano abilità tecnica, intuizione e intelligenza critica per scardinare la percezione di un sistema specifico, di un ordine visivo e concettuale precostituito». Ancora: nell’ottobre dello stesso anno, in piazza Vendome a Parigi, è stata esposta un’opera dello scultore Paul McCarthy: un gigantesco albero di Natale/sex-toy. Alle polemiche che l’oggetto ha suscitato, la Direttrice Artistica della Fiera d’Arte Contemporanea Jennifer Flay, che ha organizzato l’installazione, ha risposto con queste parole: «È chiaro che quest’opera è controversa, che gioca sull’ambiguità tra un albero di Natale e un sex toy: non è una sorpresa né un segreto. Ma non c’è alcuna offesa al pubblico ed è abbastanza ambigua per non sconcertare i minori. Del resto ho ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie, dalla Prefettura, al municipio, fino al ministero della Cultura. A cosa serve l’arte se non per scuotere, porre delle domande, evidenziare le falle di una società?» (cfr. Roberto Marchesini, La Rivoluzione nell’arte, D’Ettoris, Crotone 2016). Credo che lo stesso shock, lo stesso scardinamento, scuotimento morale e culturale sia l’obiettivo della pensata UE.

Perché? È presto detto: gnosi. Secondo lo studioso Robert Grant, la gnosi nacque tra il popolo ebreo dopo la distruzione del tempio:

I servizi del tempio erano finiti; che dovevano fare i sacerdoti e i leviti? Col tempio distrutto, come potevano i pii farisei continuare ad ubbidire alla legge di Mosè? Col fallimento della visione apocalittica, come poteva questa essere conservata dagli esseni o dagli zeloti? La legge e i profeti rimanevano, ma come potevano ormai essere interpretati?

Gli antichi miti, con i quali gli ebrei erano entrati in contatto nei secoli precedenti e dei quali si era mantenuta la memoria, fornirono una sconvolgente spiegazione: Yahweh non era un dio buono, che proteggeva e tutelava gli ebrei come figli prediletti. Egli era piuttosto un dio malvagio, ingannatore (il demiurgo platonico), che li aveva abbandonati in mano agli invasori dopo averli lusingati con vane promesse. Se la legge divina era un inganno, essa poteva essere infranta senza peccato da chi era «illuminato» dalla conoscenza di questi misteriosi segreti. Anzi: la legge doveva essere infranta, perché era la legge di un dio malvagio e bugiardo. Ciò che è bene è in realtà male, e viceversa. Tutto deve essere rovesciato, valori e norme morali comprese. Attraverso il peccato, l’infrazione di tabù, ci si purifica.

Per qualche secolo, la gnosi restò un fenomeno carsico, emergendo qua e là (specialmente in Europa centrale) sotto forma di movimenti ereticali ebraici (Shabbatai Zevi e Jakob Frank) o cristiani (Catari); emergendo definitivamente nel XVI secolo per imporsi, lentamente, come filosofia dominante. Ora assistiamo al suo trionfo. La chiamiamo «modernità».
Che aggiungere? Buon appetito!