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Il giudice libera Tafida, ma la battaglia non è finita

Si dovrà continuare a garantire il supporto vitale a Tafida Raqeeb e consentire il trasferimento al Gaslini o ad altro ospedale. La decisione del giudice MacDonald spezza la serie nefasta di sentenze che aveva portato all’uccisione di Charlie, Isaiah e Alfie, e dà sollievo ai genitori. AGGIORNAMENTO: Intanto, stamattina, spazzato via l'ultimo rischio legale: il National Health Service ha annunciato che non farà ricorso. Tafida può venire in Italia.
- L'INTERVISTA ALLA MAMMA: "DIFENDERE I BIMBI DISABILI" II ENGLISH VERSION

Vita e bioetica 04_10_2019

AGGIORNAMENTO (11:15): Il Barts - il trust sanitario che ricomprende il Royal London Hospital, ospedale dove è in cura Tafida - ha annunciato con un comunicato che non farà ricorso contro la decisione dell'Alta Corte. Non ci sono quindi più ostacoli legali per il trasferimento della bambina in Italia.

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Mamma Shelina l’aveva detto qualche giorno fa in un’intervista alla Nuova Bussola: «Tafida scriverà la storia del Regno Unito». Non possiamo sapere come andrà a finire, ma la sentenza comunicata ieri dall’Alta Corte un pezzetto di storia lo rappresenta: a Tafida Raqeeb, la bambina inglese di 5 anni in una condizione di minima coscienza, si dovrà continuare a garantire il supporto vitale e non può essere impedito il suo trasferimento in un altro ospedale, in particolare al Gaslini di Genova, che d’accordo con la famiglia si è offerto di accogliere la piccola.

Così ha deciso il giudice Alistair MacDonald, interrompendo quindi la nefasta serie di sentenze del sistema giudiziario britannico, che negli ultimi due anni, con la complicità della Corte europea dei diritti dell’uomo e combattendo contro la stessa volontà dei genitori di proseguire le cure, hanno decretato la condanna a morte dei piccoli Charlie Gard, Isaiah Haastrup e Alfie Evans. Il verdetto non era per nulla scontato, poiché nel gennaio 2018 MacDonald aveva già dato il via libera, sempre in primo grado, all’uccisione di Isaiah, poi morto soffocato dopo quasi otto ore di agonia.

È del tutto comprensibile, dunque, lo stato d’animo dei genitori, che hanno fatto fatica a trattenere le lacrime. Di gioia. Fuori dal tribunale, papà Mohammed si è detto «emozionato per la sentenza» e l’avvocato David Lock ha parlato di un «enorme sollievo» per la coppia, decisa a «procedere con il trasferimento».

Va tuttavia aggiunto che la battaglia non è ancora finita. Il trust sanitario che ricomprende il Royal London Hospital ha infatti 21 giorni di tempo per presentare appello contro la sentenza. E secondo quanto riferisce Citizen Go, associazione pro vita che sta offrendo sostegno alla famiglia, già oggi il trust dovrebbe depositare il suo ricorso: se verrà accolto, il trasferimento in Italia della bambina verrà bloccato, e si dovrà attendere la sentenza di secondo grado.

La speranza è che il ricorso venga respinto sulla base del quadro delineato da MacDonald nelle 70 pagine della sua sentenza, salutata dal Daily Mail come «una sensazionale vittoria» della famiglia, visti i precedenti già ricordati. Andiamo alla sentenza, per ora concentrandoci necessariamente solo su alcuni dei punti principali.

Riguardo ai precedenti, in relazione alla domanda di Katie Gollop (legale del trust) su quale indirizzo seguire quando sono chiamati in causa i diritti del bambino sanciti dall’Unione Europea, il giudice ha chiarito nelle sue conclusioni che «ogni caso dovrà essere deciso sulla base dei suoi fatti». In sostanza, Tafida rappresenta un caso a sé e, di conseguenza, per future vicende simili il National Health Service dovrà agire sempre sulla base del «miglior interesse del bambino». E su questa stessa base, dice ancora MacDonald, il giudice dirimerà di volta in volta i vari contrasti. Rimane perciò invariato il pericolo che il concetto del «miglior interesse» venga in futuro applicato arbitrariamente, a danno delle vite più fragili, sulla base di una visione efficientistica dell’uomo che è presente in questa stessa sentenza, malgrado il suo esito diverso.

Venendo al punto specifico che riguarda più direttamente Tafida, l’Alta Corte ha stabilito che «il trust dell’NHS o l’Ospedale Gaslini (o un altro ospedale) dovranno continuare a fornire a Tafida il sostegno vitale». E ha aggiunto che «riguardo alla cura all’Ospedale Gaslini […] non c’è adesso nessuna manifesta giustificazione per interferire con il diritto di Tafida - all’art. 56 - di essere curata in un altro Stato membro dell’UE», secondo appunto l’articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, che riguarda la libera prestazione di servizi per i cittadini dell’area comunitaria. MacDonald ha inoltre scritto che al caso di Tafida si applicano l’articolo 2 (diritto alla vita), l’art. 8 (rispetto della vita privata e familiare) e l’art. 9 (libertà di pensiero, coscienza e religione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Riguardo a quest’ultimo punto, la libertà di religione, vale la pena ricordare che tra famiglia e National Health Service la battaglia era iniziata già alcuni giorni prima dell’udienza di settembre. Già allora MacDonald aveva fatto sperare in un esito diverso per Tafida, quando aveva respinto la spregiudicata mossa di Katie Gollop, che aveva cercato di scippare ai familiari la rappresentanza legale della bambina, sostenendo che la fede islamica della famiglia la rendesse inadatta a tutelarne gli interessi. La mossa era arrivata dopo la fatwa (in senso proprio, un parere giuridico) richiesta dalla famiglia al Consiglio Islamico d’Europa, che aveva stabilito che per chiunque sarebbe stato un «grave peccato» e «assolutamente inammissibile» rimuovere il supporto vitale.

Poi, nel corso dell’udienza vera e propria, la famiglia aveva sottolineato che Tafida fosse già, prima dell’emorragia cerebrale del 9 febbraio, una musulmana praticante e che credeva nella sacralità della vita. La Gollop aveva cercato sottilmente di depotenziare questo argomento, dicendo che la bambina non è in grado di decidere e che comunque la decisione di porre fine alla sua vita parte da un’iniziativa dell’ospedale, dunque né Tafida né la famiglia avrebbero violato i precetti islamici nel caso di un’autorizzazione del giudice al distacco del ventilatore e, per tale ragione, non si poteva ritenere che venisse violato l’articolo 9 sul rispetto della libertà religiosa. Un ragionamento evidentemente sulfureo. Grazie al cielo, stavolta il giudice lo ha rigettato.

Altri aspetti sottolineati da MacDonald nella sentenza - e su cui avevano puntato forte gli avvocati della famiglia - sono il consenso medico sui 10-20 anni di vita che rimarrebbero ancora a Tafida, se curata, e il fatto di non provare dolore. Con la tracheostomia, fin qui negatale dal servizio sanitario britannico e che il Gaslini potrebbe invece praticarle, Tafida potrebbe continuare anche a essere curata a casa «da un’amorevole e premurosa famiglia nello stesso modo in cui sono curati diversi bambini in una situazione simile a quella di Tafida in questa giurisdizione».

In attesa del ricorso, si può intanto tirare un sospiro di sollievo e ringraziare Dio. Ma non si può dimenticare che siamo immersi in un contesto valoriale drammatico, stante l’assurdità di dover condurre una battaglia legale - come già per Charlie, Alfie e Isaiah nonché per Vincent Lambert in Francia - per vedersi riconosciuta la libertà di curare una persona disabile.