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LA RELAZIONE ANNUALE

Il folle pressing della Consulta per estendere l’eutanasia

Il presidente della Corte costituzionale, Giorgio Lattanzi, ha sollecitato il Parlamento a intervenire con una legge in tema di aiuto al suicidio, ricordando la “scadenza” di settembre. Il suo discorso è la conferma che la Consulta non ritiene più l’aiuto al suicidio un reato sempre e comunque, e vuole che il Parlamento estenda le maglie dell’eutanasia, già introdotta di fatto dalla legge sulle Dat. E se il Parlamento non obbedisse? Non è escluso che la Consulta decida di procedere in autonomia.

- E INTANTO IL MINISTERO STUDIA TAGLI ALLE CURE PER MIGLIAIA DI MALATI di Ermes Dovico

Vita e bioetica 23_03_2019

Come i lettori ricorderanno, il processo a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e accusato di aver aiutato Dj Fabo a morire in Svizzera, è attualmente sospeso. Infatti i giudici, in merito al reato di aiuto al suicidio ex articolo 580 del Codice penale, avevano sollevato eccezione di incostituzionalità presso la Corte costituzionale. Quest’ultima, nell’ottobre scorso, da una parte non aveva deciso di abrogare né in toto né in parte l’articolo 580, ma su altro fronte aveva chiesto al Parlamento di legittimare l’aiuto al suicidio in alcuni casi entro settembre di quest’anno. Una volta che sarà varata la nuova disciplina, la Consulta si potrà esprimere sul reato di aiuto al suicidio (clicca qui).

In sintesi potremmo dire che la Consulta ha intuito che l’aiuto al suicidio non può più essere considerato come reato sempre, ma prima di decidere con certezza, formalmente e in modo definitivo aspetta che il legislatore ci metta mano. Il presidente della Corte, Giorgio Lattanzi, nella relazione annuale esposta lo scorso 21 marzo in conferenza stampa, per qualificare questo inedito modo di procedere intuizionista della Consulta, ha coniato l’espressione giuridica “incostituzionalità prospettata”. Lattanzi è conscio di inserire un nuovo istituto in dottrina e quindi stempera l’espressione abbellendola anche lui con due paia di virgolette. In breve: pare incostituzionale, ma prima di pronunciarci facciamo lavorare il Parlamento. In realtà l’incostituzionalità del reato dell’aiuto al suicidio è gia stata dichiarata dalla Consulta, altrimenti avrebbe dichiarato inammissibile il ricorso e non avrebbe chiesto al Parlamento di intervenire. I giudici della Corte costituzionale attendono solo di pronunciarsi in modo definitivo quando tutti i particolari saranno messi a fuoco dalle due Camere.

I mesi sono passati e pare che le commissioni parlamentari abbiano dedicato solo una manciata di ore alla revisione dell’art. 580 cp. A dare la sveglia al Parlamento ci ha pensato appunto il presidente della Corte costituzionale, il quale, nella già citata relazione annuale, ha ricordato ai parlamentari che sul tema dell’aiuto al suicidio non hanno ancora fatto i compiti a casa e il tempo sta per scadere. Lattanzi ha rammentato che “la Corte ha ravvisato la criticità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui incrimina chi agevola il suicidio del malato irreversibile e sofferente che, liberamente e consapevolmente, rifiuta cure mediche, necessarie alla sopravvivenza, contrarie al suo senso di dignità. Al contempo però ha considerato che la regolamentazione delle condizioni e dei modi di esercizio del diritto a sottrarsi in modo definitivo alla terapia con l’aiuto materiale di terze persone fosse da un lato costituzionalmente necessaria, e dall’altro esorbitante dal campo decisorio della Corte, e invece di pertinenza del legislatore. Perciò, al fine di adempiere al dovere di eliminare disposizioni incostituzionali preservando la discrezionalità legislativa, la Corte ha rinviato la trattazione della questione di circa un anno, nel contempo offrendo ampia motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto profilarsi l’incostituzionalità della norma impugnata. […] Con l’ordinanza Cappato la Corte ha inteso evidentemente riconoscere il primato delle Camere nel definire dettagliatamente la regolamentazione della fattispecie in questione” (p. 13).

Il presidente della Consulta ha esplicitato quanto annotavamo a ottobre su queste colonne: la Corte ha ritenuto che aiutare una persona a morire non può più essere considerato reato sempre e comunque. Ecco che dunque l’aiuto al suicidio non cozza più con i principi costituzionali. E questo poteva essere affermato solo dalla Consulta. Poi, però, distinguere i casi specifici ed individuare i percorsi giuridici concreti per aiutare una persona a togliersi la vita sono compiti propri del Parlamento. Non è competenza della Consulta entrare così tanto nel fino.

Il passaggio prima citato ci fa comprendere che, come avevamo già evidenziato, la Consulta non ha fatto altro che estendere la ratio della legge 219/2017, la legge sulle Dat, anche all’ipotesi dell’aiuto al suicidio. Infatti, tale legge già legittima l’eutanasia, ma permette di praticarla solo attraverso il rifiuto di terapie salvavita/mezzi di sostentamento vitali da iniziare o già in essere. Tali metodiche escludono una platea di persone che non vivono grazie a terapie salvavita e che non dipendono per la sopravvivenza da alimentazione, idratazione e ventilazione assistita. Ad esempio, un depresso grave come potrebbe decidere di farla finita? Ecco che dunque l’aiuto al suicidio è la soluzione adatta per costoro. E dunque sarebbe parso contraddittorio legittimare alcuni strumenti di morte e non altri. Una conferma al fatto che la Consulta ha applicato la ratio della legge 219 viene proprio da un passaggio della relazione citata in cui Lattanzi fa riferimento alla figura del malato. Infatti, la legge sulle Dat permette l’eutanasia solo sui pazienti. Quindi, ci dice la Consulta e lo dice anche al Parlamento: sì all’aiuto al suicidio nelle corsie di ospedale, no all’infuori di esse (come accade nell’aborto, almeno prima dell’avvento delle pillole abortive).

La relazione di Lattanzi fin qui non aggiunge sostanzialmente nulla di nuovo al quadro che già conoscevamo. La vera novità, di carattere politico oseremmo dire, invece la troviamo in quest’altro passaggio: “Confido fortemente che il Parlamento dia seguito a questa nuova forma di collaborazione, nel processo di attuazione della Costituzione, e non perda l’occasione di esercitare lo spazio di sovranità che gli compete. Il successo della tecnica dell’ordinanza di ‘incostituzionalità prospettata’ sarebbe anzitutto un successo per la funzione rappresentativa del legislatore, che andrebbe perduto se tale funzione non fosse in concreto esercitata” (pp. 13-14). Interventismo è stato il termine più usato dai media per qualificare la scelta di Lattanzi di ricordare al Parlamento che la scadenza di settembre si avvicina. Le commissioni per ora fanno orecchie da mercante soprattutto perché, come è noto, almeno formalmente sulle questioni eticamente sensibili Lega e M5S hanno firmato un patto di non belligeranza.

Ma il dato più dolorosamente interessante di questo memo vergato dal presidente della Consulta è la volontà della Corte costituzionale di allargare ancor di più le maglie dell’eutanasia nel nostro Paese. Urge per la Consulta permettere ai suicidi di mettere a segno il loro tragico piano. Poco importa che chi voglia togliersi la vita già oggi de facto possa farlo. Ciò che importa è legittimare in modo pieno il suicidio, rendere indenne da sanzioni chi lo agevola e favorire l’aiuto al suicidio con norme apposite. E se il Parlamento non obbedisse? Non è escluso che la Consulta a settembre possa decidere di procedere in piena autonomia.