Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
CASO CAPPATO-DJ FABO

Consulta-Pilato, il suicidio assistito sarà presto realtà

Caso Dj Fabo: la Consulta non decide ma passa la patata bollente al Parlamento autorizzandolo a inserire nella legge sulle Dat anche alcuni casi di aiuto al suicidio. Una volta che le Camere avranno fatto questo lavoro sporco sarà agevole per la Corte Costituzionale mantenere il reato di aiuto al suicidio ad eccezione dei nuovi casi previsti. La platea dei candidati all’eutanasia si allargherà a depressi, annoiati dalla vita o disperati per un dolore esistenziale. In questo modo la Corte Costituzionale avrà così messo nelle loro mani una rivoltella per uccidersi.

Vita e bioetica 25_10_2018
Marco Cappato, Filomena Gallo e Mina Welby dopo la decisione della Corte

L’ultima puntata della saga giudiziaria di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione radicale Luca Coscioni che nel 2017 aveva accompagnato Dj Fabo nella clinica svizzera Dignitas dove praticano l’eutanasia, era andata in onda presso il Tribunale di Milano nel febbraio del 2018. Allora i giudici della Corte di assise lo avevano assolto dal reato di istigazione al suicidio. In merito al reato di aiuto al suicidio ex art 580 cp i giudici, sospendendo il processo, avevano sollevato eccezione di incostituzionalità presso la Corte costituzionale. Ieri la Consulta ha deciso. Anzi no. Anzi forse.

Partiamo dal comunicato stampa emesso dalla Consulta: “La Corte costituzionale ha rilevato che l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti. Per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina, la Corte ha deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale all’udienza del 24 settembre 2019”. In parole povere: prima il Parlamento legiferi sul fine vita e poi la Consulta deciderà se il reato di aiuto al suicidio è incostituzionale, in parte o in toto. Nel frattempo il processo a carico di Cappato rimane sospeso.

Alcune considerazioni. La prima. Una legge sul fine vita c’è già e non ha compiuto nemmeno un anno. Si chiama “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” del 22 dicembre 2017. In quella legge l’eutanasia, sia nella sua variante commissiva che omissiva, è legalizzata. Però per dare la morte a Tizio è prevista un’unica metodica: occorre che questi viva grazie a delle macchine - pensiamo alla nutrizione, idratazione e ventilazione assistita ad esempio - e dunque è necessario per ucciderlo staccarlo dalle stesse. Sono escluse come pratiche eutanasiche l’iniezione letale e l’aiuto al suicidio. Perciò è fondamentale per i sostenitori della dolce morte ampliare le possibilità per accedere all’eutanasia e così rendere legittimo l’aiuto al suicidio e in futuro anche l’iniezione letale. Infatti, ad esempio, il depresso come potrebbe mai morire dato che non è collegato a nessun presidio vitale da cui, staccandolo, potremmo ucciderlo?

A questi casi fa riferimento la Consulta allorchè afferma che “l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione”. Accettate le premesse erronee la conclusione dei giudici non fa una grinza: se chi è intubato può esercitare il diritto a morire –  la legge individua un vero e proprio diritto soggettivo a morire – perché negare questo stesso diritto ad altri soggetti che, per loro “sfortuna”, non sono attaccati a delle macchine da cui dipendono per vivere? Sarebbe discriminatorio. Se morire è un diritto, deve poter essere esercitato in tutte le sue forme: rinuncia di presidi vitali e consegna al paziente di un preparato letale che il paziente assumerà da sé: chiamasi aiuto al suicidio. Ecco quindi che la strategia dei radicali ha funzionato: Cappato si autodenuncia e così si va a processo. Grazie al processo si può chiedere, come hanno fatto gli avvocati di Cappato, che il reato di aiuto al suicidio sia passato al vaglio della Corte Costituzionale. Infine quest’ultima spinge la palla in rete.

Seconda riflessione. La Corte poteva benissimo dichiarare incostituzionale l’art. 580 cp, ma non lo ha fatto. Perché? Proviamo ad abbozzare una risposta. Partiamo da un duplice dato che è certo: alla Corte non piace che il reato di aiuto al suicidio scompaia, altrimenti avrebbero potuto abrogarlo. Ecco il riferimento dei giudici al bilanciamento tra il diritto a morire e alcuni beni costituzionalmente rilevanti. Parimenti ai membri della Consulta non piace l’attuale portata sanzionatoria di questo reato. Infatti, se la Corte avesse ritenuto l’art. 580 intoccabile, avrebbe potuto ritenere infondata o inammissibile la questione di legittimità, ma così non ha fatto, e inoltre non avrebbe chiesto al Parlamento di rivedere la disciplina sull’aiuto al suicidio.

La Corte molto probabilmente ha rilevato che, varata la legge sulle Dat di cui sopra, l’eccezione rappresentata dal reato all’aiuto al suicidio non poteva stare più in piedi: “l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione”. Legalizzata l’eutanasia, perché escludere la modalità dell’aiuto al suicidio per provocare la morte? Sarebbe apparso arbitrario. Di contro – e qui entriamo invece nel regno delle ipotesi – abrogare in tutto o in parte l’art. 580 cp sarebbe stato troppo avventato, perché forse la collettività non è ancora pronta per un tale passo. La soluzione allora è stata interlocutoria: passare la patata bollente al Parlamento. Indicando questa strada, i giudici vogliono che sia il legislatore ad inserire in qualche modo nell’attuale legge sulle Dat  l’aiuto al suicidio. Una volta che il Parlamento, entro un anno, avrà fatto questo lavoro sporco, e non potrà sottrarsi a tale compito, sarà agevole per la Consulta affermare che il reato di aiuto al suicidio rimane vigente ad eccezione dei casi e delle modalità previste dalla legge sulle Dat così come modificata dal Parlamento.

In breve la Consulta non ha toccato l’art. 580 perché, probabilmente, da una parte vorrebbe che l’aiuto al suicidio rimanesse reato per alcuni casi: il marito anziano che mette in mano alla moglie malata di Alzheimer del veleno perché lo beva. Casi che rientrano nei “beni costituzionalmente rilevanti”. E su altro versante vorrebbe che, nel rispetto della ratio della legge sulle Dat, l’aiuto al suicidio non solo fosse non sanzionabile, ma addirittura legittimato per altri casi: il medico fornisce al paziente terminale dopo il suo consenso un preparato letale misto a sedativi che sarà assunto dal paziente stesso in una struttura pubblica o convenzionata. In altre parole questi distinguo necessitano non dell’intervento della Consulta, bensì di quello del legislatore che disciplini con accuratezza e precisione quando e come l’aiuto al suicidio è legittimo. E’ per questo che i giudici hanno chiamato in causa il Parlamento.

Detto tutto ciò, la morale è amara: come previsto l’aiuto al suicidio diventerà, nei modi previsti dal Parlamento, legittimo. Questo farà sì che la platea dei candidati all’eutanasia si allargherà: non più solo i Welby, le Eluana e i Dj Fabo – non più solo i disabili gravi e le persone con gravi disturbi di coscienza – ma tutti coloro che depressi o solo annoiati dalla vita o disperati per un dolore esistenziale insopprimibile vorranno farla finita. In sintesi la Corte Costituzionale ha messo nelle loro mani una rivoltella per uccidersi.