Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL CONVEGNO DELLA BUSSOLA

Il fine del Sinodo modernista: la Chiesa come democrazia liberale

Quali categorie di pensiero sono alla base della nuova sinodalità? Evidenti gli influssi di esistenzialismo, marxismo ed hegelismo, a danno della metafisica. Il fine è insinuare nella Chiesa la democrazia liberale procedurale, che la DSC ha sempre condannato.

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Ecclesia 06_10_2023 English Español

Pubblichiamo di seguito l’intervento integrale (titolo originale: Il modernismo filosofico della nuova sinodalità) tenuto lunedì 3 ottobre da Stefano Fontana, al Convegno internazionale “La Babele sinodale”, organizzato dalla Nuova Bussola Quotidiana a Roma, presso il Teatro Ghione.

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In questo intervento cercherò di esaminare le principali categorie di pensiero che caratterizzano la nuova nozione di sinodalità. Lo farò utilizzando tre fonti: i documenti sul prossimo Sinodo, compreso il discorso di Francesco del 2015 in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, la prassi sinodale in questo pontificato, soprattutto il Sinodo sulla famiglia degli anni 2014-2015, e la principale letteratura teologica di appoggio1.

Come è stato scritto, «il sinodo cambia, la sinodalità resta»2, è quindi sul concetto di sinodalità che bisogna concentrarsi, dato che da essa dipenderà questo Sinodo e i prossimi sinodi. Anzi, da essa deriverà la stabilizzazione della prassi sinodale come permanente, un processo continuo. Acquista allora importanza considerare quali categorie di pensiero alimentino questa nozione. Tratterò in particolare tre argomenti: la nuova sinodalità come “tempo”, la nuova sinodalità come “prassi”, la nuova sinodalità come “procedura”.

1. La nuova sinodalità come “tempo”

La sinodalità viene ampiamente definita un “processo”. Quando la Commissione Teologica Internazionale ha cercato di descriverla3, ha utilizzato espressioni che indicano appunto un processo: «stile» di vita, «modo di vivere e operare», «processi e strutture», «eventi». La stessa cosa avviene da parte dei teologi: «camminare insieme», «riunirsi in assemblea», «ascolto reciproco», «dialogo», «discernimento comunitario», «creazione del consenso», «assunzione di una decisione»4.

Alla sinodalità come processo viene anche assegnato il compito di precisare la nozione stessa di sinodalità5. La sinodalità sarebbe un processo che alimenta una progressiva presa di coscienza nella Chiesa di cosa sia la sinodalità. Filosoficamente si dovrebbe dire che si tratta di un processo storico-dialettico, tipicamente hegeliano. La sinodalità non come qualcosa che ha una storia, ma come qualcosa che si fa nella storia. Sarà la storia della sinodalità o, meglio, la sinodalità come storia, a dirci cosa sia la sinodalità. Cosa essa sia lo diranno gli eventi. Questo comporta parlare della sinodalità come processo. Molti stanno cercando nella Scrittura, nella storia della Chiesa e in quella delle altre confessioni cristiane, spunti che possano costituire dei “precedenti” di nuova sinodalità6, ma si tratta appunto di spunti, non di definizioni, né, tantomeno, di dottrina. Una dottrina sulla sinodalità non esiste. Del resto, strettamente parlando, al Sinodo sulla sinodalità non viene chiesto di definire questa dottrina, ma di vivere un processo nei cui eventi si mostrerà la sinodalità come qualcosa che «si edifica strada facendo, ma a partire dalla base».7 Sta qui il carattere sovversivo della nuova sinodalità, il suo essere “senza forma”.8

Queste iniziali osservazioni ci dicono che una prima categoria di pensiero presente nella visione della nuova sinodalità è quella del tempo: la storicità. Manca un accostamento al tema di tipo metafisico. La sinodalità è detta un camminare, un mettersi in moto, un attraversare il tempo, un vitalismo… e gli eventi di questo camminare sono sia materiali che di coscienza nello stesso tempo, dato che, modernisticamente, la novità degli eventi fa tutt’uno con la novità delle acquisizioni della coscienza9. Il senso del camminare insieme non è dato fin dall’inizio e non è segnato dal fine da raggiungere, ma emerge nel tempo e dal tempo. Cosa la sinodalità sia non lo si saprà mai definitivamente, perché essa è costitutivamente processo vitale. Garrigou-Lagrange negli anni Quaranta del secolo scorso diceva che per la Nouvelle Théologie una teologia che non sia più attuale è da considerarsi una teologia falsa. Lo stesso possiamo dire per la nuova sinodalità: la vera sinodalità sarà quella di volta in volta attuale.

2. La sinodalità come “prassi”

Gli eventi di un processo nel tempo sono prassi. Alcune parole-chiave della nuova sinodalità, come ascoltare, integrare, condividere, non indicano contenuti ma atteggiamenti, azioni, ossia prassi. In questa prassi, l’agire delle singole persone convocate e l’agire della collettività convocata si congiungono in sintesi dialettica, il particolare e l’universale coincidono nel globale: un centinaio di persone, supposte cattoliche, costituiranno la nuova sinodalità. Il con-venire e il con-cordare sono di per sé stessi prassi producenti un significato. Sono evidenti, in questa gamma di concetti che ruotano attorno alla nozione di sinodalità, gli influssi dell’esistenzialismo, del marxismo, dell’hegelismo e, in generale, dello storicismo prassistico, soprattutto di una ermeneutica separata dalla metafisica. Tanto più la cosa risulta evidente (e preoccupante) se si considera che in questa sintesi di opinioni coagulatesi nel tempo si indica con sicumera la voce dello Spirito Santo, proprio come accade nel sistema hegeliano. Monsignor Mario Grech, segretario del Sinodo, ha scritto che il Sinodo ha l’obiettivo «di coinvolgere il più possibile tutte le battezzate e tutti i battezzati, così da ascoltare la loro voce e da riconoscere in essa e attraverso di essa la voce dello Spirito Santo».10 Poiché stiamo parlando di prassi non possiamo non notare il grande scontro tra due pretese: che nella prassi si manifesti la voce dello Spirito Santo e che tale prassi sia stata messa strumentalmente nelle mani «di un piccolo gruppo organizzatore»11 dalle idee omogenee e prestabilite.

Che la nuova sinodalità sia prassi risulta anche da altre due considerazioni. La prima riguarda lo stretto rapporto nel processo sinodale tra il metodo e il contenuto. Come ho già evidenziato sopra, si è deciso di cominciare a camminare anche se non si sa ancora bene, sul piano concettuale e dottrinale, cosa la sinodalità sia, quindi dove andare. Ecco, quindi, che il metodo e il contenuto coincidono. Il ritrovarsi, il parlarsi, il decidere insieme in una specie di brainstorming elitario sono già sinodalità in atto. Il metodo non è solo applicativo, ma è costitutivo della sinodalità. Il contenuto è immanente al metodo. Questo spiega anche perché la partecipazione al processo sinodale non possa avere limiti: tutti devono poter partecipare, anche gli atei o i nemici di Cristo. Se metodo e contenuto coincidono, l’atto del partecipare porta già con sé il suo senso contenutistico. La sinodalità non sarà più dei vescovi o di altre categorie interne alla Chiesa precisate di volta in volta dall’autorità ecclesiastica, ma sarà di chi vi partecipa, ciò avviene già secondo un metodo sinodale e quindi secondo un contenuto sinodale. La nuova sinodalità non sarà nemmeno più dei cristiani e, meno che meno, dei cattolici. Si tratterebbe di confinamenti che ancora pretendono che il contenuto stabilisca dei limiti al metodo, ma il modernismo filosofico e teologico pensa di aver stabilito da molto tempo e definitivamente che è vero il contrario, cioè che il metodo precede il contenuto. Per la modernità filosofica e teologica è il metodo – la prassi – a limitare il contenuto e non il contrario.

Vediamo ora la seconda considerazione sulla nuova sinodalità come prassi. Se osserviamo l’andamento dei recenti sinodi e, soprattutto, di quello sulla famiglia, dobbiamo prendere atto che i suoi effetti hanno soprattutto riguardato la prassi. Strettamente parlando, Amoris laetitia non ha stabilito: ha alluso, non ha escluso, ma non ha stabilito. Il cambiamento della dottrina tramite la nuova sinodalità non è affidato alla dottrina, ma alla prassi. A decidere è la prassi, quello che si fa. I vescovi della regione di Buenos Aires hanno fatto, e questo ha veramente contato, nel senso di stabilire cosa si deve fare. Quello che si fa coincide con quello che si deve fare, storicisticamente (e prassisticamente) l’essere e il dover essere sono la stessa cosa. Come non vedere in tutto ciò l’influenza dei filoni più classici del modernismo filosofico e teologico che la nuova nozione di sinodalità recepisce con grande fedeltà? Veramente la nuova sinodalità “viene da molto lontano”.12

3. La nuova sinodalità come “procedura”

Le categorie di “tempo” e di “prassi” immergono la nuova sinodalità nella storia. Diventa quindi obbligato assumere dalla storia e dal tempo presente alcune forme di prassi mondana. Se si tratta di tempo e di prassi, la Chiesa non può dimenticare di vivere in un certo tempo e di dover imparare da quel tempo forme di prassi ritenute utili anche per sé13. Alcune forme di queste prassi finalizzate a prendere decisioni rimandano al metodo democratico e, più precisamente, alla democrazia liberale procedurale. La letteratura sulla nuova sinodalità insiste molto nel sostenere che il modo di procedere della sinodalità non può venire equiparato a quello di un’assemblea parlamentare14. Però, qualcuno fa notare come si debba mettere in conto «almeno qualche analogia con quelli in atto nella società civile»15; «immaginare che la verifica del consesum fidelium non apra le porte a forme di democratizzazione della chiesa significa cadere in una forma di spiritualizzazione della vita ecclesiale e quindi impedire qualsiasi riforma che promuova la corresponsabilità»16. Se si vorrà decidere «non si potranno mettere da parte procedure mutuabili dall’esperienza delle società democratiche»17.

Se poi le decisioni dovessero ancora essere poste nelle mani del Papa e dovesse essere ancora lui a decidere, allora il riformismo della nuova sinodalità verrebbe compromesso, perché si metterebbe un tappo riparatore su quanto il tempo e la prassi avranno fatto emergere nella coscienza ecclesiale18. Una significativa apertura in questo senso è già stata realizzata riguardo al Sinodo sulla famiglia: nel documento finale sono state inserite anche posizioni rigettate a maggioranza dai padri sinodali e in Amoris Laetitia Francesco ha dichiarato di non voler dire altro di diverso dalle conclusioni del Sinodo19. È stato anche detto che, come nel passato la Chiesa aveva assunto al proprio interno lo schema politico monarchico, nulla vieterebbe ora di assumere quello democratico20, non tenendo conto che l’assunzione dello schema monarchico non era una semplice presa a prestito dalle istituzioni del tempo, ma rimandava al concetto teologico di “regalità”. Non c’è dubbio, quindi, che forme di prassi democratica di tipo mondano entreranno nelle procedure sinodali, vi entreranno obbligatoriamente data la dipendenza della procedura sinodale dalle prassi vigenti nel tempo attuale. Sempre a questo riguardo, è di particolare interesse notare che la forma di democrazia che viene presa in esame per confrontarla con le procedure decisionali della nuova sinodalità, anche per evidenziare la reciproca irriducibilità, è solo e sempre la democrazia liberale moderna procedurale.

Il confronto non viene fatto con la democrazia secondo Leone XIII, ma con la democrazia di Locke e Rousseau. Quando si sostiene la possibilità e la necessità di adottare procedure democratiche ci si riferisce senza ombra di dubbio alla democrazia procedurale, che la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre condannato. Sarà questa e non altre forme ad entrare stabilmente nelle procedure di formazione di una opinione pubblica ecclesiale fatta coincidere con la “voce” dello Spirito Santo.

Cenno conclusivo

La nuova sinodalità, considerata nelle categorie sue proprie di tempo, prassi e procedura, è il momento conclusivo di un lungo percorso che ha attraversato tutta la modernità. Il modernismo è stato un fenomeno eminentemente filosofico. L’idea di trasformare la Chiesa non dall’esterno ma dall’interno aveva anche questo significato: introdurre nella teologia categorie filosofiche che l’avrebbero rivoluzionata, in modo che fosse la teologia cattolica a deformare sé stessa. Non c’è dubbio che questo sia ampiamente accaduto e che la nozione di nuova sinodalità sia un coerente punto di arrivo di questo tentativo. A farla da padrona sarà l’ermeneutica esistenzialista e storicista, separata dalla metafisica: i contenuti della fede saranno quanto l’interpretazione avrà sedimentato nel tempo, un susseguirsi di interpretazioni condivise e sedimentate, frutto di una opinione pubblica ecclesiale nata nel dibattito sinodale, ma pur sempre solo interpretazioni.

 

1 Per una completa informazione di base sulla nuova sinodalità si veda: J. Loredo – José Antonio Ureta, Processo sinodale: un vaso di Pandora – 100 domande e 100 risposte, prefazione del cardinale Raymond Leo Burke, Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, Roma 2023.

2 G. Canobbio, Sulla sinodalità, “Teologia” 41 (2016) 2, p. 270.

3 Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018.

4 R. Repole, Sinodalità. Il contributo della teologia, “Teologia”, 46 (2021), p. 519.

5 È abbastanza generalizzata l’idea che il concetto di sinodalità non sia ancora definito e abbia bisogno di approfondimenti. Questo viene detto sia da posizioni teologiche che potremmo definire “caute” [cfr. M. de Salis, La sinodalità della Chiesa. Sensi e contorni di una espressione, in “Annales Theologici” 36 (2022) 2, pp. 283-316] e che intendono frenare derive eccessivamente progressiste, sia da posizioni invece più nuoviste allo scopo di accelerare il processo in atto.

6 Cfr. G. Canobbio, Sulla Sinodalità cit., pp. 249-273; Id., Tradizione e pratiche sinodali in Occidente, “Teologia”, 48 (2023) 1, pp. 15-62; U. Sartorio, Sinodalità. Per una chiesa in riforma, “Studia patavina”, 66 (2019) 2, pp. 279-292; A. Barbi, Discernere e deliberare insieme. Percorsi negli Atti degli Apostoli, “Studia Patavina”, LXVI (2019) 2, pp. 239-250. AA.VV., Riforma sinodale della Chiesa cattolica e dialogo ecumenico: una possibile e feconda convergenza, “Studia patavina”, 69 (2022) 2, pp. 207-242; AA.VV., La sinodalità della Chiesa, “Annales Theologici”, 36 (2022) 2.

7 S. M. Lanzetta, Un Sinodo che viene da molto lontano, “Fides Catholica”, 18 (2022) 1, p. 5.

8 P. De Marco, La démocratie dans l’Église. Réflexions sur le “chemin synodal” allemand, “Catholica”, n. 149, autunno 2020.

9 – Le nuove formule vitalistiche «devono essere e mantenersi adatte tanto alla fede quanto al credente» (S. Pio X, Pascendi Dominici gregis. Sugli errori del modernismo, Cantagalli, Siena 2007, p. 58).

10 M. Grech, Il popolo di Dio soggetto del percorso sinodale, “Teologia”, 48 (2023) 1, p. 4.

11 S. M. Lanzetta, Un sinodo che viene da molto lontano cit., p. 6.

12 Come suona il titolo del già ricordato lavoro di Serafino M. Lanzetta cit.

13 Cfr. G. Canobbio, Dal Sinodo alla sinodalità, “Studia Patavina”, LXIX (2022) 2, pp. 243-259, in specie le pp. 256-259.

14 M. A. Ferrari, Sinodalità e democrazia: punti di contatto e differenze, “Annales Theologici”, 36 (2022) 2, pp. 475-494.

15 G. Canobbio, Dal Sinodo alla sinodalità cit., p. 255.

16 Ivi, p. 256.

17 Ivi, p. 257.

18 «Ma alla fine, se tocca ancora a lui dire l’ultima parola, si rischia di preparare la strada a nuovi verticismi» (Ivi, p. 258).

19 Cfr. S. Fontana, Esortazione o rivoluzione? Tutti i problemi di Amoris laetitia, Fede & Cultura, Verona 2019.

20 «Le proposte di assimilare la Chiesa ad una democrazia sono speculari a quelle che la descrivevano come monarchia» (G. Canobbio, Sulla Sinodalità cit., p. 258); «In ogni caso i cristiani – che ne siano consapevoli o no – portano la mens democratica, di cui è permeata la società occidentale, al di dentro della Chiesa» (R. Repole, Sinodalità. Il contributo della teologia cit., p. 525).



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