Il don benedice le nozze civili "usando" Amoris Laetitia
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Domodossola. Il prete fa capolino in sala civica per benedire le nozze dell'amico sindaco e fa pregare il Padre Nostro. Al telefono con la Bussola si giustifica: «C'è stata Amoris Laetitia», che però non dice nulla a tal proposito. Ma ormai serve solo ad aprire processi e a stravolgere la dottrina.
Chiesa così tanto in uscita da essere fuori di testa. La scusa per qualunque tipo di novità, anche benedire gli anelli di un matrimonio civile, è sempre Amoris Laetitia. L’ultima tappa del declino è in Piemonte, precisamente a Domodossola dove la scorsa settimana è stata festa grande in città per le nozze del primo cittadino. Lui, Lucio Pizzi, ha sposato la sua storica compagna Rosalba Racco. Lei, però, era già stata sposata e quindi per la coppia si sono dovute aprire le porte della sala consigliare dove il sindaco, per una volta in veste di ospite, è stato sposato dall’amico e vicesindaco Franco Falciola.
Poteva mancare l’amico sacerdote? Certo che no, soprattutto in un paese dove tra il maresciallo dei carabinieri e l’impiegato delle Poste, ci si conosce più o meno tutti.
Lui, è don Vincenzo Barone e come riporta l’articolo di Messa in Latino che ha dato per primo la notizia, è stato anche responsabile della pastorale famigliare della Diocesi, oltre che vicario episcopale in carica. Ma sabato scorso, evidentemente, i titoli e le cariche non erano contemplate. Nella sala consigliare di Domodossola, don “Vicienzo”, originario di Agropoli e da anni sull’Ossola, era semplicemente un amico degli sposi.
Si sa che gli amici, quando sono invitati ai matrimoni, fanno regali agli sposi. E che cosa ti regala don Vincenzo? Una bella benedizione degli sposi e degli anelli appena scambiati vicendevolemente dai due coniugi.
Un rito in piena regola (QUI il video integrale), con tanto di preghiera del Padre Nostro e benedizione classica del “che il Signore vi benedica e vi accompagni” al quale si sono sottoposti tutti, dal vice sindaco al primo cittadino in smoking per l’emozionante giornata. Anche gli invitati hanno allargato le braccia come quando vanno a Messa. Solo che quella non era una messa né la location era una chiesa. E nemmeno il contesto avrebbe permesso la recita di una preghiera e di una benedizione, perché quello che si era appena celebrato era un matrimonio civile. Che la chiesa non riconosce come matrimonio dato che solo il sacramento lo è.
Ma per don “Vicienzo”, poco importa. L’amicizia viene prima di tutto. E forse anche qualcos’altro. Come lui stesso conferma alla Bussola che lo ha cercato l’indomani per chiedere spiegazioni
«Ho dato una benedizione semplicissima che non si nega a nessuno, dato che benediciamo gli animali e le automobili», è stato il suo incipit per iniziare a parare le eventuali critiche.
Gli sposi? «Sono amico del sindaco, lei era già stata sposata, però stanno insieme da 24 anni e così hanno deciso di sposarsi». Circa la benedizione, don Vincenzo dice che «è stata una mia idea, c’è un rapporto di amicizia e collaborazione, loro mi hanno chiesto se potevo benedire le loro fedi, ma ricordiamo che è una benedizione e non un sacramento».
Tutto chiaro? Chiediamo che cosa abbia mai potuto benedire dato che per le leggi della Chiesa i due vivono in uno stato di peccato. La risposta è da antologia: «C’è stata Amoris Laetitia, ci sono dei cammini, c’è un atteggiamento di vicinanza». Chiediamo a questo punto dove, in quale passaggio della controversa esortazione post sinodale di Papa Francesco c’è scritto che si possano benedire i matrimoni civili. E la risposta come sempre è evasiva: «Adesso devo ricevere una persona che deve ricevere la Cresima». Speriamo, aggiungiamo in conclusione, che almeno sia battezzata.
Al di là della notizia in sé, cioè la benedizione di un’unione civile, che costituisce anche un controsenso logico, a colpire in questa vicenda è l’assoluta naturalezza con la quale si tira in ballo Amoris Laetitia per giustificare ciò che lo stesso documento papale non autorizza a fare. Un po’ come quando si aprono processi nel nome dello spirito del Concilio. Ecco, qui è lo spirito di Amoris Laetitia che agisce un po’ da passepartout per tutte le derive della dottrina. E da paravento per eventuali rimbrotti. Infatti, MIL ha proposto di tempestare di proteste la mail del vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla. Iniziativa lodevole, ma purtroppo temiamo inutile, se si considera che Brambilla in gioventù era stato uno dei principali contestatori di San Giovanni Paolo II.
Del resto, che sarebbe finita così, con applicazioni creative e fuori da ogni regola dei preti, c’era da aspettarselo, visto che la stessa esortazione è stata tirata in ballo in questi anni per giustificare un po’ tutto, anche le unioni omosessuali. Già dal maggio 2016, su queste colonne avvertivamo che ciò che annunciava il cardinal Kasper, e cioè che AL sarebbe stata una «rivoluzione», lo era più per il suo linguaggio che per ciò che effettivamente c’era scritto.
Un linguaggio ricco di espressioni ed immagini che possono aprire squarci sulla complessità dell’esistenza, ma che proprio per questo sono anche ambigue, basti pensare alla “fragilità” al posto del “peccato” o all’espressione “morale fredda da scrivania” che nella sua allusività aveva già un programma di azione ben preciso.
Un programma che ha generato quella confusione che con forza il compianto Cardinal Carlo Caffarra denunciava nello scrivere al Papa alla vigilia dei Dubia, che vennero redatti proprio in occasione di Amoris Laetitia, senza ancora ricevere risposta dopo quasi 8 anni.
«L'insegnamento costante della Chiesa e ultimamente rinnovato da Veritatis splendor n°79, che esistono norme morali negative, che non ammettono eccezioni, in quanto proibiscono atti, quale per es. l'adulterio, intrinsecamente disonesti, è da ritenersi valido anche dopo Amoris Laetitia?», diceva. Domande alle quale non è mai stata una risposta affermativa o negativa, ma che sono state superate dal “processo” avviato, dal cammino intrapreso secondo la ben nota espressione di Papa Francesco di «aprire processi». La benedizione degli anelli compiuta da questo sacerdote ai piedi delle Alpi, alla periferia dell’impero, è la dimostrazione che quel processo voleva arrivare a normalizzare anche la convivenza more uxorio dell’uomo e della donna e che ormai si è diffuso nelle amate periferie.
Fallita l’operazione chiarezza, chiesta insistentemente da molti cattolici, tra i quali anche noi della Bussola, ecco che la dottrina di fatto è già cambiata almeno nella prassi e con essa anche un nuovo magistero morale si affaccia all’orizzonte. Con tanti saluti alla continuità con ciò che la Chiesa ha sempre affermato.