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FEDE E MUSICA

Il dolce culto al Sacro Cuore e la Messa di Menotti

Il 20 ottobre di 350 anni fa, si celebrò per la prima volta la festa solenne del Sacro Cuore di Gesù, il cui ufficio liturgico fu composto da san Giovanni Eudes. Al Sacro Cuore è dedicata la Missa «O Pulchritudo» del compositore Gian Carlo Menotti, un’opera con momenti particolarmente intensi.

Ecclesia 20_10_2022

Trecentocinquanta anni fa, il 20 ottobre 1672, fu celebrata per la prima volta, col beneplacito di molti vescovi della Francia, la festa solenne del Sacratissimo Cuore di Gesù (cfr. Pio XII, Haurietis aquas, 15 maggio 1956).

Il culto liturgico inizia con il sacerdote nato in Normandia san Giovanni Eudes (†1680), che in onore del Sacro Cuore compose il primo ufficio liturgico, ossia i testi propri per la celebrazione della Messa e della Liturgia delle Ore. Egli, «spinto dal grande amore onde era ripieno per i Cuori di Gesù e di Maria, fu il primo che, non senza una divina ispirazione, pensò a tributare ad Essi il culto liturgico. Della quale dolcissima devozione egli deve ritenersi il padre […], il dottore […], l’apostolo» (Pio X, Decreto di beatificazione di Giovanni Eudes, 11 aprile 1909, in Acta Apostolicæ Sedis, 1909, p. 480).

Al Sacro Cuore di Gesù è dedicata la Missa «O Pulchritudo» in honorem Sacratissimi Cordis Iesu, per soli, coro e orchestra, scritta nel 1979 da Gian Carlo Menotti (†2007), compositore italiano naturalizzato statunitense, noto per aver fondato nel 1958 a Spoleto l’annuale Festival dei due mondi. Da tempo voleva comporre una messa; l’incontro con il Bel Canto Chorus di Milwaukee (Wisconsin sudorientale, Stati Uniti d’America) e il generoso aiuto dell’Istituto Internazionale del Sacro Cuore di Roma gli offrono l’idea attorno alla quale sviluppare la partitura: la bellezza divina, che, come dice sant’Agostino (†430), parla al cuore dell’uomo, un «cuore inquieto» finché non trova riposo nel Cuore di Cristo.

Da qui il titolo della messa: O Pulchritudo. Si tratta di un famoso testo del più grande Padre della Chiesa latina, che qui diventa un mottetto per l’offertorio, significativamente dedicato al Sacratissimo Cuore di Gesù: O pulchritudo, tam antiqua et tam nova, sero te amavi! […] Mecum eras, et tecum non eram. Ea me tenebant longe a Te, quæ si in Te non essent, non essent. Vocasti et clamasti et rapisti sorditatem meam, coruscasti, splenduisti et fugasti cæcitatem meam. […] [O pulchritudo,] tetigisti me, et exarsi in pacem tuam. O bellezza, così antica e così nuova, tardi ti amai. Eri con me, e non ero con Te. Mi tenevano lontano da Te le tue creature, inesistenti se non esistessero in Te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace (Agostino, Le confessioni, X, 27).

La Missa di Menotti è suddivisa in cinque parti, quattro dell’Ordinarium Missæ (le parti fisse della Messa) più il citato mottetto: Kyrie, Gloria, Mottetto O Pulchritudo, Sanctus e Agnus Dei. E il Credo? «Nella Messa latina trovo difficile musicare il Credo, non solo perché non credo proprio a tutte le parole ma anche perché penso che sia una cosa noiosa da metter in musica» (G. Brooks, An Interview with Gian Carlo Menotti, in Choral Journal, Lawton, Oklahoma, Marzo 1997, p. 12).

Il linguaggio musicale di Gian Carlo Menotti, lontano dall’avanguardia, moderatamente eclettico e in questa Missa riecheggiante Puccini e, ancor più, Poulenc, è capace di esprimere adeguatamente il senso profondo del testo. Momenti particolarmente intensi si hanno nel Kyrie, nel Gloria; altri altamente suggestivi sono nell’Agnus Dei, specialmente nel messaggio di speranza e di pace che si coglie nell’invocazione finale.

Menotti, pur essendo iniziato al cristianesimo, forse dissentiva dalla fede cattolica, come si evince dalle sue parole sul Credo; forse non fu mai indirizzato e incoraggiato nella «dolcissima devozione» al Sacro Cuore di Gesù, a cui è dedicata questa composizione. Eppure «l’intensità emotiva della sua espressione durante le prove generali della Missa smentiva le sue parole», scrive il tenore John Vorrasi nelle note di copertina per il compact disc inciso nel 2006. E continua: «Ricordo di averlo osservato da vicino mentre sedeva nella chiesa buia ascoltando attentamente. Nel momento culminante del Sanctus (un colpo di tamburo alla frase “il cielo e la terra sono pieni della tua gloria”) cadde avanti in ginocchio, chinò la testa. Fui veramente commosso alla vista: un uomo il cui genio aveva creato un’opera di profonda bellezza, umiliato dal senso della Bellezza stessa».

Possa l’ascolto di questa Missa accendere in noi sempre di più la devozione verso quel culto, iniziato liturgicamente tre secoli e mezzo fa per opera e impulso di san Giovanni Eudes.