Il diritto all’oblio non è un colpo di spugna su un passato scomodo
Ascolta la versione audio dell'articolo
Il diritto all’oblio non conferisce automaticamente la facoltà di cancellare contenuti giornalistici, soprattutto quando si tratta di notizie che hanno avuto un rilievo pubblico. Un esempio: il caso Palamara. Cosa prevedono GDPR e Riforma Cartabia.

Il diritto all’oblio è uno dei concetti giuridici più discussi e fraintesi dell’era digitale, spesso al centro di controversie che coinvolgono il delicato equilibrio tra la tutela della privacy individuale e la libertà d’informazione. Troppo frequentemente questo diritto viene invocato in maniera impropria da personaggi pubblici o individui coinvolti in procedimenti giudiziari, i quali, dopo essere stati assolti o dopo aver visto archiviare il procedimento a loro carico, chiedono la rimozione dagli archivi online di notizie considerate scomode, oppure la deindicizzazione dai motori di ricerca generalisti dei link che conducono a quegli articoli.
Eppure, nonostante le richieste siano sempre più numerose, andrebbe chiarito una volta per tutte che il diritto all’oblio non conferisce automaticamente la facoltà di cancellare contenuti giornalistici, né di oscurare ciò che è stato pubblicato in passato, soprattutto quando si tratta di notizie che hanno avuto un rilievo pubblico. Abbiamo dovuto ribadirlo nei giorni scorsi in una risposta privata agli avvocati di Luca Palamara, che chiedevano la rimozione dai nostri archivi online di articoli che riguardavano vicende giudiziarie, ancora oggi di innegabile interesse pubblico, risalenti al 2019 (vedi qui e qui) e che vedevano coinvolti altri personaggi di primo piano dell’epoca.
Il Regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR), all’articolo 17, prevede il cosiddetto diritto alla cancellazione dei dati personali, stabilendo che un soggetto può richiedere la rimozione dei propri dati quando non sono più necessari rispetto alle finalità per cui sono stati raccolti, quando sono trattati illecitamente oppure se viene revocato il consenso al trattamento. Tuttavia, il GDPR stesso introduce delle eccezioni significative, tra cui quella che riguarda il trattamento dei dati per finalità giornalistiche e di informazione: in questi casi, il diritto all’oblio cede il passo alla libertà di espressione e al diritto della collettività a essere informata.
Questo principio è stato più volte ribadito dal Garante per la protezione dei dati personali, che ha chiarito come non si possa imporre ai giornali di cancellare o modificare arbitrariamente articoli pubblicati legittimamente e che siano ancora d’interesse pubblico, specialmente quando i soggetti coinvolti rivestono un ruolo pubblico o hanno esercitato incarichi di responsabilità. Nel caso di Palamara è stato peraltro lui stesso a ricostruire pubblicamente tutte le sue vicissitudini, non solo attraverso i giornali, ma anche in libri di successo scritti con autorevoli direttori di quotidiani.
Un punto fondamentale da mettere a fuoco è rappresentato dalla Riforma Cartabia, introdotta con il decreto legislativo 150/2022, che ha cercato di colmare un vuoto normativo offrendo agli individui una forma concreta di tutela della reputazione online. Secondo questa normativa, chi è stato assolto o ha visto il procedimento archiviato può rivolgersi alla cancelleria del tribunale e chiedere la deindicizzazione del proprio nome dai motori di ricerca rispetto agli atti processuali che lo riguardano. Questa misura, tuttavia, non comporta in alcun modo la rimozione dell’articolo dall’archivio del giornale né la sua cancellazione: semplicemente, si limita a impedire che il nome della persona continui a comparire nei risultati delle ricerche online associate a quel procedimento. Il Garante della privacy ha recentemente rigettato un reclamo in cui un soggetto chiedeva la deindicizzazione di un articolo relativo a un’indagine poi archiviata. Il motivo? L’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e la rilevanza del ruolo pubblico del soggetto coinvolto.
In tali casi, non solo il diritto all’oblio non si applica in senso assoluto, ma vi è anzi l’obbligo, da parte degli organi di stampa, di aggiornare la notizia con l’evoluzione finale dei fatti, al fine di garantire un’informazione corretta, completa e non fuorviante. La verità dei fatti, la correttezza dell’informazione e la trasparenza e completezza dell’evoluzione giudiziaria sono pilastri fondamentali della libertà di stampa e dell’attività giornalistica. Cancellare una notizia per intero, o peggio ancora pretendere che venga rimossa in modo da far credere che non sia mai esistita, significa non solo alterare la realtà storica, ma anche mettere in discussione il diritto dei cittadini a conoscere informazioni rilevanti. È per questo che l’Autorità garante ha più volte ribadito la necessità di una valutazione attenta dei diversi parametri da prendere in considerazione: la distanza temporale dei fatti, l’attualità e la rilevanza pubblica della notizia, il ruolo della persona coinvolta e l’interesse collettivo all’informazione. Non va dimenticato che gli archivi giornalistici digitali rappresentano oggi una fonte essenziale di conoscenza storica e di memoria collettiva. Imporre la cancellazione di contenuti solo perché oggi risultano scomodi significherebbe compromettere la funzione stessa dell’informazione, riducendola a una rappresentazione parziale e spesso manipolabile della realtà, ad uso e consumo dei protagonisti dei fatti.
In questo contesto, il diritto all’oblio non deve essere confuso con il diritto alla reputazione o con un generico diritto all’immagine: esso trova applicazione solo in circostanze specifiche, come nei casi in cui la permanenza delle informazioni online provochi un danno sproporzionato e ingiustificato, senza che vi sia un autentico interesse pubblico a mantenere visibile quel contenuto. Per tutti gli altri casi, la deindicizzazione può essere valutata ma non costituisce un automatismo, tanto meno un diritto assoluto. La confusione diffusa nasce spesso dalla sovrapposizione tra esigenze di tutela personale e pretese di controllo sull’informazione, ma la normativa, se interpretata correttamente, è molto chiara: il diritto all’oblio non può essere utilizzato come strumento per riscrivere la storia o censurare il passato, specialmente quando il passato ha avuto rilevanza pubblica.
In conclusione, il diritto all’oblio non è un diritto alla cancellazione indiscriminata, bensì una possibilità da valutare caso per caso, nel rispetto della verità dei fatti, della libertà di informazione e del diritto del pubblico a essere informato. Gli archivi online non devono cancellare nulla, ma devono garantire aggiornamenti corretti e tempestivi, soprattutto se gli articoli riguardano procedimenti conclusi con esiti favorevoli per i soggetti coinvolti. Solo così sarà possibile evitare che l’informazione risulti distorta e fuorviante e che la memoria digitale venga strumentalizzata per interessi personali.