Il biografo di Ratzinger: una rottura voluta (da Francesco)
Ascolta la versione audio dell'articolo
Pia illusione la sintonia tra i due ultimi pontefici. Alle parole di stima di Bergoglio verso il "nonno saggio" corrispondono azioni del tutto contrarie. E la morte del Papa emerito ha fatto da detonatore.
Peter Seewald, autore della più importante biografia su Benedetto XVI, nella sua ultima intervista a kath.net – qui la traduzione automatica (non sempre fedele) in italiano– non le manda a dire. L’illusione – a dire il vero durata poco – della perfetta sintonia e continuità tra gli ultimi due Papi cede alla triste e amara verità di una rottura profonda e voluta.
Francesco coccolava a parole Benedetto, parlando di lui come del nonno saggio, che tutti vorrebbero avere in casa, delle sue grandi virtù, la limpida intelligenza. Eppure, riflette Seewald, «oggi c'è da chiedersi se le confessioni di Bergoglio», con cui elogiava il suo predecessore, in realtà «non fossero solo parole o addirittura una cortina fumogena. Tutti ricordiamo le calde parole di Ratzinger durante la Messa da requiem per Giovanni Paolo II, parole che andavano dritte al cuore, che parlavano di amore cristiano, di rispetto». Invece è un un fatto che nessuno ricordi «le parole di Bergoglio durante la Messa da requiem per Benedetto XVI. Erano fredde come l'intera cerimonia, che non poteva essere più breve di così, in modo da non concedere un centimetro di troppo all’onore del suo predecessore».
Se gli elogi di papa Francesco nei confronti di Benedetto XVI fossero stati autentici, egli avrebbe cercato «di curare e utilizzare l'eredità di un "grande Papa" e non di danneggiarla», come ha fatto Benedetto XVI nei confronti di Giovanni Paolo II; «Francesco, invece, vuole fuggire dalla continuità. E con questo dalla tradizione dottrinale della Chiesa», incalza Seewald. La contrapposizione tra i due pontificati è diventata sempre più evidente con il passare del tempo e la morte di Benedetto ha costituito una specie di detonatore.
Col trattamento riservato a Gänswein, il Papa ha voluto tagliare ogni legame con il suo predecessore e «si è messo in difficoltà da solo. Lo rende non credibile. Non si può parlare costantemente con la Bibbia in mano di amore fraterno, rispetto reciproco e misericordia e allo stesso tempo mettere queste virtù sotto i piedi. La brutalità e l'umiliazione pubblica con cui è stato scaricato un uomo meritevole come Gänswein non ha precedenti».
Segno ancor più palese di una volontà di rottura, è la nomina del nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, mons. Victor Fernández. Anzitutto la lettera di incarico, nella quale il Papa ha dichiarato che «in passato il Dicastero ha "adottato metodi immorali" (…). Come non vedere un'allusione all'ex Prefetto della fede Joseph Ratzinger? Così come un tentativo di legittimare il cambio di rotta». E poi il personaggio scelto, che Seewald dipinge senza sconti: «uno che ha subito annunciato una sorta di autodistruzione. Vuole modificare il Catechismo, relativizzare le affermazioni della Bibbia, mettere in discussione il celibato».
Sarà il ghostwriter del Papa, certo, ma pur sempre autore di «discorsi spesso contenutisticamente vuoti», come pure della «controversa Esortazione Amoris Laetitia, con elementi che la critica ha definito "illeggibili se non addirittura confusi” [l’espressione wischiwaschi indica un parlare confuso, incomprensibile a chi ascolta, n.d.a] e che gli esperti considerano al limite dell'eresia».
Anche sulla vicenda degli abusi, Francesco dimostra di voler andare in una direzione diametralmente opposta a quella voluta da Ratzinger. Il neo-Prefetto, con esplicito avallo del Papa, ha deciso di scaricare «la responsabilità degli abusi», mentre invece Ratzinger, da prefetto, li aveva «portati sotto la sua gestione, perché aveva visto che altrove i crimini venivano insabbiati e le vittime lasciate sole». Fernández, oltre ad avere dei trascorsi teologici che hanno attirato l’attenzione della CDF e bloccato per anni la sua nomina a Preside dell’Università Cattolica di Buenos Aires, ha anche mostrato, nel suo recente passato, comportamenti piuttosto ambigui nei confronti degli abusatori. Secondo «il quotidiano argentino La Izquierda Diario, il neo-Prefetto avrebbe coperto, come arcivescovo di La Plata, almeno undici casi di abusi sessuali commessi da sacerdoti “in diverse forme”», insiste Seewald.
È lo stesso papa Francesco a non aver brillato nella gestione dei casi di abuso: la lista sarebbe molto lunga, con nomi come Ricca, Zanchetta e Rupnik; ma Seewald chiama in causa i “pesci grossi”: «Il cardinale belga Godfried Danneels ha fatto notizia nel 2010, perché da arcivescovo ha coperto gli abusi sui minori da parte dei preti, e poi ha coperto un vescovo che ha abusato del proprio nipote. E ciò non ha impedito a papa Francesco di nominarlo al Sinodo sulla famiglia a Roma, nell'autunno del 2014 […]. Francesco inoltre non ha avuto problemi a nominare negli organismi vaticani Theodore McCarrick, l'ex-arcivescovo di Washington, noto per i suoi abusi», affidandogli i negoziati con la Repubblica Popolare Cinese.
E poi uno degli aspetti più dolorosi della vita ritirata del Papa emerito, ossia la cancellazione del Motu Proprio Summorum Pontificum: «Francesco non ha avuto nessuno scrupolo a cancellare con un colpo di spugna uno dei progetti più cari al suo predecessore», per pacificare la Chiesa e con la piena consapevolezza che è proprio nel rapporto con la liturgia che si decide il destino della fede e della Chiesa. «Francesco, invece, descrive le forme tradizionali come una "malattia nostalgica". Ci sarebbe il "pericolo" di rivolgersi al passato come reazione alla modernità. Come se si potessero dirigere le tendenze, i desideri e le necessità a colpi di decreti di proibizione. I bolscevichi avevano già tentato invano di farlo».
Seewald giudica altresì un’invenzione che sia stato l’episcopato mondiale a richiedere l’abolizione del rito antico: «Non è vero. Da una parte, solo pochi vescovi hanno risposto a queste domande, e dall'altra, per quanto ne so, non si sono pronunciati nella maggioranza contro il Summorum Pontificum (...). E poi la mancanza di stile, dal momento che il Papa emerito ha dovuto apprendere la modifica leggendo L'Osservatore Romano. Per lui è stata come una pugnalata al cuore. Lui non si è più ripreso fisicamente».
Di fatto, «Bergoglio sapeva di non poter eguagliare Ratzinger nella sua brillantezza e nobiltà teologica. Ha puntato sugli effetti e ha avuto il vento in poppa grazie ai media, che non hanno voluto guardare troppo da vicino per non essere costretti a vedere che, dietro al Papa descritto come aperto e progressista, si nascondeva un sovrano a volte molto autoritario, come era già noto Bergoglio in Argentina».
Ora, però, l’accelerazione impressa con le ultime nomine e con le sue recenti decisioni fanno intravvedere il peggio, ossia la creazione di «una vera e propria breccia nella diga. E visto il drammatico declino del cristianesimo in Europa, questo potrebbe trasformarsi in una inondazione che potrebbe distruggere ciò che ancora è rimasto in piedi». Eppure, conclude Seewald, «lo Spirito Santo ha ancora voce in capitolo. E molti di coloro che oggi gioiscono nel vedere Francesco spazzare via l'eredità di Benedetto potrebbero piangere amaramente domani».
Quel no alla Messa antica che colpì al cuore Ratzinger
L'arcivescovo Gänswein intervistato da "Die Tagespost" ripercorre i lunghi anni accanto al Papa emerito e tocca un tasto dolente per molti cattolici e per lo stesso Benedetto XVI: quel motu proprio con cui Papa Francesco cancellò i suoi sforzi per accogliere i fedeli legati al rito antico.
Allargare la ragione, tradita l'eredità di Benedetto XVI
Ratzinger ha invitato più volte ad “allargare” la ragione, vittima di un processo secolare che dal XIV secolo ai giorni nostri, passando per Kant, le ha fatto perdere la fiducia di poter conoscere l’ordine oggettivo e finalistico delle cose. Questo invito, durante l’attuale pontificato, non è stato raccolto: la via indicata da Francesco è infatti post-metafisica, cioè kantiana.
"Tucho" all'ex Sant'Uffizio per sdoganare la "linea Paglia"
È un rapporto simbiotico quello che lega il Papa al neo-prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, l'uomo giusto al posto giusto per infrangere ogni certezza a colpi di discernimento.