I sondaggi registrano il sorpasso di Trump sulla Harris
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Su 7 Stati in bilico che decideranno il prossimo presidente Usa, in ben 6 Trump è in testa rispetto alla Harris. Che perde consensi soprattutto nelle minoranze.
Nei sette Stati in bilico che potranno decidere le elezioni presidenziali negli Usa, in ben sei inizia ad essere in vantaggio Donald Trump, secondo la media dei sondaggi di Real Clear Politics. E questa situazione si sta stabilizzando già da tutta la settimana, a venti giorni dalle elezioni.
Gli Stati in cui era in vantaggio Kamala Harris, si stanno via via tingendo di rosso, il colore dei Repubblicani, ogni volta che vengono aggiornate le mappe elettorali. Trump è dunque passato in vantaggio in Nevada, nella Pennsylvania e persino nel Michigan, una regione post-industriale dove una vittoria della Harris era data per certa. Ciò non vuol dire che Trump sia destinato a vincere. I margini sono ovunque risicatissimi. Ma solo che la vittoria della candidata democratica, data troppo spesso per certa, non è così scontata. E soprattutto, per lei, la tendenza è negativa. Più si avvicina al giorno del voto, più pare perdere fette di elettorato.
Per questo la campagna elettorale democratica e la grande stampa che la sostiene stanno iniziando ad entrare in modalità “panico”. Lo si deduce dai servizi delle televisioni e dei quotidiani che hanno dato il loro esplicito sostegno alla vicepresidente di Biden. La Cnn descrive la Harris come una candidata « che lotta per ritrovare lo slancio in una corsa testa a testa fino al giorno delle elezioni. Tra i Democratici cresce il timore che l'euforia per l'ingresso della Harris nella corsa a luglio, il successo della sua convention ad agosto e la sua performance nei dibattiti del mese successivo non si siano ancora tradotti in un vantaggio decisivo su Trump». Il New York Times pubblica un editoriale a firma di Maureen Dowd intitolato «Dove è finita l’urgenza di battere Trump?». Un altro editoriale, a firma di Ezra Klein, invita a “Ignorare i sondaggi”. Mentre il quotidiano Politico, pubblica una piccola «guida ai Democratici ansiosi ad elezioni in bilico». «Stamattina e per tutta la settimana abbiamo parlato della frustrazione di molti Democratici per il fatto che forse il messaggio non riesce a raggiungere gli elettori chiave – dice Mika Brzezinski, il co-conduttore della trasmissione Morning Joe, sulla Msnbc - Voglio dire, i sondaggi sembrano così vicini ogni volta che ne esce uno nuovo, testa a testa. E c'è la paura che Donald Trump sia pronto a vincere. Credo sia giusto che i Democratici siano incredibilmente depressi. Penso che sia giusto che siano scoraggiati...».
L’ultima, surreale, svolta elettorale viene proprio dal Michigan, uno degli Stati più contesi. Amer Ghalib, il sindaco musulmano di Hamtramck, una cittadina dove i suoi correligionari sono maggioranza, ha dato il suo aperto sostegno elettorale a Donald Trump. Misteriosa la causa di questo cambiamento di rotta. Ghalib, un militante pro-Palestina, era un feroce critico della campagna di Joe Biden, a causa del suo sostegno a Israele. Ma ciò non spiega il suo appoggio al candidato repubblicano che è ancora più apertamente filo-israeliano, come dimostra la sua decisione, da presidente, di trasferire l’ambasciata Usa a Gerusalemme. Tuttora, nella guerra scoppiata dopo il pogrom del 7 ottobre, il maggior appoggio a Israele e a Netanyahu arriva da Trump. Ma, secondo quanto dichiara il sindaco di origine yemenita, «Io e il presidente possiamo non essere d’accordo su tutto, ma so che è un uomo di principi». Per altro, proprio a proposito di principi, la comunità musulmana americana, in generale, sta spostando le preferenze sui Repubblicani, soprattutto per la loro difesa della famiglia naturale e dei valori conservatori.
Si tratta di un episodio singolo e singolare, ma rivelatore del maggior problema della campagna della Harris: non riuscire a conservare il voto delle minoranze. Punta tutto sulle donne, parlando solo di “diritti alla salute riproduttiva” (cioè l’aborto), ma sta perdendo i neri, che sono un’altra base fondamentale dei Democratici. Obama aveva vinto con un margine di 81 punti nella comunità afro-americana, Hillary Clinton aveva perso aggiudicandosi un margine di 63, Biden aveva vinto nonostante il margine fosse ridotto a 53. Ma la Harris, secondo gli ultimi sondaggi, prenderebbe solo un 41% in più dai neri. Paradossalmente, proprio una vicepresidente cooptata perché esponente di due importanti minoranze, quella nera e quella asiatica (padre giamaicano e madre indiana), ora rischia di perdere terreno nelle minoranze.
Fra gli indipendenti, la candidata democratica risulta ancora in testa. Ma anche in questo importante segmento dell’elettorato, ha rischiato e rischia di perdere terreno. Conta, in negativo, la performance nelle interviste televisive rilasciate dalla Harris, soprattutto quella nella trasmissione 60 Minutes sulla Cbs, una televisione amica che però rischia di aver lanciato un boomerang. L’intervista è stata immediatamente contestata dalla campagna di Trump perché registrata e persino rimontata, omettendo parti che avrebbero potuto mostrare una candidata debole. Ad esempio è stata editata la risposta su Netanyahu: in una versione originale, più lunga, circolata sul Web, la Harris dava l’impressione di non riuscire a controllare le azioni dell’alleato israeliano. Nella versione definitiva, trasmessa in Tv, la risposta è stata fortemente tagliata, contiene un messaggio essenziale e diretto, molto più “presidenziale”. Nonostante tutto, su guerra, economia e politica estera, la Harris è comunque apparsa debole.
Trump può vincere, insomma. Se non lo uccidono prima: anche domenica scorsa, 13 ottobre, un uomo su un Suv carico di armi e munizioni è stato arrestato a meno di un chilometro dal comizio del candidato repubblicano a Coachella. L’Fbi lo ha rilasciato subito dopo, convinta che non si tratti di un attentatore: è un militante repubblicano del Nevada, anche candidato nelle scorse elezioni primarie di Las Vegas. Ma anche il primo attentatore di Trump, Thomas Crooks era registrato repubblicano.