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ANNIVERSARIO

I soldati dello Stato pontificio ammirati dai nemici

Il Corpo degli Zuavi era costituito dai soldati dello Stato pontificio: “Il loro volontariato mistico, contrapposto al laicismo dei garibaldini...contribuì a ritardare l’annessione dello Stato della Chiesa al resto d’Italia in quanto erano uno dei reparti più motivati dell’armata papale: furono oggetto di giudizi carichi d’odio, quanto di cavalleresca stima. Lo stesso Mazzini riconosceva il loro valore"

Cultura 20_09_2020

“Dal ponte S. Angelo ci fu dato di vedere degli zuavi che lavoravano di carriola e di vanga allegramente lungo le sponde del Tevere. Forse erano tutti figli di famiglie civili, persone istruite e dabbene, forse erano laureati professori, conti duchi, baroni e lasciavan la patria e gli agi di casa propria per venire qui a fare il manovale, il bracciante! Bisogna proprio dire che la fede fa miracoli!”. Sono parole del garibaldino Pio Vittorio Ferrari che descrivono i soldati del reparto di élite di Pio IX impegnati nel 1867 in opere di fortificazione di Roma quando Garibaldi si spinse, nell’ottobre di quell’anno, alle porte della Città eterna.

Di loro oggi si è perso il ricordo tranne che per un’espressione del linguaggio comune: “Pantaloni alla zuava”. In effetti, erano fortemente caratteristici i calzoni a sbuffo della loro uniforme grigia. Per il resto, la propaganda anticlericale post-unitaria ha fatto tabula rasa del loro sacrificio. In un panorama di modesta attenzione mediatica riservata al 150°della Presa di Porta Pia che ricorre domenica 20 settembre, l’Esercito italiano ha tributato agli Zuavi pontifici “l’onore delle armi” (come già fece all’epoca) riservando loro uno spazio adeguato sul fascicolo storico della Rivista Militare di settembre interamente dedicato all’anniversario. Accanto ai capitoli sui bersaglieri, l’Artiglieria, i comandanti e gli armamenti italiani, si trovano, infatti, quasi altrettanti capitoli dedicati al nemico.

Apprendiamo così come l’esercito papalino fosse costituito da un reggimento di fanteria, uno di carabinieri stranieri, un battaglione di cacciatori, un reggimento dragoni, un reggimento di artiglieria, la gendarmeria e i volontari pontifici. L’élite era però considerata il Corpo degli Zuavi, che, nel decennio 1860–70, rapparesentarono “il baluardo del Trono e dell’Altare”: “Il loro volontariato mistico, contrapposto al laicismo dei garibaldini e alla fede monarchica delle truppe piemontesi, contribuì a ritardare di alcuni anni l’annessione dello Stato della Chiesa al resto d’Italia in quanto erano uno dei reparti più motivati e meglio addestrati dell’armata papale. Per questo furono oggetto tanto di giudizi carichi d’odio, quanto di cavalleresca stima. Lo stesso Mazzini, pur essendo loro acerrimo nemico, riconosceva il valore di chi combatteva volontariamente per i propri ideali. Provenivano da 25 diverse nazioni: moltissimi erano olandesi, francesi e belgi, ma vi si arruolarono anche svizzeri, tedeschi, italiani, canadesi e perfino americani. Poco prima della presa di Roma raggiungevano le 3.200 unità. Spesso di estrazione aristocratica, o comunque generalmente di buona nascita, vedevano nel servizio volontario in difesa del Papa una sorta di nona crociata”.

Nel ricco volume “Per il Papa Re” di Lorenzo Innocenti (Esperia ed.) sono raccolte molte belle fotografie di questi soldati dalle uniformi grigie e dai baffi fieri quanto i loro nomi, affollati di predicati. Se non meraviglia che il loro comandante fosse il Tenente Colonnello Barone Athanase-Charles-Marie de Charette de la Contrie, colpisce vedere associato un titolo nobiliare a gradi da sottufficiale, come per il “Sergente Conte François Xavier von Korff Schmising-Kennebrock”.

Nonostante la loro nascita, erano infatti soldati disciplinatissimi, abituati alla frugalità e i loro ufficiali dovevano provvedere personalmente al proprio equipaggiamento. Alcune belle foto d’epoca li mostrano impegnati in esercitazioni o nella costruzione di accampamenti. Soprattutto, erano molto motivati, come si evince dal testo di una loro canzone di guerra. «Oh, com’è bella la morte per la Fede degli Avi; oh, quale sorte perir con l’armi in pugno pei patrii monti e le valli natie, da estranei fanti e cavalli calpestati».

Erano dotati di armi lunghe assai moderne. Dopo due anni di indagini all’estero, il Generale Hermann Kanzler, proministro delle Armi pontificio, fece adottare nel 1868, con scelta oculata, un’arma già nata a retrocarica, il Remington Rolling Block, in calibro 12,7 mm, un avanzato fucile monocolpo, con bossolo metallico, che ebbe notevole diffusione presso gli eserciti occidentali. Con la presa di Porta Pia e la cattura di queste armi, lo Stato Italiano le riciclò prontamente riconoscendone la superiorità tecnologica e dandole in dotazione ai Bersaglieri.

Gli Zuavi avrebbero venduto molto cara la pelle se non fosse stato per gli espliciti ordini di Pio IX. La Rivista Militare cita infatti una mitragliatrice che non fu mai usata: “Fonti documentate, riferiscono di una Claxton in calibro .690, di fabbricazione americana, progettata alla fine della Guerra di Secessione per l’Esercito nordista e commercializzata successivamente in Francia. Pronta all’uso, non venne impiegata probabilmente per gli ordini ricevuti dal de Charette direttamente dal Papa. La resistenza dei pontifici avrebbe dovuto essere infatti simbolica quel tanto da significare al mondo come Roma fosse stata conquistata con un atto di guerra. Un bagno di sangue prodotto dall’uso della mitragliatrice non avrebbe giovato all’immagine del Regno d’Italia né del Papa che, opponendo una resistenza così accanita, per quanto legittima, avrebbe permesso un massacro nella culla della Cristianità”.

Una volta firmata la resa, gli Zuavi pontifici abbandonarono la Città Eterna – immaginiamo con quali sentimenti di frustrazione - sfilando fra i soldati italiani schierati e molti di loro ritornarono presto a combattere in Francia contro i Prussiani, dove a volte, paradossalmente, si trovarono fianco a fianco proprio con ex garibaldini. Presso il Pincetto Vecchio del cimitero del Verano sorge un elegante monumento che ricorda, insieme a loro, tutti i caduti pontifici. Chissà se qualcuno porterà una corona di fiori per questi “ultimi crociati”.