I sessi sono due, la Corte Suprema britannica riconosce l’ovvio
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Pronunciandosi sulla retta interpretazione dell’Equality Act, la Corte Suprema ha riconosciuto che «il concetto di sesso è binario», dando ragione alle femministe per cui un uomo trans non può dirsi “donna”. Ma i giudici cadono poi in una contraddizione, non riconoscendo che la transessualità è disordinata.

In principio ci fu Donald Trump: «La politica degli Stati Uniti è quella di riconoscere due sessi, maschile e femminile». Questo sentenziò in un ordine esecutivo del gennaio scorso. Poi ieri è arrivata anche una sentenza della Corte Suprema del Regno Unito: «Il concetto di sesso è binario: una persona è o donna o uomo».
La questione riguardava la corretta interpretazione di una legge, l’Equality Act del 2010, norma che tutela, da condotte discriminatorie, diverse categorie di persone socialmente fragili. Tra queste categorie anche le donne e i transessuali. Nel giudizio incardinatosi davanti ai giudici, da una parte c’era l’associazione femminista For Women Scotland e dall’altra il governo scozzese. Le femministe, in buona sostanza, sostenevano che un transessuale non può fregiarsi del titolo di “donna”. Su fronte opposto il governo, che considerava i transessuali donne a tutti gli effetti. La Corte Suprema ha dato ragione alle femministe.
«Secondo la decisione unanime di questa corte – ha letto il giudice relatore e vicepresidente, lord Patrick Hodge – i termini donna e sesso dell'Equality Act del 2010 si riferiscono alla donna biologica e al sesso biologico». Insomma il termine “donna” in ambito legale coincide con il concetto di “donna” in ambito biologico. E dunque per definire una donna sotto la prospettiva giuridica occorre far riferimento al solo sesso biologico e non alla cosiddetta identità di genere. La realtà vince sulla percezione, il fatto sulla volontà, la materialità sul sogno o sull’incubo. La verità sull’ideologia.
Sotto il profilo pratico ciò significa che gli spazi riservati alle donne come bagni, spogliatoi, carceri femminili saranno interdetti ai transessuali. Parimenti alcuni servizi sociali, ad esempio i gruppi di sostegno per donne abusate, o medici. In modo analogo alcune attività, vedi ad esempio la partecipazione a competizioni sportive riservate alle donne. Già con l’Equality Act le donne potevano godere di propri spazi «per ragioni di privacy, decenza, per prevenire traumi o per garantire salute e sicurezza». Ora il divieto di intromissione nella sfera femminile da parte dei trans diviene più stringente, ma non totale. Le persone e gli enti, infatti, dovranno dimostrare che escludere le persone trans da servizi, luoghi, opportunità, attività, eccetera, è una misura proporzionata a tutelare le donne.
Però, come sempre accade quando non si va alla radice del problema – e la radice del problema è dichiarare che la transessualità è condizione disordinata – i cortocircuiti sono inevitabili. La Corte infatti si è premurata di riaffermare che le persone transessuali non devono comunque essere discriminate, perché sempre categoria tutelata dall’Equality Act. E qui sta la contraddizione in termini, proprio perché da una parte i giudici stanno dicendo ad un uomo che si sente donna che non è donna e su altro fronte vietano che venga discriminato. Ma la persona transessuale che si sente donna giudica discriminatorio soprattutto il fatto di non essere considerata donna. Se al transessuale non gli riconosci di appartenere al sesso femminile, per lui crolla tutto. Le critiche al transessualismo riguardano in primis proprio il transessualismo, ossia l’irragionevolezza di considerarsi donna quando si è invece un uomo. Dunque non si comprende quale sia ora, dopo la sentenza della Corte, lo spazio rimasto in cui il transessuale possa far valere il suo diritto di non essere discriminato, dato che gli è stata riconosciuta ufficialmente la cittadinanza nel regno di Utopia, lo status di rifugiato ideologico nell’illusione.
Ma noi oggi vogliamo tralasciare questi controsensi giuridici e vogliamo celebrare il principio dichiarato dalla Corte: una donna è una donna e un uomo è un uomo. La Corte Suprema britannica ha scarcerato l’uomo e la donna perché il fatto di essere uomini e donne non costituisce reato. Il principio di non contraddizione è stato riconosciuto innocente, non è lui il colpevole di quel senso di discriminazione, di non adeguatezza, di esclusione che sperimentano coloro che cercano invano nel mondo femminile la propria identità maschile: i colpevoli sono i prestigiatori della realtà, gli sfruttatori dell’altrui sofferenza, gli approfittatori seriali di menti e cuori fragili perché provati dalla vita.
Sono tempi questi in cui l’evidenza deve essere sancita per sentenza, l’ovvietà per legge come è accaduto in Ungheria recentemente, dove la stessa Costituzione è stata obbligata a dirci che i sessi sono due. I giudici britannici hanno solennemente non deciso, ma riconosciuto che un cerchio è tondo, che il sopra sta più in alto del sotto, che gli opposti non possono essere identici, che il domani non è l’oggi, che la parte non può essere superiore al totale. Onore a loro per averci risvegliato da un incantesimo malefico che guastava con allucinazioni le nostre facoltà intellettive facendoci scambiare gli uomini per donne e viceversa, che ci spingeva a credere di vivere in un mondo in cui si poteva cambiare sesso come si cambia il colore dei capelli. I giudici hanno condannato i militanti Lgbt per appropriazione indebita, perché hanno usato del sesso biologico in modo improprio, come se fosse un accessorio, un ornamento di poco conto, occultabile a proprio piacere e gusto.
Trump, l’Ungheria e ora la Corte Suprema del Regno Unito. Forse si sta tornando al reale, all’ordine, alla natura delle cose. Forse.
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