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Ora di dottrina / 121 – Il supplemento

I miracoli e la critica dei filosofi del dubbio

L’ingresso del dubbio strutturale nel pensiero filosofico ha causato un cortocircuito sul modo di intendere e usare la conoscenza. Da qui gli “attacchi ai miracoli” da parte di autori come Spinoza, Voltaire, Rousseau, Hume.

Catechismo 23_06_2024
Spinoza

L'ingresso del dubbio strutturale nel pensiero filosofico ha comportato una svolta gnoseologica nella filosofia. In pratica, i filosofi non si sono più preoccupati di conoscere la realtà, bensì i limiti della conoscenza umana, che di fatto poi si era ridotta all'applicazione alla ragione umana dei canoni della conoscenza scientifica. Un vero e proprio cortocircuito, durato secoli e dal quale non siamo ancora pienamente usciti, che dimentica che la conoscenza ci è data appunto per conoscere il reale, per aprirsi verso di esso, e non per ripiegarsi su di sé disquisendo all'infinito sui suoi limiti e le sue condizioni.

Si è già avuto modo di considerare l'impatto di questa svolta sul concetto fondamentale di credibilità della Rivelazione cristiana e sulla possibilità di giungere ad un giudizio certo relativo agli interventi divini nella storia. Ma gli “attacchi ai miracoli” sono giunti dalla filosofia anche su altri fronti.

Baruch Spinoza (1632-1677) ha, per esempio, dedotto l'assurdità del miracolo a partire dalla propria metafisica panteista. La coincidenza tra Dio e la Natura, tra l'attività del primo e l'ordine della seconda, rende chiaramente impossibile che vi siano eventi che eccedono tale ordine: nulla può accadere al di fuori, o addirittura in contrasto con la Natura, appunto perché la coincidenza Dio-Natura esaurisce in sé tutto il reale. L'ordine della Natura è dunque necessario e non ammette altro da sé, precisamente perché non esiste altro da sé. Evidentemente, entro questa cornice metafisica, il miracolo, inteso come evento che oltrepassa la natura e dunque “rivela” un intervento soprannaturale, non ha alcun senso. Quello che noi chiamiamo “miracolo” altro non è che un evento avvenuto entro l'ordine naturale, ma che noi non cogliamo come naturale a causa della nostra ignoranza. Non esiste alcun intervento “straordinario” di Dio nella storia degli uomini, ma tutto procede secondo necessità.

Ai nostri giorni rimane una “riserva” del pensiero di Spinoza, pur senza necessariamente metterne a tema il retroterra metafisico; e la si ritrova nell'espressione comune “la scienza un giorno spiegherà”. Di fronte a fatti in grado di condurre l'uomo ad un giudizio ragionevolmente certo della loro origine divina, ci si volta dall'altra parte, persuasi che si tratta semplicemente di fatti che oggi non siamo in grado di comprendere, ma che un domani riceveranno la loro spiegazione, ovviamente dalla Scienza, la quale infatti è ritenuta, in una cornice scientista, potenzialmente onnisciente: potenzialmente perché si riconosce che la conoscenza scientifica è progredita e continuerà a progredire; onnisciente perché essa è in grado di coprire tutto il reale, non essendoci realmente qualcosa sulla quale essa non sia in grado di esprimersi, ma semmai solo segmenti di realtà che essa ancora non ha raggiunto.

Un altro autore che ha escluso il miracolo è François-Marie Arouet, più noto con il nome di Voltaire (1694-1778). Alla corrispondente voce del Dizionario Filosofico, terminato nel 1764, egli ha distinto due accezioni del miracolo. In quanto evento contro-natura, esso è impossibile in ragione delle leggi divine e immutabili che regolano la natura; in quanto invece evento che suscita meraviglia, esso allora non è altro che interno al corso naturale degli eventi, corso naturale che pone sotto i nostri occhi un continuo “miracolo”. Il miracolo è dunque in questo senso assorbito all'interno dell'ordine naturale. Poste queste premesse, parlare di miracolo, come evento che esce dall'ordine della natura, è agli occhi di Voltaire persino un insulto contro Dio, una distorsione della divinità e della sua azione, perché ammettere un evento al di fuori o contro la natura significherebbe ritenere che Dio agirebbe contro Sé stesso, violando quelle leggi eterne che egli ha posto. E poi, perché mai Dio dovrebbe agire al di fuori della natura? Se questa azione non fosse necessaria, allora non avrebbe senso porla; se invece fosse necessaria, dovremmo concludere che la sapienza divina è limitata, non essendo riuscita a comprendere all'interno delle leggi naturali tutto ciò che era necessario.

Quanto detto riguarda il punto di vista oggettivo nei confronti del miracolo; ma anche dal punto di vista soggettivo emergono, secondo Voltaire, molti problemi. Perché di fronte ad un prodigio non sarebbe mai possibile risolvere il dubbio di poter essere stati vittime di un'allucinazione o di un inganno, di aver assistito ad un atto illusionistico e magico piuttosto che ad un evento reale. E alla fine, Voltaire la butta in politica: il miracolo tanto difeso dalla Chiesa altro non sarebbe che uno strumento di potere per ottenere l'ammirazione e la sottomissione degli uomini.

Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) porterà il suo attacco nel cuore dell'apologetica, puntando non tanto sul miracolo in sé, quanto sulla sua funzione apologetica. Nella terza delle sue Lettres écrites de la montagne, egli giunge ad affermare che si può essere cristiani solo escludendo il miracolo. La ragione? Ciò che conta nella religione è la condotta morale e la fede puramente “spirituale”. Gesù stesso non ne avrebbe compiuto alcuno: solo i suoi discepoli, incapaci di vivere al livello morale del loro maestro, in seguito glieli avrebbero attribuiti. I miracoli, nell'ottica di Rousseau, costituirebbero un inquinamento della fede, la quale richiederebbe una “purezza” che la tiene lontana dal ricercare – e inventare! – un fondamento all'interno di fatti storici, di fatti miracolistici. La fede cristiana, secondo Rousseau, dev'essere dunque ricondotta (e ridotta) al messaggio morale di Gesù Cristo e ad una fede “interiore”, che non necessita di una Rivelazione storica (e dunque neanche di miracoli), ma che viene considerata tanto più pura quanto più lontana da quest'ultima.

L'ultimo filosofo che vorremmo prendere in considerazione oggi è lo scozzese David Hume (1711-1776). Le due principali opere di riferimento sono la Ricerca sull'intelletto umano e Dei miracoli. Hume attacca il miracolo in quanto fatto generalmente non evidente, ma testimoniato. La conoscenza è tanto più certa quanto si avvicina all'evidenza; pertanto, per fatti riferiti da altri, occorrerà valutare sulla base dell'esperienza. Ma è proprio l'esperienza ad insegnarci di stare lontani da fatti troppo “incredibili”, cioè da fatti che non sono attestati dall'esperienza stessa. Nell'ottica di Hume, la religione cristiana spingerebbe a credere a ciò che è contrario all'esperienza e dunque di fatto chiederebbe di credere contro la ragione umana. Tanto più che le leggi di natura sono costanti, inalterabili. Poiché le persone ragionevoli devono basarsi sulle evidenze e l'evidenza mostra la regolarità degli eventi, non la loro eccezionalità, chi crede nei miracoli compie una sorta di “passo falso”. In questo senso, la religione cristiana, nella sua pretesa di miracoli, non può essere creduta da alcuno che usi la propria ragione, basata sull'esperienza e l'evidenza.

Si può intravvedere da questo articolo come il pensiero filosofico, a partire dal XVII secolo, abbia contribuito a gettare discredito sui miracoli, come fatti impossibili, irrazionali, retaggi di persone credulone, incolte e con una fede non interiore e spirituale. La religione cristiana farebbe meglio perciò a distanziarsi dalla pretesa del miracolo e ancor più dal fondare la propria credibilità su questi eventi. Raccomandazione che è stata recepita anche nel mondo teologico. Come avremo modo di vedere.



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