La credibilità della religione cristiana
La ragione dell'uomo è in grado di riconoscere un miracolo come segno certo della presenza di Dio. Questa verità è agli antipodi del criticismo kantiano, come anche dell’hermesianesimo. Gli insegnamenti del beato Pio IX e di san Pio X.
Il 9 novembre 1846, papa Pio IX emanava la prima enciclica del suo lungo pontificato, la Qui pluribus, con la quale si proponeva di rettificare alcune deviazioni alimentate dalle correnti fideiste e razionaliste. Nel mirino c'era anche l'insegnamento di Georg Hermes (1775-1831), professore di dogmatica all'Università di Bonn, la cui opera cercava di dare un fondamento al pensiero cattolico alla luce delle fondamentali tesi kantiane, e dunque di fondare un cristianesimo che potesse tener testa al pensiero critico. Non intendeva abbracciare l'apriorismo kantiano, ma di fatto, con il nobile scopo di mostrare che il cristianesimo resisteva alla critica kantiana, Hermes finì per rimanere imbrigliato nei principi stessi del criticismo.
L'assenso di fede, secondo Hermes, dev'essere infatti vagliato dal dubbio, perché si possa giungere a mostrarne la razionalità; nella sua prospettiva, è possibile accedere ad una conoscenza certa solo nella misura in cui essa si dimostri alla ragione come assolutamente necessaria. Detto in altro modo, solo ciò che resiste in modo incontrovertibile al dubbio può essere ammesso come vero da parte della conoscenza e permettere così l'assenso della fede. Questa impostazione sedusse molti teologi cattolici, perché sembrava dimostrare l'assoluta razionalità dell'assenso di fede; ma il problema di fondo stava nel fatto che essa accettava di porsi allo stesso livello dell'impostazione critica kantiana, accettando la restrizione gnoseologica del filosofo tedesco.
Torniamo a Pio IX. Egli aveva voluto intervenire sui motivi di credibilità del cristianesimo, ribadendo che quei segni, che comunemente chiamiamo miracoli, hanno valore di prova; non sono la fede, ma sono pur sempre vere prove che muovono verso la fede, la quale poi è un nuovo passaggio, frutto della sinergia tra dono divino e adesione dell'uomo. Cercando di semplificare molto, nella prospettiva cattolica affermiamo che alla ragione vengono dati sostegni sufficienti perché essa “comunichi” alla nostra volontà che ci si può fidare, si può compiere quel passo che supera la ragione stessa, e che è appunto il passo della fede.
Nella Qui pluribus, Pio IX spiegava che «sono a disposizione molti ammirevoli e luminosi argomenti in base ai quali la ragione umana deve essere perfettamente convinta che la religione di Cristo è divina (…). Pertanto la ragione umana» proprio sulla base di questi argomenti, tra i quali eccellono i miracoli, è in grado di rimuovere «radicalmente tutti i dubbi e le difficoltà» che trattengono dall'abbracciare la fede cristiana (Denzinger 2778, 2780). L'affermazione di una ragione «perfettamente convinta» e della possibilità di rimozione radicale di ogni dubbio avevano fatto esultare i sostenitori della posizione di Hermes, ma fu il Papa stesso a spegnere gli entusiasmi, perché l'enciclica si muoveva in tutt'altra direzione rispetto a Hermes.
Pio IX non stava infatti sostenendo che i motivi di credibilità a sostegno della fede siano il risultato necessario di un'equazione logica, ossequiando in tal modo l'impostazione teoretica kantiana, e dunque supportando una riduzione del vero al necessario (= ciò che non può essere altrimenti, per necessità logica), ma stava invece riscattando la più ampia conoscenza dell'uomo. Potremmo riassumere in questo modo tale riscatto: la ragione dell'uomo è aperta sulle cose stesse e il suo primo passo non è affatto il dubbio, di modo che sarebbe vero solo ciò che resiste al dubbio nella modalità di una conoscenza necessaria (= logicamente inconfutabile); il primo passo della conoscenza è l'apprensione della realtà. Siamo agli antipodi del criticismo kantiano, ma anche dell'hermesianesimo, il quale invece voleva che l'accesso alla fede fosse totalmente razionalizzato, secondo le esigenze dell'impostazione kantiana.
Detto in altro modo: secondo Hermes, giustificare l'atto di fede significherebbe dimostrarne la razionalità, ma dimostrarne la razionalità comporta di raggiungere una necessità logica aprioristica, l'unica che, in un'ottica kantiana, è in grado di resistere ad ogni dubbio. Quanto alla credibilità delle fede, che cosa rimane fuori da questa impostazione? Che cosa non sarebbe un motivo di credibilità? Tutte quelle ragioni che non sono strettamente necessarie, tra cui, per esempio, proprio i miracoli. Perché un miracolo non è una necessità logica a priori, ma un elemento della realtà contingente. Pio IX stava difendendo il fatto che il valore della nostra intelligenza non si limita a ciò che può essere conosciuto a priori, secondo necessità logica, ma sta nel fatto che essa è aperta al reale. Veniamo al miracolo: nell'impostazione dell'hermesianesimo esso non ha una reale forza probante la soprannaturalità del cristianesimo, perché su esso si può sempre dubitare; nell'impostazione classica, difesa da Pio IX, invece, il miracolo può essere colto dalla nostra intelligenza aperta alla realtà, la quale poi deve ricercarne quel fondamento in grado di rendere ragione di quanto osservato, ossia la presenza di Dio.
Qual è la più importante conseguenza di questa “ragione allargata”, per richiamare un'espressione cara a Benedetto XVI? Che si può giungere ad una conoscenza certa, anche se questa non è una conoscenza necessaria, perché l'intelletto è in grado di cogliere la realtà e di muovere così dall'ente al suo fondamento metafisico. In riferimento alle ragioni che muovono all'atto di fede, ciò significa che l'uomo è in grado di cogliere diversi motivi di credibilità che finiscono per convergere e fornire una prova certa della bontà razionale dell'atto di fede. Chiaramente, quanti più numerosi e solidi saranno questi motivi di credibilità, tanto più potremo giungere ad una conoscenza certa.
Il Concilio Vaticano I, nella costituzione dogmatica Dei Filius, ha voluto confermare la ragionevolezza dell'atto di fede proprio sostenendo questa più ampia considerazione della conoscenza umana: i «fatti divini», in particolare miracoli e profezie, «manifestando in modo chiarissimo l'onnipotenza e la scienza infinita di Dio, sono segni certissimi della divina rivelazione, adatti a ogni intelligenza» (Denz. 3009), ossia adeguati alla razionalità umana, che è più ampia della razionalità critica kantiana o di quella scientifica. Per questo, lo stesso Concilio condannava l'affermazione che «i miracoli non possono mai essere conosciuti con certezza né servire per provare efficacemente l'origine divina della religione cristiana» (Denz. 3034).
Pio X, nell'enciclica Pascendi, metteva in luce l'inaccettabilità di un'impostazione derivata da una sorta di agnosticismo scientifico. Egli condannava la posizione secondo la quale il mondo della realtà sarebbe appannaggio della conoscenza scientifica, mentre la fede si porterebbe su ciò che non è conoscibile dalla scienza. Questa dicotomia comporta che, nell'ambito fenomenico, sarebbe solo la scienza a determinare ciò che è vero e ciò che non lo è. «Quindi, qualora più oltre si ricercasse se Cristo abbia fatto veri miracoli e vere profezie, se veramente sia risorto e asceso al cielo, la scienza agnostica lo negherà, la fede lo affermerà; né perciò vi sarà lotta tra i due. Infatti lo negherà il filosofo in quanto filosofo parlando a filosofi e considerando Cristo unicamente nella sua realtà storica; l'affermerà il credente come credente parlando a credenti e considerando la vita di Cristo quale è vissuta dalla fede e nella fede». Questa posizione, che potrebbe apparire tanto “conciliante”, è stata condannata. Per quale ragione? Perché esclude che la ragione possa riconoscere un miracolo come opera divina; o il miracolo è riconosciuto dalla fede, oppure è negato dalla ragione scientifica. Come si vede, non c'è alcuno spazio per la “ragione allargata” di cui abbiamo parlato sopra. Pio X ha dunque voluto liberare la ragione da quel riduzionismo scientifico che vorrebbe rivendicare per sé la conoscenza certamente vera.
Tutti questi interventi magisteriali ci aiutano a comprendere che la ragione dell'uomo è realmente in grado di riconoscere un miracolo o una profezia come segni certi della presenza di Dio. Vedremo la portata di questa affermazione nei prossimi articoli.
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