Hong Kong: sentenze "cinesi" e arresti politici
Una serie di infausti provvedimenti giudiziari, a Hong Kong, fa capire chiaramente che aria tira nell’ex colonia britannica. È arrivata una prima condanna in base alla Legge sulla Sicurezza Nazionale, arrestato un uomo per aver fischiato contro l'inno cinese all'inizio delle Olimpiadi, è stato arrestato un cantante per aver cantato a un evento della campagna elettorale democratica.
Una serie di infausti provvedimenti giudiziari, a Hong Kong, fa capire chiaramente che aria tira nell’ex colonia britannica: ora è parte della Repubblica Popolare Cinese non solo di nome, ma anche di fatto.
Il 27 luglio è stato condannato il primo uomo in base alla nuova Legge per la Sicurezza Nazionale. Tre giorni dopo è stata definita la pena: 9 anni di carcere. Si chiama Tong Ying-kit, 24 anni, professione cameriere. Aveva partecipato alle manifestazioni contro la nuova legge imposta dalle autorità di Pechino, il 1° luglio scorso, portando una bandiera indipendentista, quella con la scritta “Hong Kong libera! La rivoluzione dei nostri tempi!”. Nel corso della manifestazione, fermato dalla polizia, aveva cercato di travolgere degli agenti col suo motorino, prima di essere arrestato. La sentenza avrebbe potuto essere di ordinaria amministrazione, per resistenza a pubblico ufficiale e aggressione alla polizia. Ma è la sentenza che fa la differenza, perché nel mirino c’è soprattutto la sua bandiera. Secondo i tre giudici del collegio giudicante, “mostra parole che sono in grado di istigare altri a compiere atti di secessione”. I magistrati non hanno comunque seguito la richiesta dell’accusa, che premeva per l’applicazione della legge della Repubblica Popolare, ma anche sulla base delle nuove norme di Hong Kong hanno condannato Tong Ying-kit a 9 anni di carcere. L’avvocato ha fatto ricorso e si terrà un processo d’appello.
Nel caso la sentenza venisse confermata, creerebbe un precedente grave. Si tratta di un caso borderline, accettabile anche per un’opinione pubblica libera, come quella di Hong Kong: c’è l’istigazione alla secessione, ma anche la violenza contro la polizia; l’imputato è stato condannato, ma senza seguire la linea “dura” di chi chiede di fare come in Cina. Però, rischia di creare un precedente molto pericoloso. Anche una persona molto più pacifica, nel caso sia accusata di aver recitato, scritto o mostrato slogan insurrezionali (che contengano, anche indirettamente, concetti come la secessione) potrebbe essere condannata.
Gli effetti non tardano a palesarsi. La polizia di Hong Kong, il 30 luglio, ha arrestato un uomo di 40 anni perché sospettato di aver fischiato contro l’inno nazionale cinese, mentre assisteva alle Olimpiadi. Non è stato denunciato sul posto, ma qualcuno lo ha ripreso e mandato online il video. La polizia ha ricevuto diversi rapporti di questo genere. In uno di questi, si parla di persone che, in un centro commerciale, fischiano e urlano slogan anti-comunisti durante l’inno cinese, in un altro un uomo sventola la bandiera dell’epoca coloniale durante la cerimonia di inizio delle Olimpiadi. La polizia ha dunque compiuto un solo arresto, di un uomo identificato, ma è possibile che ne seguano molti altri nei prossimi giorni.
Infine, ma non da ultimo, le autorità hanno arrestato il 2 agosto anche Anthony Wong Yiu-ming, cantante noto a Hong Kong, per aver cantato durante la campagna elettorale di un candidato democratico nelle elezioni del Consiglio Legislativo del 2018. L’accusa è di “corruzione”. Ma non nel senso che tutti noi potremmo immaginare: per “corruzione” si intende eseguire performance artistiche o offrire rinfreschi alla gente per invogliarla a votare per un candidato. Si tratta di un regolamento di origine britannica quasi mai applicato, che però le autorità attuali, filo-Pechino, hanno deciso di applicare alla lettera. Così la Commissione Indipendente anti-corruzione (istituita, appunto, dal governo britannico negli anni ’70) ha trovato Anthony Wong colpevole di aver cantato due canzoni. Ora è già libero su cauzione, ma il segnale è chiaro. E c’è già un precedente: Benny Tai, docente di diritto e leader del movimento democratico, è stato accusato dalla Commissione di aver comprato manifesti elettorali per un candidato, nel 2016, perché solo chi è candidato può spendere per la sua stessa campagna.
La natura delle accuse è rivelatrice. Si tratta, con tutta evidenza, di pretesti per compiere degli arresti politici. Il quadro che emerge è chiaro: chi recita o mostra slogan per la libertà, chi fischia l’inno cinese, chi canta per un candidato democratico o compra manifesti elettorali, finisce nel mirino della magistratura, sempre più allineata ai desiderata di Pechino. Quando cantava all’evento elettorale del 2018, Wong indossava la maglietta con la scritta “Abbasso il Grande Fratello”. E il Grande Fratello non perdona.