Hong Kong in una situazione di stallo
Nella conferenza stampa di martedì il capo dell’esecutivo Carrie Lam ha ripetuto più volte che il contestatissimo provvedimento sull’estradizione verso la Cina è sospeso ma non ritirato. Un modo per salvare la faccia, perché dalle sue parole si capisce che si tratta di un ritiro. La via d’uscita però non si vede perché Hong Kong è instabile. E sullo sfondo c’è la situazione della Chiesa cattolica, da quasi sei mesi senza vescovo titolare.
DA HONG KONG - Martedì 18 giugno Carrie Lam, capo dell’esecutivo di Hong Kong, è apparsa davanti alla stampa locale e internazionale per offrire le sue “scuse più sincere” per la proposta di introduzione di alcune modifiche alla legge sull’estradizione che avrebbe permesso la deportazione di fuggitivi verso luoghi con cui non esistevano accordi in questo senso, come Taiwan (che aveva provveduto il casus belli), Macao (altra città a statuto speciale) e la Cina continentale.
Ora, mentre nessuno avrebbe avuto molto da ridire sui primi due, la possibilità di un tale accordo con la Cina continentale ha generato nella società “paura e ansia” (parole di Carrie Lam) e costretto il governo a sospendere il provvedimento dopo manifestazioni che hanno coinvolto prima un milione e poi due milioni di persone. Una folla enorme.
Onestamente, leggendo di persone che scrivono sulla Cina, sembra che a volte ci sia veramente una situazione di poca comprensione delle dinamiche profonde della stessa. Bastava guardare la conferenza stampa di Carrie Lam e le domande dei giornalisti. Le hanno fatto una decina di volte la stessa domanda e lei ha dato dieci volte la stessa risposta: il provvedimento non sarebbe stato ritirato ma sospeso. Ma poi, dal suo commento, si capiva bene che quella sospensione equivale a un ritiro, solo che in questo modo tutti più o meno salvano la faccia. In Cina il non detto è spesso più significativo di quello che viene detto. Mai come in questo posto è importante leggere fra le righe.
Sullo sfondo di tutta questa vicenda, c’è anche la situazione della Chiesa cattolica che da quasi sei mesi è senza vescovo titolare. C’è da dire che il cardinale Joseph Zen e il vescovo ausiliare Joseph Ha si sono mostrati accanto a coloro che protestavano. La diocesi di Hong Kong, in un comunicato congiunto del 19 giugno, firmato dal cardinale e amministratore apostolico John Tong e dal presidente del Consiglio delle Chiese cristiane, Eric So, afferma che: 1) si accettano le scuse di Carrie Lam; 2) si chiede un’indagine sulle brutalità della polizia contro i manifestanti; 3) si chiede che la proposta di legge sull’estradizione venga non solo sospesa, ma ritirata.
Questo comunicato appare molto significativo, in quanto emanazione dell’ala più conciliatoria della Chiesa di Hong Kong. Probabilmente è stato compreso che rimanere a guardare avrebbe lanciato un segnale non positivo ai tanti fedeli che hanno protestato. Quando sabato 15 giugno sono andato a Messa, ho ascoltato all’acclamazione al Vangelo che veniva cantato “Sing Hallelujah to the Lord”. All’inizio mi era sembrato strano, perché non sapevo ancora quale fosse il significato di questo canto per le persone di Hong Kong. L’ho capito quando ho sentito il canto ripetuto innumerevoli volte durante le proteste.
Qual è la via di uscita? Non c’è. Carrie Lam proseguirà ma sarà essenzialmente detestata come tutti i suoi predecessori, visti come marionette di Pechino. Hong Kong sarà sempre socialmente e politicamente instabile, in quanto non potrà adattarsi alle pretese di adattamento che vengono dal potere centrale. La Chiesa forse continuerà ad adottare il suo atteggiamento di prudenza, ma con il rischio di perdere contatto e fiducia con i suoi fedeli e specialmente con le nuove generazioni. Sarà interessante vedere chi verrà nominato come nuovo vescovo di Hong Kong e quale sarà il ruolo di Pechino in questa scelta, specialmente in un momento come questo.