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GPT-Me, il Grande Fratello che suggerisce la risposta giusta

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Un dispositivo basato sull'IA che ascolta le conversazioni e pensa al posto tuo. «Sono il suo corpo e la mia intelligenza diventa artificiale», dichiara la sua creatrice. E dove pesca i suggerimenti? Naturalmente in rete, dove prevale il pensiero unico.

Attualità 05_11_2024
IMAGOECONOMICA - CARLO CARINO BY AI MID

Aver sempre la risposta giusta? Dare sfoggio di una cultura enciclopedica? Mostrare un eloquio fluente e brillante? E tutto questo senza il minimo sforzo? Oggi è possibile grazie all’intelligenza artificiale (IA).
Fanpage ha intervistato Avital Meshi, biologa comportamentale e New Media Artist, che ha indossato al braccio per mesi un dispositivo di sua creazione che ha battezzato GPT-Me. Si tratta della chatbot GPT modificata al fine di far ascoltare all’IA le conversazioni che la Meshi ha con le persone e di fornire risposte, tramite un auricolare, alla stessa Meshi, la quale poi potrà rispondere come suggeritole dalla macchina oppure no.

La mamma di GPT-Me all’inizio dell’intervista dichiara: «incarno GPT, sono il suo corpo e la mia intelligenza diventa artificiale». L’inserzione più o meno permanente di apparati tecnologici nel corpo delle persone per potenziarne le capacità, una delle possibili varianti dell’Human Enhancement Technologies (clicca qui), darebbe vita al cyborg: l’uomo robotizzato, uno dei traguardi che si pone il movimento transumanista per superare i limiti fisici che madre natura ci ha imposto.

Ma la Meshi, nella interpretazione del significato antropologico di questa sua invenzione, compie un passo ulteriore: è lei ad aver dato il corpo alla macchina. La macchina ha preso possesso di lei, si è incarnata in lei e l’intelligenza naturale è stata sostituita da quella artificiale. La Meshi preconizza uno scenario inquietante perché realistico: le macchine già si sono sostitute a noi nel lavoro – uno degli effetti positivi della Rivoluzione industriale – ossia nel fare e in futuro si sostituiranno nell’essere: scalzeranno la nostra identità perché prenderanno possesso del nostro intelletto e volontà. Ci cancelleranno: esito estremo della cancel culture. Non saremo più noi a pensare ed ad agire come pensiamo, ma l’IA. Ed infatti il campo di ricerca della Meshi riguarda proprio lo studio degli «algoritmi di intelligenza artificiale per la trasformazione dell'identità». Non useremo più la tecnologia, ma noi saremo usati dalla tecnologia, anzi diventeremo parte di essa ed essa parte di noi: «non volevo solo usare questo tipo di intelligenza, volevo integrarla con me», spiega la biologa comportamentale. Da una identità personale ad una identità robotica, perché l’essere umano fuso con la macchina dà vita ad un superuomo, tanto che la Meshi parla della sua applicazione come uno strumento che genera super poteri.

Per giungere a questo scopo è necessario dotare la macchina dei cinque sensi propri dell’uomo, perché così potenzieremo il suo “pensiero”.  Ora GPT-Me sente, ma a breve, spiega la sua creatrice, potrà anche vedere. Il pensiero umano trova il suo incipit sempre dai suoi sensi. Parimenti per le macchine. Se dunque vogliamo sostituire il raziocinio dell’uomo con gli algoritmi dell’IA è indispensabile dotare anch’essa dei cinque sensi. È antropomorfizzare la macchina e reificare l’uomo.
Queste riflessioni sulla sostituzione identitaria trovano un riscontro nelle percezioni psicologiche sperimentate dalla stessa Meshi: «Avere costantemente pensieri e suggerimenti generati dall'IA nella mia testa ha creato un senso di distacco dai miei istinti. Ho iniziato a chiedermi se le mie azioni fossero veramente mie o influenzate dall'IA. Mi sono chiesta quale voce stessi veramente rappresentando e cosa significasse essere il portavoce dell'IA». Notate: lei portavoce dell’IA. Non più quest’ultima al servizio dell’uomo, ma viceversa.

Lo scambio di personalità è stato accentuato dalla Meshi creando un pulsante rosso. Premendo questo pulsante l’IA cambia di personalità: può essere un poeta, un ingegnere, un delinquente o un personaggio famoso. Così racconta la Meshi: «Ho esplorato decine di personalità diverse. Di recente mi sono esibita al New Media Festival a Santa-Fe, New Mexico e ho avuto più di 100 conversazioni individuali. In ognuna di quelle conversazioni ho incarnato una persona diversa. È stato pazzesco». Un disturbo dissociativo di personalità, una volta chiamato disturbo di personalità multipla, autoindotto. La creatrice di GPT-Me ha impersonato anche Alan Turing, Albert Einstein, Mahatma Gandhi, Whitney Houston, Leonard Cohen e Michael Jackson, quasi fosse una seduta spiritica tanto che ha descritto l’esperienza come paranormale.

Dunque, assodato che la matrice culturale di questo device inclina ad una visione transumanista in cui si potenzia la tecnologia a discapito dell’umanità, perseguendo il mito dell’onnipotenza, andiamo a vedere, nel concreto, quali conseguenze positive e negative la Meshi ha riscontrato nel suo utilizzo. Innanzitutto ci sono stati problemi relazionali. Le persone sapevano che Meshi indossava il suo suggeritore personale e quindi si creava una sorta di diffidenza: nelle risposte che lei dava, quanto c’era della Meshi e quanto dell’IA? La creatrice di GPT-Me ha parlato addirittura di tensioni e incomprensioni nate da risposte percepite come innaturali. Più che artificiali, artificiose.
In secondo luogo «c'è il rischio di affidarci troppo – continua la Meshi – il che potrebbe diminuire la nostra capacità di pensare in modo indipendente». Se la macchina risponde e quindi pensa a posto mio, evito di pensare. È la sostituzione del pensiero. Tanto è vero che la Meshi ammette che «quando non lo indosso mi trovo a imitare alcune delle sue risposte quasi come se l'IA mi avesse addestrato a comportarmi in modo diverso». Un plagio tecnologico.

Questo rischio è connesso ad altri due indicati dalla biologa comportamentale: «la tecnologia può alimentare i pregiudizi, perché è addestrata su dati esistenti». Ciò che il gobbo tecnologico suggerisce non è ovviamente farina del suo sacco, bensì è farina del sacco di coloro che inseriscono contenuti in rete, luogo virtuale dove l’IA pesca per fornire risposte. Ed è ovvio che in rete la fa da padrone il pensiero unico. Risultato: avrete nell’orecchio il Grande Fratello che vi suggerirà cosa pensare.

Da qui un ulteriore pericolo: «l'intelligenza artificiale potrebbe essere utilizzata per monitorare e influenzare il comportamento». L’ambizione delirante di alcuni tecnocrati è quella di rendere schiavi le persone volontariamente per orientarle verso alcune scelte e condotte. La manipolazione della coscienza collettiva tramite IA auricolare porterà ad una società di automi. Come dicevamo prima: una società di persone robotizzate in cui la loro coscienza critica è stata sostituita da una coscienza artificiale. La libertà personale verrà così consegnata nelle mani degli sviluppatori dell’IA, soprattutto perché, come ammesso dalla Meshi, GPT-Me può creare dipendenza. Dipendenza dal pensiero unico.
GPT-Me però non promette solo scenari distopici. Ci possono essere anche aspetti positivi nell’utilizzo di questo dispositivo. La Meshi dichiara che il suo uso può stimolare la scoperta di nuovi aspetti della propria personalità, incrementare la conoscenza di tematiche sconosciute, permettere di confrontarsi con persone che hanno competenze completamente differenti dalle nostre.

Che giudizio infine dare di questa invenzione? Tenuto conto delle rilevanti, numerose e assai probabili derive che potrebbe arrecare in seno alla società, generate necessariamente dalla sua matrice transumanista, il device potrebbe essere usato non su larga scala – la sua diffusione sarebbe dirompente – ma con prudenza solo da addetti ai lavori culturalmente e umanamente ben formati. Insomma la gestione di un reattore nucleare non è per tutti.



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