Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
CINEMA

Gosnell, se un film converte gli abortisti

"Ero abortista. Oggi sono pro life", confessa una studentessa. Ma lo stesso hanno dichiarato tantissime persone. Perciò se quando nel 2011 il "caso Gosnell" rivelò la conseguenza ultima dell'aborto, attraverso i crimini commessi dal medico americano, la stampa decise di tacere, oggi che è uscito il film sul suo caso l'omertà si è fatta censura.

Editoriali 29_10_2018

Quando nel 2011 il "caso Gosnell" rivelò la conseguenza ultima della cultura dell’aborto attraverso i crimini commessi dal medico americano che aveva praticato nella sua clinica di Philadelphia migliaia di aborti, fra cui 21 oltre il limite consentito (24 settimane in Pennsylvania) e che uccise tre bambini nati in seguito ad aborti falliti (per cui sta scontando l’ergastolo), la stampa liberal decise di tacere sul caso. Poi, quando fu impossibile evitare la notizia che stava scuotendo il mondo abortista, i media la liquidarono parlando di Kermit Gosnell come di una scheggia impazzita di un sistema ben funzionante.

Così, oggi che il film sull'operato del medico ("Gosnell: The Trial of America’s Biggest Serial Killer") è riuscito a vedere la luce, dopo un lungo lavoro dei produttori e coniugi irlandesi Phelim McAleer e Ann McElhinney che hanno lottato ben tre anni prima per girarlo e tre anni poi per trovare un distributore, la stampa si sta comportando esattamente allo stesso modo. Anche perché la pellicola non nasconde affatto l’assenza in tribunale dei media che lasciarono le prime file riservate alla stampa completamente vuote.

Basti pensare che il New York Times si è rifiutato di recensire il film persino chiedendo al produttore di mentire sul perché di questa scelta. McAleer ha confermato di essere «scioccato» dalla richiesta del Nyt che ha dichiarato contro l'evidenza che la pellicola «non ci è mai stata presentata» per una recensione. Ma se il fatto è sconvolgente, c’era da aspettarsi che il grande quotidiano progressista non avendo praticamente coperto la notizia del processo al medico ora non voglia nemmeno parlare del film.

La pellicola infatti è davvero potente e riesce persino a sconfessare la tesi per cui la prassi del medico è stata una semplice falla del processo. C’è infatti un passaggio che spiega con eloquenza il contrario, ossia che Gosnell rappresenta l’immagine dell’uomo che più perfettamente ha incarnato la ratio abortista: «Non mi pento di quello che ho fatto», aveva dichiarato il dottore convinto di aver servito e aiutato le donne (sebbene non rispettasse nemmeno le 24 ore richieste dalla legge fra la decisione di abortire e l’aborto). Insomma, Gosnell aveva solo ripetuto quello che affermano tutti i medici che praticano omicidi in grembo. Ma c’è di più, perché l’uomo aveva anche domandato quale fosse la differenza fra l’omicidio di un bambino in grembo prima della 24esima settimana e quello di uno nato vivo alla stessa epoca gestazionale. Come a dire: che cosa cambia fra l’assassinio di un figlio in pancia e dello stesso appena nato?

In poche parole, il film è in grado non solo di svelare l'abominio delle legislazioni americane che permettono l’aborto tardivo, ma di far ripensare totalmente alla liceità dell’aborto a qualunque epoca gestazionale. A rivelarlo è il pubblico stesso. McElhinney ha raccontato al Family Research Council che passerebbe «tutto il giorno a leggere le lettere più belle delle persone che hanno cambiato idea rispetto all’aborto guardando il film». Sulla pagina Facebook dedicata alla pellicola ci sono diverse testimonianze a riguardo, come quella di Kathy Zhu, studentessa della University of Central Florida che ha rivelato ai suoi 50.000 follower di twitter che «ieri ero pro Choice. Credevo che le donne dovessero avere diritto di parola e che il governo non dovesse interferire con le nostre vite. Oggi sono pro life. Dopo aver visto Gosnell e aver fatto ricerche accurate, ho finalmente capito… per favore andate a vedere Gosnell». Lo stesso è accaduto allo scrittore e imprenditore Patrick Courriel, che ha confessato di aver abbandonato la sua tesi abortista dopo essere stato al cinema.

Forse per questo, nonostante nel fine settimana del suo debutto il film abbia incassato ben 1.235.800 dollari, arrivando (con produzione e distribuzione indipendenti) dodicesimo al botteghino, il boicottaggio è cresciuto. Se prima il giudice del processo al medico, Jeffrey Minehart, aveva cercato di impedire l’uscita della pellicola con una causa di diffamazione, mentre il colosso delle cliniche abortive, Planned Parenthood, è riuscita ad annullare alcune proiezioni, McAleer ha dichiarato che ora oltre 200 teatri hanno deciso di non proiettare più il film senza nessuna ragione. Sempre sulla pagina Facebook del film il pubblico ha aggiunto che diversi dipendenti delle sale cinematografiche hanno scoraggiato i clienti che volevano acquistare i biglietti, consigliando loro la visione di un altro film. Tutto a dire che dopo il processo e lo scandalo degli organi venduti da Planned Parenthhod anche "Gosnell: The Trial of America’s Biggest Serial Killer" sta facendo la sua grande parte.