Gli pneumatomachi e l'eresia che combatteva lo Spirito Santo
Nel 366 scoppiò una nuova eresia, quella degli pneumatomachi, che negavano la divinità dello Spirito Santo. Nella diatriba fu coinvolto san Basilio Magno, che rispose con uno splendido trattato dogmatico sulla terza Persona della SS. Trinità.
La formula nicena della consustanzialità del Figlio era stata al centro della contesa dei cattolici con ariani e semiariani: i primi avevano realmente un’altra dottrina, mentre i secondi contestavano perlopiù l’homousion (indicante la consustanzialità del Padre e del Figlio, ndr) come termine foriero di equivoci che potevano mettere in discussione la distinzione delle Persone divine. Ancora, i Padri di Nicea avevano utilizzato il termine “ipostasi” con il significato di essenza, ma che aveva anche il senso, soprattutto in Oriente, di persona. Un’ambiguità terminologica che finì per scatenare il putiferio. Come se non bastasse, anche un “silenzio” del medesimo Concilio fu motivo di un’ulteriore divisione. Relativamente alla terza Persona della SS. Trinità, il Simbolo niceno diceva infatti semplicemente: «[Credimus] et in Spiritum Sanctum». Nient’altro.
Già intorno al 359, sant’Atanasio ebbe notizie dal grande vescovo di Thmuis, san Serapione (+ 370 ca), che, tra coloro che respingevano l’arianesimo, ve ne erano alcuni che però negavano la divinità dello Spirito Santo. Un Sinodo radunato ad Alessandria nel 362 condannò questo nuovo errore. Ma lo scoppio di questa nuova eresia si ebbe a partire dal 366, anno della morte di papa Liberio, il quale, come si è visto, aveva riaccolto nella comunione della Chiesa molti vescovi omeusiani (i quali sostenevano la semplice somiglianza, quanto all’essenza, del Figlio al Padre, ma non la loro consustanzialità, ndr), che avevano alla fine accettato la formula nicena.
Fu però proprio tra costoro che si nascondevano gli pneumatomachi, termine che letteralmente significa “chi combatte lo Spirito”, e si riferiva appunto a quanti aderivano alle tesi di Macedonio, vescovo omeusiano di Costantinopoli dal 342 al 360 (perciò vennero detti anche “macedoniani”). Di Macedonio si sa poco o nulla. Il vero leader degli pneumatomachi fu invece Eustazio, vescovo di Sebaste (300 ca - 377). Eustazio era un monaco, chiamato all’episcopato nel 356, la cui reputazione era da tutti onorata per la sua fama di grande asceta. Di posizioni omeusiane, fu proprio uno di quei vescovi che rientrò in comunione con la Chiesa dopo la caduta di Costanzo. San Basilio Magno (329-379) lo stimava molto e lo riteneva un maestro della vita ascetica e della vita monastica. Verso di lui nutriva una grande devozione, che in qualche modo gli aveva impedito di rendersi conto prima dei problemi delle sue posizioni semi-ariane e poi di rimanere lucido sulla sua deriva pneumatomaca. Basilio era consapevole che, su quest’ultimo punto, Eustazio non confessava la corretta dottrina, ma era nel contempo convinto che un sereno confronto con lui lo avrebbe facilmente riportato alla piena ortodossia. La sua valutazione si rivelò errata.
Sullo Spirito Santo, Eustazio aveva scelto una “via mediana”, che di fatto si rivelò capace di compattare attorno a sé molto consenso. In sostanza, egli non voleva affermarne la divinità, ma nemmeno relegarlo a semplice creatura. Eppure parve che, dopo un incontro con Basilio, nel giugno del 372, Eustazio avesse ritrovato la retta fede, o almeno, Basilio si era illuso che così fosse. In effetti, nel 373, Eustazio aveva persino accettato di sottoscrivere l’anatema verso chi affermava che lo Spirito Santo era una creatura. Per Basilio era il segno del suo ritorno all’ortodossia, ma in realtà Eustazio aveva fatto una restrizione mentale: la sua condanna della creaturalità dello Spirito Santo non comportava l’affermazione della sua divinità. Eustazio non solo tradì la fiducia di Basilio, ma arrivò perfino a falsificare una sua lettera della corrispondenza con Apollinare di Laodicea (315-390 ca), così da poter accusare Basilio di “triteismo”, ossia di aver sacrificato l’unità della divinità alla trinità delle Persone.
Un colpo basso, che provocò in Basilio un’enorme amarezza, ma non gli tolse lucidità e zelo per la verità. È in questo contesto che infatti nacque il suo meraviglioso trattato dogmatico Sullo Spirito Santo. Già dieci anni prima, Basilio aveva in qualche modo risposto alla sfida lanciata dall’ariano Eunomio: se lo Spirito Santo, per distinguersi dal Padre, non può essere né ingenerato (perché altrimenti sarebbe il Padre), né generato (perché altrimenti sarebbe il Figlio), allora non può essere altro che una creatura. In questo trattato, Basilio afferma che lo Spirito Santo «proviene da Dio: non al modo della generazione, ma come soffio della sua bocca» (XVIII, 46). E questo dev’essere creduto non perché si tratti di un ragionamento convincente, ma per aderire alla «tradizione apostolica»; gli pneumatomachi infatti «invocano le prove della Scrittura, mentre rifiutano come inattendibile la testimonianza non scritta dei padri» (X, 25). Sarà poi san Gregorio Nazianzeno ad utilizzare il termine preciso di “processione”.
Quando Basilio scrisse la sua opera, nel 373, egli non poté trattenersi dal dare sfogo alla sua amarezza proprio negli ultimi paragrafi del trattato, dove offre uno spaccato della situazione drammatica della Chiesa, estenuata da cinquant’anni di lacerazioni: «A che cosa paragoneremo dunque la situazione presente? È piuttosto simile a un combattimento navale ingaggiato da bellicosi guerrieri avvezzi a battaglie sul mare, i quali a causa di vecchie contese avessero l’animo molto gonfio di collera gli uni contro gli altri» (XXX, 76). E continua: «Questa agitazione delle Chiese non è forse qualcosa di ancor più feroce di una tempesta di mare? A causa sua ogni confine posto dai padri è stato spostato; ogni fondamento, ogni difesa delle dottrine è stata distrutta. Tutto è scosso e rovesciato quel che si erigeva su solido fondamento; e noi ci respingiamo gli uni gli altri gettandoci gli uni sugli altri. E se non ti ha colpito il nemico col lancio, è il tuo aiutante che ti ferisce. E se cadi ferito, il tuo compagno ti passa sopra».
Dentro questa tempesta, che appariva senza fine, furono molti i naufragi: «Alcuni avvennero a causa dell’assalto di nemici, altri per il tradimento segreto degli alleati, altri per l’inesperienza dei comandanti: così perirono intere Chiese che andarono a urtare contro gli inganni sommersi degli eretici; altri, tra i nemici della Passione salvatrice, abbandonarono il timone e fecero naufragio nella fede» (XXX, 77). A tutto ciò, occorre aggiungere anche «i turbamenti introdotti dai principi di questo mondo».
Che fare di fronte a questo rumore incessante, che «ha riempito ormai da vicino tutta la Chiesa deviando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della pietà»? Che fare quando «non c’è chi sorregga il debole nella fede»? Dobbiamo consegnare le armi? Oppure tacere talune verità per cercare di far numero? Si deve ricorrere a gesti eclatanti, che siano più forti di tutta questa confusione? O ancora edificare una chiesa più ortodossa, nella quale si possa stare al sicuro finché non sia passata la tempesta? Basilio indica un’altra strada: «Ce lo hanno insegnato anche i fanciulli a Babilonia che quando non c’è nessuno che si ponga dalla parte della pietà, bisogna portare a compimento da soli l’impegno: essi lodavano Dio in mezzo alle fiamme, senza prestare attenzione alla folla dei dispregiatori della verità, ma si contentavano di farlo tra loro, essendo in tre. Ecco perché la nuvola dei nemici non ci incute timore, anzi abbiamo posto la speranza nell’aiuto dello Spirito e abbiamo proclamato la verità in tutta franchezza» (XXX, 79)».
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