Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
IL LIBRO/ LIBERARE LA GIUSTIZIA

Giustizia politica, figlia sinistra della Dea Ragione

Ascolta la versione audio dell'articolo

In tempi di riforma della magistratura, stimola la riflessione il libro "Liberare la giustizia" di Ferdinando Cionti e Dario Fertilio, sull'origine della politicizzazione della giustizia. E sulla riforma migliore.

Politica 12_06_2024
Davigo, Di Pietro, Colombo, il pool di Mani Pulite (La Presse)

Nei giorni in cui, dopo la pausa elettorale europea, si inizia a parlare seriamente di riforma della magistratura, con le toghe che si ritengono vittime di una “vendetta”, con Barbara Berlusconi che ricorda, nell’anniversario della morte, il padre Silvio come “il leader politico più perseguitato”, è quantomeno stimolante leggere Liberare la giustizia, di Ferdinando Cionti e Dario Fertilio. Uscito nel 2023 con l’editore Licosia, fa discutere soprattutto in questi giorni. Nell’evento di Lodi Liberale, proprio mentre il ministro Crosetto rilanciava la riforma, i due autori incrociavano le lame con un pacatamente indignato procuratore Maurizio Romanelli. Il libro, in effetti, tocca una serie di nervi scoperti ed è volutamente provocatorio. Senza giri di parole, per esempio, gli autori parlano di “giudici comunisti”. Ma contrariamente a chi vuol fare propaganda, dimostrano anche perché il nostro sistema possa generare realmente il comunismo giudiziario.

Dario Fertilio, penna storica delle pagine culturali del Corriere della Sera, non si accontenta di contestare un sistema troppo sbilanciato dalla parte della pubblica accusa, né si addentra in tecnicismi, carte o casi giudiziari. Quel che contesta è il sistema, nella sua sostanza, nato dalle idee della Rivoluzione Francese. L’idea che possa esistere un giudice professionista, di carriera, super partes e imparziale interprete della legge, è un’illusione nata dalla fede nella Dea Ragione. Nella realtà, non può esistere un giudice neutrale, come ogni essere umano ha le sue idee. L’estrema conseguenza di questo sistema può essere il comunismo, perché il marxismo, nella sua pretesa scientificità, diventa il parametro delle sentenze. Nella giurisprudenza sovietica, infatti, era equa la sentenza che faceva oggettivamente gli interessi del proletariato. Quindi un furto non era un reato, un’idea anticomunista costava il gulag o la morte.

In Italia corriamo questo rischio? Sì, decisamente. Il fatto di vivere in uno stato di diritto non ci rende immuni dall’ideologizzazione dei giudici. Fu Togliatti per primo a nominare i primi magistrati (i “togliattini”), nel breve periodo in cui era ministro di Grazia e Giustizia. E il Partito Comunista ha seguito successivamente questa tradizione, istituendo addirittura scuole di partito apposta per preparare chi studiava per passare il concorso di magistrato. Quindi è esistita realmente la conquista comunista delle cittadelle della giustizia, oltre che di quelle della cultura. Ma un fattore di distorsione politica, ancor più evidente, è l’esistenza di un sindacato dei magistrati, l’Anm, con le sue correnti politiche interne. Correnti che, con l’ordinamento vigente, consentono di far carriera per motivi politici e di lottizzare le nomine dei magistrati, come ha svelato anche il suo ex presidente Luca Palamara.

La politicizzazione della magistratura viene ricostruita nelle pagine scritte da Ferdinando Cionti, che non è un avvocato qualsiasi: era stato incaricato da Bettino Craxi per esaminare la legittimità dell’operato del pool di Mani Pulite. Da quella esperienza aveva tratto un libro dal titolo eloquente: Il colpo di Stato. La magistratura politica, comunque, non parte da Craxi o da Mani Pulite, in generale, ma vent’anni prima. Negli anni ’70 si afferma infatti la figura del “pretore d’assalto” che interpreta la legge in modo creativo, anticipando l’opera del legislatore, per punire i nemici del popolo. Fra i primi colpiti c’è soprattutto Enrico Chiari, presidente della società Chiari e Forti, produttrice di olio di colza. Una causa salutista, perché si riteneva che l’olio di colza fosse pericoloso, secondo alcuni convegni scientifici di allora. Chiari aveva rispettato tutte le leggi, ma fu condannato a sette anni di carcere nel nome del principio superiore della salute dei cittadini. Venne poi assolto in appello, ma la sua ditta era rovinata. Il pretore d’assalto si è fatto sistema, grazie alla costruzione di un castello istituzionale, fatto di penetrazioni politiche nel Consiglio Superiore della Magistratura, l’istituzione dell’Associazione Nazionale Magistrati e delle sue correnti, il potenziamento della figura del Pm e la fine delle salvaguardie a difesa dell’imputato, fino all’abolizione, in piena Mani Pulite, dell’immunità parlamentare.

I due autori, Cionti e Fertilio, non si limitano a contestare il presente, suggeriscono anche una soluzione per il futuro. La riforma deve partire dall’espressione costituzionale: “la sovranità appartiene al popolo”. Se questa affermazione viene presa sul serio, non è ammissibile un corpo completamente separato dal popolo, indipendente e autoreferenziale, così come è diventata la magistratura. Deve esserci prima di tutto la responsabilità civile del giudice, come chiesto nel referendum popolare (poi aggirato) del 1987. Le carriere, e non solo le funzioni, di giudici e pubblici ministeri devono essere separate. I pubblici ministeri dovrebbero essere espressione del ministero della Giustizia. Se la riforma dovesse essere ancor più coerente, i Pm dovrebbero essere periodicamente eletti. Il giudice, in un processo penale, dovrebbe lasciar emettere il verdetto dalla giuria, dopo aver ascoltato accusa e difesa e limitarsi, professionalmente, a formulare la sentenza. Nel processo civile, il giudice stesso dovrebbe essere elettivo. Una riforma alla “americana” insomma, che fa venire i brividi a chi è abituato a ragionare nella tradizione della cultura giuridica italiana.

E se una giustizia amministrata da giurati, Pm democraticamente eletti (o nominati da ministri democraticamente eletti), persino giudici elettivi, si trasformasse in un linciaggio legalizzato? Se nelle regioni più a rischio di mafia, la giustizia diventasse espressione delle cosche e dei loro interessi? Il punto è che nella storia recente noi abbiamo già assistito a tutto questo. Soprattutto abbiamo assistito a un linciaggio politico in piena regola: Mani Pulite. Perché i professionisti della giustizia, appunto, oltre a non essere eletti e non essere responsabili di fronte ad alcuno, non garantiscono neppure di essere neutrali. Come minimo, tentando questa riforma (che comunque non è quella del ministro Nordio, che non è così radicale), non avremmo nulla da perdere.