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il caso spano

Giuli, attacchi di un inadeguato ministro anticlericale

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Nel disperato tentativo di difendere la nomina di Spano, il ministro della cultura Giuli attacca la Bussola e se la prende, col livore degli anticlericali, con quel mondo cattolico e pro life senza i voti del quale oggi sarebbe ancora nell'infosfera globale da cui proviene. E così provoca l'ira di mezzo partito. 

Editoriali 14_10_2024

Ora che la vicenda Spano collegata ad Alessandro Giuli è esplosa in tutto il suo clangore mediatico, sta emergendo agli occhi dell’opinione pubblica la statura inadeguata del neoministro della cultura chiamato da Giorgia Meloni a sostituire Gennaro Sangiuliano dopo il Boccia gate. Un’inadeguatezza fatta di dichiarazioni sguaiate e scelte improvvide, come quella di difendere oltre ogni ragionevolezza la bontà della nomina a vicecapo di gabinetto (e probabilmente prossimo capo di gabinetto) dell’ex direttore dell’Unar che nel 2017 dovette lasciare il suo posto a seguito dello scandalo dei finanziamenti, poi non erogati, a circoli a cui lui era iscritto, che si era scoperto praticavano la prostituzione gay.

Negli ultimi due giorni, vale a dire dopo che la bomba Spano è esplosa a seguito della clamorosa petizione di Pro Vita che ne chiede la rimozione, nata dopo due articoli della Bussola in cui si metteva in correlazione il nome di Spano ai fatti del 2017, il ministro si è dato da fare disperatamente per cercare di disinnescare la miccia di un caso che a detta di Antonio Brandi di Pro Vita è ancor più grave dello scandalo Boccia. «Sconcerta pensare che il centrodestra abbia bisogno di pescare la propria classe dirigente nel campo avverso, per di più proprio in ambito culturale, già storicamente colonizzato da ideologhi di sinistra», ha detto.

Così Giuli si è mosso per blandire quel mondo pro-life e pro-family contrario a quella nomina che rappresenta una buona fetta di elettorato cattolico che votando Giorgia Meloni, consente ora all’ex direttore del Maxxi di occupare la scrivania del Collegio romano. Giuli vuole spegnere l’incendio sperando che nessuno si accorga che nominare Spano come suo principale collaboratore equivalga a mettere in difficoltà non solo la Meloni, che nel 2017 fu tra i più accaniti sostenitori della necessità di defenestrare l’allora direttore dell’Unar, ma anche tutti gli altri membri della maggioranza di centrodestra, nessuno dei quali, da La Russa a Gasparri, da Taiani a Malan vede di buon occhio questa decisione mentre mezzo FdI è pronto alla guerra col ministro, da Isabella Rauti a Maddalena Morgante passando per il ministro Eugenia Roccella. Ferite che non aiutano la Meloni che di tutto ha bisogno ora tranne che di un nuovo fronte aperto. Così ha obbligato Giuli a risolvere la questione velocemente e indolore. E lui non ha avuto niente di meglio da fare che blandire, e contemporaneamente umiliare, l'ala cattolica del suo partito. 

Ma i tentativi del ministro sono destinati a non sortire alcun effetto lenitivo, anche perché – e questo è uno dei suoi errori – sta cercando di inquadrare il caso Spano in una dimensione privata quando invece è squisitamente politica. 

Lo dimostra una dichiarazione di Giuli raccolta sabato da Francesco Borgonovo sulla Verità: «Prendo le persone brave che hanno dimostrato dedizione e lealtà lavorando con me, quelle in cui ho fiducia. (Spano ndr) È un cattolico progressista, tutto quello che fa nella sua vita privata riguarda lui», ha detto Giuli. Ma il problema non è privato, bensì politico. «Nel curriculum di Francesco Spano – ha proseguito Pro Vita - c'è anche la consulenza legislativa per il Partito Democratico, area politica di cui l'irrinunciabile funzionario è chiara espressione. Che poi, sarebbe pure da chiedersi come Spano sia finito al Maxxi, quando la Presidente era la grande matrona del Pd Giovanna Melandri, Ministro della Cultura con D'Alema... altro capitolo...?». In più, il suo essere vicino al mondo Lgbt per svariate ragioni lo pone nettamente al di fuori del perimetro ideale dell’attuale maggioranza di governo.

Insomma, mentre Pro Vita non molla sul punto, nonostante i goffi tentativi di Giuli di “scendere a patti” e minaccia un sit in davanti al Collegio romano, il ministro teme che la bomba Spano possa scoppiargli tra le mani molto presto.

E per questo cerca di distogliere l’attenzione mediatica creando dal nulla il caso di Francesco Giglioli, che fino a venerdì era capo di gabinetto, ma che è stato silurato con tanto di Pec dall’oggi al domani senza una ragione precisa. «È venuta meno la fiducia», ha scritto Giuli nel dare notizia della sua cacciata, ma nel frattempo il ministro ha fatto trapelare indiscrezioni al limite della calunnia, cercando di insinuare che Giglioli, ai tempi dello scandalo Boccia, fosse coinvolto in chissà quale complotto ai danni del ministero. «È stato colto con le mani nella marmellata», avrebbe detto Giuli salvo però non fornire pubblicamente le prove delle sue paventate malefatte né ai giornali né alla maggioranza di centrodestra che gli chiedeva insistentemente il perché di questa decisione così improvvisa e ingiustificata, dato che su Giglioli, come funzionario del Senato e poi del ministero della Cultura non erano mai emersi sospetti né problematiche, anzi era sempre stato considerato un eccellente tecnico.

Ma anche questa operazione è destinata a creare un buco nell'acqua: tirato in ballo, Report ha subito smentito ogni coinvolgimento e gli alleati sono irritati dalla fumosità e dalla genericità delle sue accuse. Il tutto sembra piuttosto rientrare nel piano di Giuli di coprire il caso dell’ex direttore dell’Unar.

Nel frattempo, però il ministro ha mostrato chiaramente che idea bislacca abbia del mondo cattolico, che in queste ore sta protestando per quella nomina. Sempre nel colloquio con la Verità, Giuli ha espresso commenti al vetriolo su un movimento di popolo, cattolico e pro-vita, disinteressato alle lotte di potere, ma interessato alla verità delle cose e alla coerenza tra pensiero e azione dei politici.

«Ho sempre avuto ottimi rapporti col mondo pro-life – ha detto vantandosi di aver diretto per un periodo anche il settimanale vicino a Cielle Tempi – ma colgo un certo fermento in quell’area, leggo un articolo in cui mi si dà del neopagano che porta la lobby gay al ministero. Rispondo che per me vale la legge della laicitè. Se qualche vedova inconsolabile del Papa re vuole rodersi il fegato è libera di farlo. Sono altri che si agitano non mi interessa il confronto con chi ha pregiudizi fondati su fanatismi religiosi».

Ecco l’idea di laicità che ha Giuli, ministro di un governo che ha avuto i voti da molti cattolici: lui è l’illuminato dai tratti gnostici, snobisticamente elitario, che pronuncia le parole in francese, gli altri che contestano le sue scelte sono trogloditi nostalgici del Papa re e fanatici religiosi. Praticamente un linguaggio da anticlericale dell’800, vecchio nei toni e aggressivo nei contenuti, che getta le premesse ideologiche di un laicismo livoroso, che non affronta i problemi, ma procede per slogan.

E non stupisce quel riferimento «leggo articolo in cui mi si dà del neopagano che porta la lobby gay al ministero». Qui Giuli si riferisce proprio al nostro articolo che ha dato il via alla protesta di Pro Vita intitolato proprio Giuli, la nomina di mister Lgbt e il complesso del parvenu dove si faceva riferimento al suo pensiero neopagano (si rilegga QUI) e alla sua decisione di portare il mondo Lgbt con la nomina di Spano al Collegio romano. Ma il fegato non c’entra, sono fatti. E i fatti sono davanti agli occhi di tutti: Giuli vuole a tutti i costi Spano senza curarsi del curriculum inadatto che porta con sé. E non è un problema di merito o di competenze, perché la nomina di un capo di gabinetto è una nomina politica, non solo tecnica, sennò lo Stato avrebbe provveduto ad assegnarla per concorso. E come nomina politica deve confrontarsi anche con l’equilibrio di una compagine governativa, che si regge anche grazie al voto di tanti cattolici che non hanno nulla a che fare né con il pensiero ateistico dei movimenti della destra estrema da cui proviene Giuli né con le istanze Lgbt che non vedono l’ora di mettere un loro uomo a capo di una macchina ministeriale da sempre occupata dalla Sinistra.

Insomma, nel tentativo di ridare il buon nome al ministero dopo lo scandalo Boccia-Sangiuliano, il governo del Dio, patria e famiglia, del Rosario di Salvini, dell’«io sono Giorgia, sono cristiana», si è affidato ad una figura inadeguata e pericolosamente anticlericale che ferisce definendoli fanatici, milioni di suoi elettori, senza il voto dei quali Giuli sarebbe ancora a spasso, per usare un'espressione a lui cara e ostentata con spocchiosa superiorità intellettuale, nell’infosfera globale da cui proviene.



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la petizione

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In corsa per un posto al Ministero l'uomo dello scandalo gay-Unar

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