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BOMBE VATICANE

Giuda e l'Inferno, Paglia scomunica anche Gesù

Hanno fatto rumore le ultime esternazioni di monsignor Paglia, che ha definito “eretico” chi crede che Giuda sia all’Inferno. Ma i Vangeli, nonché molti santi e papi lo smentiscono. E anche sull’assistenza religiosa a chi si ostina al suicidio assistito le parole del vescovo contraddicono il Magistero.
- E PER VATICAN NEWS LA VERGINE DI GUADALUPE È UNA LEGGENDA, di Giuliano Guzzo

Ecclesia 14_12_2019 English Español
Monsignor Vincenzo Paglia

Gesù Cristo è eretico. Eh sì, cari lettori, è la triste verità. O non vorrete forse dubitare delle asserzioni di mons. Vincenzo Paglia? Sua Eccellenza, lo scorso 10 dicembre ha presentato il Simposio internazionale Religione ed etica medica: cure palliative e la salute mentale durante l'invecchiamento, organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita e dalla World Innovation Summit for Health, Simposio che si è tenuto a Roma presso l'Augustinianum, l’11 e il 12 dicembre (vedi qui e qui).

Rispondendo ad alcune domande di un giornalista, mons. Paglia ci informa che «per la Chiesa cattolica, se uno afferma che Giuda sta all'inferno, è un eretico». Abbiamo già dovuto udire diverse volte dal pulpito (pardon, dall’ambone) di Santa Marta che Giuda si è in realtà pentito (10 aprile 2016), che Giuda è «la pecora smarrita più perfetta» che il Vangelo ci presenta (6 dicembre 2016) e qualche giorno dopo (13 dicembre) che «il povero Giuda traditore e pentito non è stato accolto dai pastori». Poi abbiamo avuto la fila di interventi sull’interpretazione del capitello della Basilica Santa Maria Maddalena di Vézelay, quasi rappresentasse la salvezza di Giuda; interpretazione che si basava su libro di Eugen Drewermann, Il Vangelo di Marco. Immagini di Redenzione, ma che in realtà risulta errata.

Dunque, purtroppo, il tema gnostico della salvezza di Giuda non è nuovo; la novità sta nell’anatema lanciato da Paglia, il quale non dev’essersi accorto di averlo scagliato contro Gesù stesso, che, in riferimento a Giuda, non aveva lasciato adito a dubbi: «Il Figlio dell'uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo è tradito! Bene per quell'uomo se non fosse mai nato!» (Mc. 14, 21). Cosa c’è di peggio che non l’essere mai nato? Chiunque abbia la fede cattolica nell’esistenza dell’Inferno, conosce bene la risposta.

Una maledizione, quella riportata, che il Maestro non ha lanciato contro gli altri discepoli, che pure lo hanno abbandonato e neppure contro Pietro, che lo ha rinnegato per ben tre volte. Evidentemente Gesù, che è Dio, sapeva che il traditore non si sarebbe pentito. Ma non si tratta dell’unico elemento delle Scritture che ci porta almeno a non essere troppo ottimisti circa la sorte eterna di Giuda; Gesù, pregando il Padre, si rivolge a Lui con queste altre inequivocabili parole: «Nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura» (Gv. 17, 12).

E’ vero che ormai abbiamo imparato dal generale dei Gesuiti che, in assenza di registratori imperiali, non sappiamo esattamente cosa abbia detto Gesù; ma ci si conceda che queste parole dimostrano almeno che la prima comunità cristiana riteneva – eccome! – che Giuda fosse finito nei bassi fondi. Tutti eretici.

Eretici pure gli estensori del Catechismo tridentino, che, riferendosi alla virtù di penitenza, nel paragrafo 241, hanno messo in guardia da quell’eccesso che si chiama disperazione: «Tale sembra essere stato il caso di Caino che esclamò: "II mio peccato è più grande del perdono di Dio" (Gn 4,13) e tale fu certamente quello di Giuda, il quale pentito, appendendosi al laccio, perdette insieme la vita e l'anima (Mt 27,3; At 1,18)». Forse per Caino, ma certamente per Giuda. Anathema sit!

Eretico anche San Leone Magno, che nel Sermone LXII (undicesimo sulla Passione), parla della disperazione di Giuda ed afferma che «il traditore, non poté ottenere questo perdono, perché, quale figlio di perdizione, avendo alla destra il diavolo, giunse alla disperazione prima ancora che Cristo completasse l’opera, sacra ed efficace, della universale Redenzione». Ed aggiunge, a scanso di equivoci, che «l’empio traditore insorse contro se stesso non con la resipiscenza di chi si piega a penitenza, ma con la follia di chi va in perdizione. Fu così che, avendo venduto agli assassini l’autore della vita, anche nell’atto di morire, commise peccato, ad aumento della sua condanna (in augmentum damnationis suae)». E si potrebbe proseguire, con altri santi e dottori. Ovviamente tutti eretici.

Ma perché mons. Paglia si mette ad anatemizzare gli insensibili accusatori di Giuda in un contesto di riflessione sulle cure palliative?

La Conferenza Episcopale Svizzera ha deciso di dare delle indicazioni dottrinali e pastorali sul suicidio assistito, dilagante nel paese elvetico, con il documento Comportamento pastorale di fronte alla pratica del suicidio assistito (testo francese scaricabile qui e riassunto in italiano qui). I Vescovi hanno espresso la radicale contrarietà di questa pratica al Vangelo ed hanno affermato il dovere di difendere la vita umana dal concepimento alla morte naturale. Se il suicidio rimane «un atto intrinsecamente cattivo», il suicidio assistito è ancora più grave, in quanto «azione riflessa, organizzata e pianificata».

Il documento affronta poi una questione pastorale delicata: di fronte a diverse richieste da parte di persone che hanno scelto il suicidio assistito, di essere accompagnate dalla presenza del sacerdote, i vescovi elvetici hanno esortato ad accompagnare queste persone il più possibile, nella speranza del pentimento. Ma hanno poi aggiunto che «l’agente pastorale ha il dovere di lasciare fisicamente la camera del malato nel momento stesso dell’atto suicida».

La ragione di questo comportamento è spiegata con chiarezza: «Rifiutandosi, in questo momento preciso, di assistere una persona che volontariamente si toglie la vita, l’agente pastorale testimonia con i fatti l’opzione della Chiesa in favore della vita [...] Malgrado tutti gli sforzi fatti, la presenza di un agente pastorale a fianco di una persona che si suicida deliberatamente, sarebbe interpretata, forse a posteriori, come un sostegno o una cooperazione: non solo i familiari coinvolti e le associazioni stesse potrebbero interpretare questo atto come un’approvazione dell’aiuto al suicidio, ma la società potrebbe pensare che la Chiesa avalli queste azioni: il rischio è immancabilmente quello di un oscuramento della testimonianza pubblica della Chiesa in favore della vita».
I vescovi svizzeri hanno dunque trovato il giusto equilibrio tra l’assistenza umana e spirituale alla persona e la testimonianza della riprovazione del suicidio assistito.

Mons. Paglia, con la precisione e la delicatezza di un elefante in una cristalleria, rispondendo proprio ad una domanda sulla questione pastorale affrontata nel documento, se ne è uscito con espressioni di questo tipo: «Mai nessuno deve essere abbandonato, in qualunque situazione si trovi [...] Accompagnare e tenere per mano chi muore è un grande compito che ogni credente deve promuovere, così come il contrasto al suicidio assistito». Già. E perché non stare con una donna nel momento in cui abortisce? E magari di fianco ad un sicario, mentre uccide un innocente? Dopotutto, il Signore non abbandona nessuno.

Paglia ha poi aggiunto: «Io faccio sempre i funerali a chi si suicida». Male, perché se è vero che il Codice di Diritto Canonico (can. 1184) in vigore non menzioni esplicitamente i suicidi tra le categorie di coloro ai quali si devono rifiutare le esequie ecclesiastiche, è altrettanto vero che vi sono però «i peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli». Di fronte ad un suicidio, specie se in presenza dell’aggravante della predeterminazione e del rifiuto di ravvedimento, bisognerebbe almeno prendere seriamente in considerazione l’eventualità che si tratti proprio del caso previsto dal Diritto Canonico.

Poi, in perfetto stile Sant’Egidio, chiarendo di non aver «letto nel dettaglio il documento» dei vescovi della Svizzera, mons. Paglia si sfila dall’argomentazione, con la solita scusa di chi lancia il sasso e ritira la mano: «Il tema va oltre le leggi e io non voglio dare una regola per contraddire e via dicendo. Vorrei togliere l’ideologia da queste situazioni per sempre e per tutti. [...] Evitiamo di bloccarci su dibattiti ideologici: quello che è più importante è l’accompagnamento». Già, l’accompagnamento; se poi la direzione sia verso la salvezza o la condanna eterna poco importa: l’importante è accompagnare. E soprattutto mettere il cervello in naftalina, altrimenti si diventa ideologici.

Morale della favola, mons. Paglia esorta ad accompagnare senza una meta, non rifiuta a nessun suicida il funerale, ma non risparmia l’accusa di eresia a chi ritiene che Giuda sia all’Inferno. La domanda sorge spontanea: siccome il canone appena citato, afferma anche che si debbono rifiutare i funerali a «quelli che sono notoriamente apostati, eretici, scismatici», vuoi vedere che Paglia li rifiuterà a noi, che crediamo che Giuda sia nel fuoco inestinguibile?