Giornata del malato, spunto di riflessione anche per la Chiesa
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«Non è bene che l’uomo sia solo», è il tema della XXXII Giornata mondiale del malato. Una sottolineatura giusta e in linea con secoli di amore cristiano verso i malati. Ma che dovrebbe indurre a riflettere su come, anche nella Chiesa, si è affrontato il Covid.
La Giornata mondiale del malato, che ricorre domani, venne istituita da san Giovanni Paolo II e si celebra dal 1993 nel giorno in cui si fa memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes. Essa vuole essere per tutti i credenti sia un momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa e del mondo, sia un momento di riflessione, un invito a riconoscere nel volto del malato il volto stesso di Cristo che – soffrendo, morendo e risorgendo – ha operato la salvezza dell'umanità. Le domande di fondo poste dalla realtà della sofferenza, infatti, e l'appello a recare sollievo sia dal punto di vista fisico che spirituale a chi è malato interpellano tutte le coscienze sui limiti della fragile condizione umana.
Nelle proprie abitazioni o nei luoghi di ricovero e di cura – ospedali, cliniche, centri per disabili, case per anziani – tante persone conoscono il calvario di patimenti spesso ignorati, non sempre idoneamente alleviati, e talora persino aggravati per la carenza di un adeguato sostegno.
Il tema della Giornata di quest’anno è: «Non è bene che l’uomo sia solo». Curare il malato curando le relazioni.
Negli anni della pandemia da Covid-19 la solitudine è stata la tragica condizione in cui si sono trovate centinaia di migliaia di persone, che per presunte “ragioni di sicurezza” non potevano ricevere visite durante il ricovero ospedaliero. Per non parlare degli anziani nelle RSA, strutture che periodicamente venivano chiuse alle visite anche per un solo caso di Covid, con sofferenze psicologiche inenarrabili per gli ospiti. E quante persone sono morte senza avere accanto nessuno dei propri cari, senza ricevere gli ultimi Sacramenti, in una solitudine angosciante?
Oggi fa bene la Chiesa a porre la propria attenzione sull’importanza del non essere solo nella malattia, ma ancora una volta molti, al suo interno, dovrebbero fare un approfondito esame di coscienza su come ci si è rapportati con le direttive governative di gestione del Covid-19. È bene ricordare che dietro la malattia c’è sempre un volto, un’anima, una storia, una persona. L’uomo viene prima dei protocolli. Occorre fermarsi e ascoltare il malato ed entrare in empatia con lui, facendosi carico della sua sofferenza: questo può essere un sostegno e una consolazione per chi sta soffrendo.
Occorre dare significato e valore all'angoscia, all'inquietudine, ai mali fisici e psichici che accompagnano la nostra condizione. Quale giustificazione trovare per il declino della vecchiaia e per il traguardo finale della morte che, malgrado ogni progresso scientifico e tecnologico, continuano a sussistere inesorabilmente? I cristiani hanno da duemila anni una risposta, che è Cristo stesso, Verbo incarnato, Redentore dell'uomo e vincitore della morte. Solo in Lui è possibile trovare la risposta a tali fondamentali interrogativi. Alla luce della morte e risurrezione di Cristo la malattia non appare più come evento esclusivamente negativo: essa è vista piuttosto come una “visita di Dio”, come un'occasione per far nascere opere di amore verso il prossimo, per «trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell'amore» come scrisse Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Salvifici Doloris.
Non lasciare il malato nella solitudine è una forma di carità: visitare gli infermi, che è un invito rivolto da Cristo a tutti i suoi discepoli. È un vero e proprio ministero, quello della consolazione, che è compito di ogni battezzato, memore della parola di Gesù: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36).
La storia della Chiesa e della spiritualità cristiana offre di ciò amplissima testimonianza. Lungo i secoli sono state scritte pagine splendide di eroismo nella sofferenza accettata e offerta in unione con Cristo. E pagine non meno stupende sono state tracciate mediante l'umile servizio verso i poveri e i malati, nelle cui carni martoriate è stata riconosciuta la presenza di Cristo povero e crocifisso. Questa logica dovrebbe trasferirsi auspicabilmente anche alle scelte politiche, che dovrebbero mettere al centro la dignità della persona umana e i suoi bisogni, favorire strategie e risorse necessarie per garantire ad ogni essere umano l’accesso alle cure e impedire l’abbandono dei fragili alla solitudine.
La malattia e il dolore interessano ogni essere umano: l'amore verso i sofferenti è segno e misura del grado di civiltà e di progresso di un popolo.