Gesualdi e la Sla, ciò che la compassione non giustifica
Le condizioni dell'ex presidente della Provincia di Firenze Gesualdi non possono non muovere a compassione e a grande rispetto, ma parimenti diversi passaggi della sua lettera ai vertici dello Stato non possono essere giustificati. Ecco perché.
Michele Gesualdi è stato per due volte presidente della provincia di Firenze. Ora è malato di Sla e nel marzo scorso ha scritto una lettera aperta al Presidente della Camera dei Deputati, al Presidente del Senato e ai capigruppi parlamentari affinchè venga approvata in tempi brevi la legge sulle Dat ferma in Parlamento. La lettera è stata rilanciata da Repubblica il primo novembre scorso con il chiaro intento di non far spegnere i riflettori sul tema.
Le condizioni di Gesualdi non possono non muovere a compassione e a grande rispetto, ma parimenti diversi passaggi della sua lettera non possono essere giustificati. Ne esaminiamo solo alcuni. Ad esempio Gesualdi qualifica la ventilazione meccanica e la nutrizione e idratazione assistite, somministrate tramite Peg, come accanimento terapeutico. Infatti riferendosi a questi strumenti di sostentamento vitale scrive: “Per quanto mi riguarda in modo molto lucido ho deciso di rifiutare ogni inutile intervento invasivo”. Ma questi presidi non sono inutili perchè sono proporzionali al loro fine: la ventilazione tramite tuboendotracheale o tracheostomia soddisfa pienamente il fine della respirazione cioè ossigenazione del sangue ed eliminazione dell'anidride carbonica. La nutrizione e idratazione soddisfano l’esigenza fisiologica della fame e della sete. Questi fini sono poi strumentali ad un fine più importante: la sopravvivenza. Dunque il disagio psico-fisico sperimentato da Gesualdi è compensato largamente dal beneficio: rimanere in vita.
Ovviamente il punto cruciale per l’estensore della lettera sta nel fatto che quella non sarebbe vita degna di essere vissuta. Si abbraccia in tal modo l’etica della qualità della vita. L’esistenza conserva un suo valore solo se è impreziosita da alcuni aspetti: la possibilità di respirare, nutrirsi e bere in autonomia, l’assenza di dolore e di patologie gravi, il pieno possesso delle proprie facoltà mentali, la capacità di relazionarsi con gli altri normalmente, di porsi fini razionali, l’autocoscienza e tante altre qualità psico-fisiche o funzioni proprie di una persona sana o comunque non gravemente disabile come potrebbe essere un malato di Sla. Di contro un’etica personalista ci dice che la vita vale sempre la pena di essere vissuta anche se priva di tutti quegli aspetti che prima abbiamo indicato, elementi importantissimi per vivere bene, ma che non fondano la dignità della persona umana la quale non viene intaccata dalla privazione della salute, della coscienza, dell’autonomia, etc. Tu rimani persona e la tua vita conserva una preziosità intrinseca elevatissima anche se non sei più autonomo nel respirare e nel mangiare, anche se questo ti fa soffrire ed anche se non ci sono più speranze di guarigione.
Poi Gesualdi aggiunge, sempre in riferimento a ventilazione e Peg, che “non sono interventi curativi, ma solo finalizzati a ritardare di qualche giorno o qualche settimana l’irreparabile, che per il malato, significa solo allungare la sofferenza in modo penoso e senza speranza”. In primo luogo il paziente va sempre curato anche se la sua patologia ha sicuramente un esisto infausto. Altrimenti scadremmo nell’abbandono terapeutico. La medicina si prende cura di tutti i sofferenti, soprattutto di quelli senza speranza di guarigione. In secondo luogo c’è ad aggiungere che, sebbene non conosciamo il quadro clinico di Gesualdi, rimane il fatto che anche nel caso in cui la sua morte fosse incombente, ventilazione, nutrizione ed idratazione – eccetto nel caso in cui fossero inutili per gravissime complicazioni che determinerebbero la morte a breve – vanno sempre somministrate proprio per il motivo che sta a cuore a Gesualdi. Togliere infatti questi presidi renderebbe il trapasso assai più doloroso.
Ed è la sofferenza l’altro corno del problema, sicuramente il più importante: “Personalmente - scrive Gesualdi - vivo questi interventi come se fossero una inutile tortura del condannato a morte prima dell’esecuzione”. Rinunciare alla ventilazione, idratazione e nutrizione significa voler morire per non soffrire più, significa chiedere l’eutanasia, nonostante l’estensore della lettera non la voglia chiamare così. Dunque non sono tanto ventilazione, nutrizione e idratazione che fanno problema, ma è la Sla. Le prime infatti permettono di continuare a vivere però nella condizione di paziente affetto dalla Sla. E’ la malattia che si accanisce su Gesualdi, non la ventilazione e l’alimentazione-idratazione.
L’ex presidente della provincia di Firenze chiude la lettera auspicando che il testo di legge sulle Dat sia al più presto approvato perché in tal modo, egli sostiene, pazienti che versano in condizioni simili alle sue potranno morire. C’è però da appuntare che già ora Gesualdi potrebbe morire rifiutando ex lege la tracheostomia e la Peg che non sono state ancora eseguite (almeno a Marzo non erano state eseguite). Essendo interventi chirurgici possono venire qualificate come terapie e la giurisprudenza da tempo ha espresso un consenso unanime sul fatto che i trattamenti sanitari non possono essere iniziati contro il volere della persona, eccetto quelli previsti per legge (i famigerati vaccini ad esempio). Certo è che se venisse approvata la legge sulle Dat i pazienti di Sla potrebbero accedere all’eutanasia anche in altri modi. Ad esempio se avessero già subito la tracheostomia e la Peg potrebbero chiedere che simili presidi vengano tolti (art. 1, comma 5) previa sedazione (art. 2, comma 1) – condotte attualmente vietate dalla legge – e tale richiesta, unitamente a quella di non iniziare simili interventi, dovrebbe essere assecondata anche laddove il malato, non più cosciente, avesse lasciato questa indicazione scritta nelle sue Disposizioni anticipate di trattamento (art. 4). Anche quest’ultima opzione legata alle Dat è attualmente inefficace dal punto di vista giuridico.