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(MAL)EDUCAZIONE

Gender nelle scuole, ecco il testo di legge

Il Parlamento ci riprova: riparte il percorso parlamentare per il disegno di legge che introdurrebbe l'educazione gender nelle scuole. Eliminati alcuni dei punti più controversi, resta un'impostazione fortemente ideologica, voluta dalla sinistra parlamentare, contro la famiglia naturale.

Educazione 28_09_2017
La Manif in Italia contro il gender nelle scuole

In questo scampolo di fine legislatura la maggioranza di governo trova il tempo per far ripartire il percorso parlamentare del Ddl  inerente “l’educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione”. L’esame del testo unico è stato calendarizzato per oggi, giovedì 28 settembre, alla VII Commissione della Camera (Cultura, Scienza e Istruzione).

La legge, di soli cinque articoli, recepisce 11 proposte quasi tutte provenienti da parlamentari di sinistra e contiene un’evidente impronta ideologica malgrado sia stata spogliata delle iniziative più controverse, come quella per l’istituzione di un’ora obbligatoria di lezione a settimana dedicata alla lotta contro i cosiddetti stereotipi di genere e all’educazione “socio affettiva”. Il riferimento è a uno dei ddl che hanno dato corpo dal testo, quello presentato dalla deputata di Sel, Celeste Costantino, denominato “Per 1 ora d’amore”.

In pratica il testo unico, ha spiegato alla Nuova Bq la parlamentare di Idea Eugenia Roccella, non fa altro che sancire l’attuale situazione in cui molte scuole continuano a proporre materiale e attività che mirano a combattere le presunte discriminazioni destrutturando l’identità sessuata dei ragazzi. Dunque l’obiettivo è fornire alle scuole una pezza d’appoggio per inserire letture gender o incontri con i rappresentati delle associazioni lgbt.

Gli aspetti più ambigui e problematici di questo testo unico sono stati snocciolati dalla presidente dell’associazione Non si tocca la famiglia che nel direttivo del Comitato del Family day offre un servizio come responsabile della “commissione scuola”.

All' Articolo 1, comma 2 si dice che "le competenze socio-affettive e di genere coinvolgono le dimensioni cognitiva, dei valori e degli atteggiamenti. Al fine di acquisire tali competenze, i curricula scolastici di ogni ordine e grado sono integrati con l’educazione interdisciplinare...". Dunque, evidenzia la D’Amico, le competenze socio affettive di cui si parla, non hanno una definizione chiara, inoltre  non viene detto come faranno genitori ad esprimere il Consenso Informato Preventivo su  tematiche di natura tanto sensibile e controversa se saranno integrati nei curricola.

L’articolo 3 afferma chiaramente che nel piano triennale per l’offerta formativa è predisposto il “piano per l’educazione socio-affettiva e di genere”. Si parla quindi della “promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali”, di “eliminazione di stereotipi, costumi e tradizioni fondati sulla discriminazione in base al sesso”. Stereotipo è un termine abusato nei gender studies e dentro al quale sono fatte spesso rientrare semplici verità antropologiche, come il modello famigliare con padre, madre e figli. Una definizione così ampia delle tradizioni da eliminare, rischia quindi di fornire il pretesto ad iniziative di stampo relativista che mirano a costruire l’identità dello studente sul mero dato culturale a discapito di ogni caratteristica biologica e antropologica.

Si passa poi all’articolo 4. (Condivisione e pubblicità): "Le istituzioni scolastiche assicurano l’informazione alle famiglie degli interventi educativi attraverso apposite comunicazioni e mediante pubblicazione nei propri siti Internet…”. In questo caso si contesta il fatto che la famiglia, dal sito della scuola, apprende informazioni che spesso risultano scarne e sfornite di dettagli indispensabili.

Infine nell’art. 5 si parla della "la formazione del personale scolastico, docente e non docente, alla parità di genere, alla prevenzione della violenza, alla non discriminazione e al contrasto dei discorsi di odio". La D’Amico e i rappresentati degli altri gruppi pro family temono che si celi il tentativo di indottrinamento del personale scolastico. Le associazioni familiari chiedono inoltre che la formazione non sia appaltata a associazioni vicine al mondo Lgbt e femminista, come è successo nel recente passato in diverse realtà locali.

Le associazioni familiari ricordano inoltre che nel triennio 2013-2015 tutta la strategia nazionale Unar sulle discriminazioni a causa dell'orientamento sessuale e sull'identità di genere  fu finanziata con dieci milioni di euro e fu affidata, fra gli altri, anche a 29 associazioni Lgbt. Mentre erano escluse da tali progetti le associazioni pro family. Un anomalia che ora si chiede di sanare affidando questa strategia alle associazioni di docenti, di genitori e di famiglie.

Ad ogni modo la ripresa della discussione alla Commissione Cultura della Camera ha il sapore di uno spot elettorale volto a tenere buono il malumore negli ambienti degli alleati alla sinistra del Pd, ovvero Mdp e Sel. Nella seduta di oggi, chi vuole la legge cercherà in ogni modo di stabilire subito il termine per la presentazione degli emendamenti, al contrario chi non vuole la norma cercherà di prendere tempo. Tuttavia, sembra praticamente impossibile che ci siano i tempi per superare l’esame della Commissione, il voto dell’aula e per ripetere poi tutto l’iter in Senato. Una fronda di parlamentari cattolici, guidati dal membro della Commissione cultura Antonio Palmieri e quasi tutti facenti parte del centro-destra, si dice pronto ad intervenire qualora il governo dovesse imprimere al testo accelerazioni senza precedenti. Occhi puntanti anche dal Family day che segue passo dopo passo i lavori.

Quindi, molto probabilmente in questa legislatura non si arriverà a nulla. Di sicuro però l’Italia sta provando ad imboccare una strada già percorsa da altri Paesi del Nord Europa, cioè vuole combattere ogni tipo di discriminazione diluendo le identità dei ragazzi, rendendole più fluide e intercambiabili. I dati sull’efficacia di questa strategia parlano da soli: la Svezia che vanta decenni di propaganda politicamente corretta è al primo posto per gli stupri e tutti i Paesi del Nord sono messi peggio dei Paesi latini e cattolici. L’Italia con le sue “tradizioni” e gli “stereotipi” risulta una delle nazioni meno esposte alla violenza sulle donne (il 18.mo in Ue); e secondo un sondaggio promosso dall’istituto di ricerca PewResearch sui paesi più gay-friendly l’Italia è all’ottavo posto nel mondo per quanto riguarda la tolleranza nei confronti degli omosessuali, precedendo in classifica paesi come Stati Uniti e Giappone. Mica male per una terra che una certa propaganda definisce popolata di bigotti e retrogradi.

Il vero allarme sociale del nostro paese è, caso mai, l’insostenibile tasso di natalità che ci colloca nel gradino più basso di tutta demografia mondiale. Un fenomeno che, alla stregua di quanto successo negli altri Paesi occidentali, non potrà mai essere capovolto da semplici politiche fiscali. Per questo motivo una vera educazione all’affettività dovrebbe partire dal rilancio dell’apertura alla vita, alla genitorialità e alla custodia della salute riproduttiva. Ma questo andrebbe affrontato con altri presupposti e con altri mezzi che la politica non ha la minima intensione di prendere in considerazione.