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IL VERTICE DI ROMA

G20: un'agenda da no-global, un approccio paternalista

Non si capisce perché i discendenti dei “no global”, ecologisti e movimenti terzomondisti, ieri abbiano inscenato la loro consueta protesta contro il G20. Le loro richieste sono ormai l'agenda del vertice: una tassa globale sulle multinazionali, vaccini ai Paesi poveri e rivoluzione verde. Il tutto con un approccio molto paternalistico.

Editoriali 31_10_2021
Ecologisti protestano a Roma contro il G20

Non si capisce per quale motivo i discendenti dei “no global”, ecologisti e movimenti terzomondisti, ieri abbiano inscenato la loro consueta protesta contro il G20, contro i potenti della terra, incluso un gruppo che ha organizzato un flash mob sulle note di “Money” degli Abba, per accusare i grandi della terra di avidità. Quei manifestanti sono fuori tempo massimo. Non si sono ancora accorti che le loro richieste sono, ormai, l’agenda dei potenti della terra.

All’ordine del giorno del vertice dei “20 Grandi” a Roma, troviamo, infatti: la Global Minimum Tax, dunque una tassa universale da imporre alle multinazionali, lotta al Covid tramite la distribuzione di vaccini ai Paesi più poveri, lotta al cambiamento climatico (un anticipo della conferenza di Glasgow, che inizia oggi) soprattutto tramite finanziamenti pubblici per la transizione ecologica. Si tratta di tutto quel che i no global chiedevano nel 2001 e negli anni immediatamente successivi. E potrebbe non essere una buona notizia, soprattutto per i Paesi poveri.

La prima idea di una tassazione universale fu dell’economista James Tobin, nel 1972. Mirava a colpire la finanza, tassando tutte le transazioni sui mercati valutari. Questa tassazione universale, la Global Minimum Tax, che ieri ha trovato il consenso dei G20 (dopo aver incassato l’approvazione dei G7) ed entrerà in vigore entro il 2023, sarà un’aliquota minima del 15% sugli utili di impresa, oltre all’obbligo per le multinazionali di pagare le tasse in tutti i Paesi in cui operano e non solo dove si trova la loro sede legale. Dovrebbe servire ad impedire la pratica di trasferimento delle sedi legali delle grandi aziende in Paesi in cui la tassazione è più bassa o addirittura nulla.

In teoria si tratta di una misura per aiutare gli Stati a raccogliere più risorse, disincentivare la delocalizzazione e aiutare i più deboli, a cui saranno destinate le risorse raccolte. In pratica però, cambierà poco alle aziende che si sono già affermate sul mercato mondiale, mentre renderà la vita più difficile ai concorrenti che dovessero affacciarsi sul mercato dal 2024 in poi. Lungi dall’aiutare i Paesi poveri, questa forma di tassazione universale elimina uno dei possibili strumenti di sviluppo. L’Irlanda, ad esempio, proprio attraendo imprenditori e capitali con una bassa tassazione da Paese molto povero è diventato competitivo, con ritmi di crescita da “tigre celtica”. Sono gli investimenti esteri che hanno permesso anche la riduzione drastica della piaga della disoccupazione.

Al di là dei molteplici effetti, non necessariamente positivi, la Global Minimum Tax è un primo passo verso uno Stato mondiale. Se, infatti, la caratteristica fondamentale di uno Stato è il monopolio della violenza, garanzia dell’indipendenza è anche il controllo della cassa. Il fisco riguarda i nove decimi delle decisioni politiche prese da un governo. In questo caso, invece, la Global Minimum Tax viene accolta a livello mondiale, dopo un accordo internazionale (136 Paesi dell’Ocse, i G7 e poi i G20). Si tratta di una decisione che viene presa solo indirettamente dai governi coinvolti e che sarà molto più difficilmente reversibile, proprio perché frutto di un processo internazionale.

Il secondo punto in agenda, su cui si è raggiunto un accordo, riguarda ovviamente la pandemia. Mario Draghi ha sottolineato la grande differenza fra le campagne vaccinali nei Paesi industrializzati, dove la copertura ha raggiunto il 70% e quelle di diversi Paesi in via di sviluppo, dove invece raggiunge al massimo un 3%. Questa differenza è stata definita dal premier italiano “moralmente inaccettabile”. E quindi l’accordo raggiunto a Roma riguarda la vaccinazione massiva delle popolazioni dei Paesi poveri, con l’obiettivo di arrivare alla copertura del 70% in tutto il mondo entro il 2022. Si tratta di un obiettivo difficile da raggiungere. E, come nel caso della Global Minimum Tax, è formulato in termini paternalistici.

Gli Stati in via di sviluppo che hanno vaccinato meno persone fra i loro cittadini, in Africa soprattutto, ma anche in Asia, sono sollevati da ogni responsabilità. L’impegno preso dai G20 è quello di prendersi cura di loro, donando vaccini e controllando meglio la loro destinazione. Si tratterebbe di un compito facile solo sulla carta, ma non tiene conto delle condizioni misere in cui si trovano i servizi sanitari nazionali dei Paesi destinatari. E ignora del tutto i fattori culturali in base ai quali intere popolazioni non si vaccinano, per motivi religiosi, per diffidenza nei confronti dello Stato, per diffidenza nei confronti della medicina in generale e di quella occidentale in particolare. Tutto ciò viene ridotto ad uno schema semplicistico, in cui “i ricchi” hanno la piena responsabilità di non aver vaccinato “i poveri” e devono quindi “fare di più”.

Sul clima, infine, non si è ancora raggiunto alcun accordo. Nel corso della notte (e mentre questo articolo va online) i diplomatici sono ancora al lavoro. La discussione è però già viziata in partenza, perché Russia e Cina hanno inviato loro ministri, mentre i presidenti Vladimir Putin e Xi Jinping erano assenti. Se l’obiettivo dei G20 e della conferenza Cop26 di Glasgow è quello della de-carbonizzazione, la sola Cina ha ordinato la costruzione di più centrali termiche di quante siano in funzione nell’intera Europa. Inutile ribadire che, anche in questo campo, l’approccio è paternalistico. Si intende imporre a Paesi che stanno uscendo dal sottosviluppo di rinunciare, di fatto, alla loro industrializzazione, in cambio di aiuti pubblici, nel nome di un obiettivo estremamente ambizioso: ridurre il ritmo del riscaldamento globale attraverso la riduzione delle emissioni di gas serra.