Fuga dall'Africa. Medici e infermieri emigrano (legalmente)
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L'emigrazione dall'Africa non è solo quella illegale. C'è anche un'emigrazione legale, che non fa notizia, ma è più importante: l'esodo di medici e infermieri. Emigrano in Paesi europei e in America, in fuga da stipendi bassi e condizioni sanitarie terribili. I governi non frenano il flusso: lo incentivano con nuovi accordi.
C’è un flusso incessante di africani che ogni anno lasciano il loro continente senza tuttavia emigrare illegalmente. Viaggiano con visti e documenti in regola e hanno un contratto di lavoro. Sono i medici e gli infermieri assunti in Europa, Nord America e altrove da strutture sanitarie pubbliche e private.
Se ne vanno per una serie di ragioni. Forse la più importante sono le difficili condizioni in cui spesso sono costretti a esercitare la professione, soprattutto se sono alle dipendenze del sistema sanitario pubblico. Medicinali, apparecchiature, forniture sanitarie essenziali scarseggiano in molti ospedali. In Uganda, ad esempio, l’unica macchina per la radioterapia si è rotta nel 2016 ed è stata sostituita solo nel 2018. Nel paese c’è solo un medico ogni 25mila abitanti. Anche in condizioni normali quasi dappertutto in Africa ospedali e ambulatori operano con difficoltà, i disservizi sono enormi. Se sopraggiunge un'emergenza, la situazione diventa critica sia per i pazienti che per i sanitari. I medici e gli infermieri che in Uganda nel 2022 hanno curato i malati di Ebola, una malattia molto contagiosa e con tassi di letalità fino al 90%, lo hanno fatto in condizioni estreme di rischio, senza mascherine, guanti, tute e stivali, costretti a toccare i malati a mani nude.
Le retribuzioni inadeguate sono un altro motivo che spinge il personale sanitario a emigrare. Chi non riesce a farsi assumere in una clinica privata, spesso a mala pena guadagna di che mantenere un tenore di vita medio basso. In Zimbabwe lo stipendio di un'infermiera al primo contratto è di circa 200 dollari: troppo pochi, anche rapportati al costo locale della vita. Come tutti i dipendenti pubblici, inoltre, anche i lavoratori del settore sanitario vivono nell’incertezza perché i governi in difficoltà economiche non esitano a sospendere il pagamento di salari e stipendi anche per mesi.
Addirittura a indurre i medici ad accettare offerte di lavoro in altri continenti può essere il fatto di non trovare lavoro in patria. Il Mozambico è un caso clamoroso. Il paese ha solo 2.360 medici, sette ogni 100mila abitanti, eppure nel 2021, in piena pandemia di Covid-19, 200 laureati in medicina risultavano disoccupati. Anche in Camerun, una recente disposizione governativa che limita l’assunzione di neo laureati in medicina per contenere la spesa pubblica costringe i giovani medici a cercare impieghi alternativi.
La Nigeria è uno degli Stati che stanno perdendo più personale sanitario. Con una popolazione che supera i 210 milioni, avrebbe bisogno almeno di 363mila medici, ma in attività ne ha soltanto 24mila: uno ogni 30mila abitanti in alcuni stati del sud e uno ogni 45mila in quelli del nord. Eppure l’Associazione Medica Nigeriana sostiene che dal 1963 al 2019 circa 93mila nigeriani si siano laureati in medicina. Ma negli ultimi otto anni nel solo Regno Unito sono emigrati almeno 5.600 medici nigeriani. Secondo un rapporto diffuso nell’agosto del 2022 dal governo britannico, nel 2021 hanno ottenuto permessi di lavoro 13.609 operatori sanitari nigeriani, medici inclusi, il che fa dei nigeriani gli impiegati stranieri più numerosi nella sanità, secondi solo agli indiani (che sono 42.966). Altre mete scelte dai medici nigeriani sono gli Stati Uniti e i paesi del Medio Oriente come l’Arabia Saudita, il Qatar e l’Oman.
Particolarmente critica è anche la situazione dello Zimbabwe. In meno di due anni, a partire dal 2021, il paese ha perso più di 4mila tra medici e infermieri e le partenze sono sempre più numerose: nel 2021 e 2022 sono raddoppiate rispetto al 2020 e triplicate rispetto al 2019. La carenza di organico negli ospedali pubblici ha raggiunto livelli di emergenza, in certi casi è diventato impossibile programmare i turni. Persino alcuni ospedali della capitale Harare sono ormai chiusi per mancanza di personale. Altri sopravvivono ricorrendo a non diplomati e laureati. Un tempo le strutture sanitarie pubbliche dello Zimbabwe erano invidiate dagli altri paesi dell’Africa sub sahariana. Decenni di trascuratezza, senza investimenti, hanno distrutto l’intero sistema. Nel 1992 la prima moglie dell’ex presidente Robert Mugabe, Sally, affetta da insufficienza renale, aveva deciso di affidarsi alle cure di un ospedale pubblico e questo le è costato la vita. Il marito da allora, fino alla morte, si è sempre fatto curare in una clinica privata di Singapore. Capi di stato e di governo, ministri e parlamentari africani spesso ricevono cure mediche all’estero, tanto che è stata coniata per loro l’espressione “turismo sanitario”. Da qualche giorno il presidente nigeriano uscente, Muhammadu Buhari, è a Londra per cure odontoiatriche, città dove a più riprese ha già soggiornato per sottoporsi a prolungate terapie.
Si potrebbe pensare che questo esodo così deleterio avvenga contro la volontà dei governi e susciti reazioni tra la popolazione che ne fa le spese. Invece succede che i governi stessi sottoscrivano accordi per regolamentare i flussi. Quello del Kenya, piuttosto che assumere per rimediare alla carenza di personale sanitario, ha stipulato un accordo con il governo britannico che consente a medici e infermieri disoccupati di andare a lavorare nel Regno Unito. Chi vuole essere assunto deve sostenere un esame di lingua inglese. Lo scorso anno ha suscitato scalpore e scandalo prima la notizia che la maggior parte delle infermiere esaminate erano state scartate e poi, più ancora, che il governo britannico intendeva revocare l’accordo dal momento che il Kenya era stato incluso in un elenco di paesi carenti di personale sanitario (cosa che poi sembra non abbia fatto).
Intanto decine di migliaia di medici e infermieri stranieri lavorano instancabili, spesso con dedizione eroica, negli innumerevoli presidi sanitari disseminati in tutto il continente, fin nelle aree più remote, pericolose e di difficile accesso, finanziati e mantenuti attivi da Ong piccole e grandi, opere missionarie e altri istituti grazie ai quali milioni di africani ricevono cure mediche di cui altrimenti resterebbero privi.