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DAL COVID ALLA GUERRA

Fine emergenza mai. Altri poteri speciali fino al 31 dicembre

Lo stato d'emergenza non finirà con il 31 marzo. Il Consiglio dei Ministri ne ha approvato un altro che scadrà il 31 dicembre. Stavolta non riguarda la pandemia, ma la guerra. E consentirà al governo di inviare all'Ucraina gli aiuti promessi. Sarebbe ordinaria amministrazione, se non fosse che usciamo da due anni di stato d'emergenza.

Politica 01_03_2022
Draghi a Bruxelles, al consiglio Nato

Gli italiani si erano appena illusi di poter dire addio, dopo oltre due anni, allo stato d’emergenza. Ma è durata poco questa illusione. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo stato d’emergenza, che non riguarda il Covid ma la guerra in Ucraina e varà scadenza il 31 dicembre 2022.

Verrebbe da pensare che ce n’è sempre una e che in questo caso la retorica del patriottismo potrebbe avere ammantato di ineluttabilità una decisione che forse qualcuno non vedeva l’ora di prendere. Il decreto approvato dal governo nelle ultime ore, affrontando la crisi in Europa dell’Est, prevede il dispiegamento di forze militari nell’ambito della Nato, permette alla Protezione civile di partecipare ad azioni umanitarie e offre aiuti alla popolazione ucraina assediata dai russi. Dunque lo scopo del nuovo stato d’emergenza non è legato alla pandemia. In questo caso ci sarebbe la necessità di facilitare le operazioni umanitarie e militari nella zona di guerra, di autorizzare l’invio di soldati e mezzi militari sul fronte orientale della Nato e di rafforzare, durante il conflitto, l’unità di crisi del Ministero degli Esteri per la tutela degli italiani all’estero e la protezione civile.

In totale i soldati in partenza per la crisi ucraina non supereranno i 1.970, prevede al momento il decreto. Il governo autorizza la cessione gratuita all’Ucraina di materiale militare non letale: soprattutto per la protezione dei soldati e per lo sminamento.

Dal punto di vista pratico, sembrerebbe, quindi, che questo nuovo stato d’emergenza non incida in alcun modo sulla qualità della vita e sul livello delle nostre libertà, che tante restrizioni hanno subìto per due anni. E la verità è che, se non ci fosse stato il Covid e non ci fossero stati due anni come quelli che abbiamo vissuto, probabilmente questa decisione del governo sarebbe stata vissuta quasi come un atto dovuto e senza particolari reazioni emotive.

In questo caso, invece, la situazione è diversa. La popolazione è stanca, in molti casi depressa e chiusa alla speranza e ulteriori stati d’emergenza, sia pure per motivi diversi dai soliti, generano ulteriore panico e agiscono a due livelli: quello emotivo personale, con accrescimento del disagio psichico; quello delle aspettative socio-economiche, con nuovi rallentamenti sulla strada della ripresa economica.

Lo spettro del blocco delle forniture di gas al nostro Paese, con conseguente paralisi della vita di famiglie e imprese, in qualche modo alimenta una spirale perversa alla quale il nuovo stato d’emergenza conferisce vigore. Scattano tante molle nella testa delle persone e tra queste vi è il timore che la carenza di gas possa tarpare le ali ad una ripresa già complicata e che si possa aprire una lunga e incertissima fase di instabilità destinata a produrre effetti devastanti sul nostro Paese. Decretare il prolungamento dell’emergenza, sia pure per ragioni non legate alla salute, ha comunque un impatto notevole sulla salute stessa, perché uccide le speranze di una vera ripartenza e alimenta il sospetto che si voglia prolungare all’infinito l’emergenza per ragioni non ben chiare.

D’altronde, il clima di terrore alimentato dai media non si è affatto stemperato. Se prima della guerra gran parte dell’informazione era concentrata sull’allarme Covid, ora domina lo scenario bellico, come almeno in parte è giusto che sia, ma non è cessata la sterile e ossessiva contabilità quotidiana dei casi Covid, con indicazione di contagi, decessi e morti.

La comunicazione istituzionale e l’informazione giornalistica non si sono evolute affatto in due anni. Il virus è mutato, ma la narrazione è rimasta la stessa. Da due anni è sempre uguale. Ormai non fotografa il reale andamento della pandemia e, conseguentemente, non fornisce una informazione di pubblica utilità ai cittadini. Tra accanimento su un virus al momento gestibilissimo e enfasi costante su una possibile escalation bellica il rischio è davvero quello di un ripiegamento esiziale dell’italiano su se stesso. E altri stati d’emergenza potrebbero rappresentare in questo senso il classico colpo di grazia.