Famiglia e natalità, guardiamo all'Ungheria
In Italia all'ormai continuo allarme denatalità non corrispondono azioni politiche conseguenti. Vale la pena allora guardare all'Ungheria e alle misure messe in campo dal governo Orban, per capire che se c'è una volontà politica, non è poi così difficile prendere provvedimenti.
Spesso si leggono sui quotidiani nostrani notizie che mettono a tema la crisi demografica e il corrispettivo aumento dell’età media della popolazione, così come il calo dei matrimoni e l’aumento delle persone separate, divorziate o single, ma anche la situazione economica stagnante e la fatica dei giovani lavoratori a sostenere una schiera di pensionati sempre più nutrita e con prospettive di vita sempre più lunghe. Come spesso purtroppo accade in Italia, tuttavia, la denuncia di questa allarmante situazione fatica a trovare risposte concrete, che -accanto a un necessario lavoro sotto il profilo culturale - possano dare una svolta positiva alla situazione.
In tale ottica appare interessante volgere lo sguardo a Est, guardando per esempio all’Ungheria. Pur partendo da presupposti simili ai nostri (per il 2017 i dati parlavano di una media di 1,57 figli per donna, contro l’1,32 nostrano), il Paese guidato da Viktor Orban ha dato vita a una serie di interessanti misure per sostenere la natalità e rimettere al centro la famiglia naturale, nella consapevolezza che, come affermato nel febbraio scorso dal primo ministro stesso, «il nostro futuro è la continuazione delle vite dei nostri genitori e nonni, salvaguardando i nostri mille anni di tradizione, difendendo la nostra economia, la famiglia [che la Costituzione ungherese definisce «base della sopravvivenza della Nazione», ndR] e la cultura cristiana».
Ebbene, la cronaca riporta che - oltre alle misure già in essere e che stanno portando i primi frutti - il governo ungherese ha ulteriormente arricchito il proprio piano d’azione con l’introduzione della possibilità di ricevere un prestito di 10 milioni di fiorini ungheresi (pari a poco più di 30.000 euro). I requisiti per accedere a questa sovvenzione sono presto detti: «La coppia deve essere sposata, il matrimonio deve essere il primo per almeno uno dei coniugi, la donna deve avere un'età compresa tra 18 e 40 anni e uno dei coniugi deve aver pagato almeno 180 giorni di contributi fiscali in Ungheria».
Il prestito è quindi soggetto a modifiche nei termini di restituzione: le coppie che non riescono ad avere un figlio entro cinque anni dall’emissione dell’importo, sono costrette a rimborsare l’intera cifra ottenuta. Situazione diversa, invece, per chi ha un figlio entro i primi cinque anni dalla ricezione del denaro: per loro sono infatti previsti la sospensione dell’interesse sul prestito, così come il pagamento delle rate di restituzione per tre anni. Fattispecie, quest’ultima, che si applica fin da subito a chi fa richiesta del prestito dopo la dodicesima settimana di gravidanza. Infine, le coppie che dovessero avere almeno tre figli non sono più soggette al rimborso del prestito.
Anche questo provvedimento, come già avvenuto nei mesi passati con le altre misure, ha trovato subito largo favore tra la popolazione, a dimostrazione del fatto che il governo Orban si sta facendo felice promotore di provvedimenti strutturali che incontrano bisogni reali. Tanto che, nel commentare la situazione, il segretario di Stato e ministro per la famiglia ungherese Katalin Novak non ha esitazioni nell’affermare che il bilancio 2020 sarà «il bilancio delle famiglie», dal momento che assegnerà «2,5 volte l'ammontare dei finanziamenti per le famiglie rispetto al bilancio 2010».
E poco importa se le politiche ungheresi sono spesso soggette a critiche, di varia natura, da parte dei fautori del mainstreaming: tra qualche anno, possiamo scommetterci, il confronto tra le culle vuote di un’Occidente ormai privo di valori e identità e quelle invece piene dei Paesi che hanno avuto il coraggio di scommettere sulla vita, sulla famiglia e sulle proprie radici faranno ricredere molti.