Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
ELEZIONI

Europarlamento, i vescovi hanno perso ma dicono di avere vinto

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Il giorno dopo il voto che ha premiato le destre, le reazioni dei vescovi europei - che avevano appoggiato attivamente le posizioni europeiste più spinte - esprimono soddisfazione per la conferma della linea von der Leyen. Insuccesso anche per i candidati italiani sponsorizzati dalla Chiesa ufficiale.

Politica 12_06_2024
Monsignor Crociata, presidente Comece

Anche i vescovi cattolici sono scesi in campo per le elezioni europee come militanti del partito “più Europa”. La Lettera aperta all’Europa del cardinale Zuppi e di mons. Crociata, presidente l’uno dei vescovi italiani e l’altro dei vescovi dell’Unione, aveva spinto perché il “sogno” europeo non si fermasse ma si irrobustisse. I comunicati della Comece, la Commissione dei vescovi dell’Unione, invitavano a continuare la sfida, contrastando le tentazioni populiste e nazionaliste. Il vicesegretario della CEI, Mons. Francesco Savino, si era perfino detto speranzoso che l’Europa torni ad essere coerente con lo spirito di Ventotene. Molte diocesi italiane hanno invitato a votare partiti e persone che sostenessero il progetto Europa. Nessuno ha chiesto un voto per fermare il processo e ripensarlo.

I vescovi hanno quindi partecipato alla campagna elettorale scegliendo una parte. Hanno vinto o hanno perso? L’esito del voto dice che hanno perso. Il treno Europa non si è fermato e nemmeno è tornato alla stazione di partenza, ma quantomeno ha rallentato; se procederà non sarà come prima, le cessioni di sovranità all’Unione diminuiranno, i passeggeri del treno hanno evidenziato una insoddisfazione profonda. L’alta velocità non si addice più all’Unione. Le spinte dei vescovi a procedere speditamente, addirittura con nuovi assetti istituzionali e con il riarmo, sono rimaste inascoltate. 

La sconfitta dei vescovi, in questo caso italiani, è segnata anche dall’insuccesso dei candidati cattolici sponsorizzati dalla Chiesa ufficiale. Fabio Pizzul, ex presidente dell’Azione cattolica di Milano e con importanti incarichi in diocesi e persona molto addentro all’associazionismo cattolico (di sinistra) non è stato eletto.
Marco Tarquinio, per molti anni alla guida di Avvenire, il quotidiano di proprietà dei vescovi italiani, è passato per il buco della serratura. Risultava il primo dei non eletti, quando – riparato lo strano intoppo tecnologico nella raccolta dei dati romani – ha racimolato quanto bastava per rientrare dalla finestra. E pensare che Tarquinio aveva dietro tutta una grande fetta del mondo cattolico istituzionalizzato nella linea Zuppi-Sant’Egidio: non è stata una grande vittoria.

Hanno avuto più successo i candidati che hanno firmato il Manifesto di Pro Vita & Famiglia, manifesto che rappresenta l’esatto contrario della posizione Cei e Comece. Una ventina di loro sono passati dopo essersi impegnati non a difendere la democrazia dai populisti, ma a impedire l’aborto dell’Unione e a non appoggiare l’ideologismo green e l’ideologia gender. Impegni che avrebbero dovuto chiedere i Pastori.

Nessuno pretende che i vescovi facciano ammenda e dichiarino la sconfitta. Però è abbastanza strano che dicano di aver vinto.
Subito dopo le elezioni, il Segretariato della Commissione dei vescovi dell’Unione Europea (Comece) ha pubblicato un comunicato di valutazione delle elezioni appena svolte. Nonostante lo tsunami elettorale, la Comece si dice contenta perché c’è una maggioranza pro-Unione, persiste una larga parte del nuovo parlamento che vuole “più Europa” e questo conferma le indicazioni e le richieste dei vescovi stessi. Ecco il passaggio: «I primi risultati mostrano che nel Parlamento europeo si mantiene una maggioranza pro-Europa. La maggioranza degli elettori ha espresso sostegno al progetto europeo e un grande desiderio di più Europa. Questa è una buona notizia e uno dei punti chiave segnalati dalla Comece nei mesi precedenti le elezioni».

Il comunicato lamenta poi il «considerevole aumento dei partiti nazionalistici ed euroscettici, specialmente nei Paesi fondatori dell’Unione Europea» che «manifesta una grande disaffezione rispetto alle politiche dell’UE» e che quindi è alla base dell’alto astensionismo. Infine chiede di lavorare di più per «ridurre lo scarto percepito tra l’Unione Europea e i suoi cittadini e per dare adeguate risposte alle loro preoccupazioni». Le risposte devono essere date rafforzando l’Unione e non il contrario. Insomma, tutto è andato bene, avevamo ragione, avanti così.

Anche secondo molti vescovi tedeschi la linea von der Leyen viene confermata dal voto e il pericolo non viene da un’Unione europea artificiale e strumentale ma dal populismo di destra che va fermato.
L’idea che dalle urne sia uscita una solida maggioranza pro-Europa è sostenuta anche dall’agenzia Sir dei vescovi italiani secondo la quale «il voto europeo rafforza von der Leyen». Un modo per far pensare che niente di nuovo sia accaduto.

La mobilitazione elettorale della Chiesa cattolica è stata guidata dall’odio verso due nemici: il populismo e la semplificazione, che secondo i vescovi sarebbero un pericolo mortale per la democrazia. Il populismo sarebbe la volontà di togliere di mezzo le istituzioni e le mediazioni, la semplificazione vorrebbe dire trasformare questioni complesse in problemi di facile soluzione. Le due cose indicherebbero un infantilismo politico, proprio quello che ha fatto votare mezza Europa contro l’Unione. Però, a pensarci bene, aprire i confini indiscriminatamente, dimenticare che l’Europa arriva fino agli Urali, credere alle favole della transizione green, depotenziare di energia l’Europa per “salvare il pianeta” … non sono proprio forme di populismo e di immatura semplificazione?



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