Eterologa senza limiti, il problema è il “diritto” al figlio
Dopo il ricorso di una coppia, il Tar della Lombardia ha eliminato il doppio vincolo previsto dalla Regione per l’accesso alla fecondazione eterologa: il non superamento dei 43 anni da parte della donna e il limite di tre cicli. Per i giudici amministrativi è «irrazionale» distinguere tra omologa ed eterologa. Il problema, in realtà, è alla radice: il diritto al figlio contenuto nella legge 40.
Nel 2014 la Corte costituzionale eliminò il divieto previsto dalla legge 40/2004 relativo alla tecnica di fecondazione artificiale di tipo eterologo, in cui uno o entrambi i gameti provengono da soggetti esterni alla coppia richiedente. La Lombardia pose però un doppio limite per l’accesso a questa tecnica: la donna non doveva aver superato i 43 anni e si poteva sottoporre a un massimo di tre cicli.
Una coppia lombarda, la cui lei ha superato i 43 anni, ha però fatto ricorso al Tar della Lombardia affermando che il limite di età sarebbe discriminatorio. Il Tar ha dato ragione alla coppia, con sentenza emessa il 19 luglio scorso, eliminando il doppio vincolo previsto dalla Regione Lombardia. In primo luogo i giudici, appoggiandosi a quanto espresso dalla Consulta nel 2014, hanno affermato che omologa ed eterologa pari sono dal punto di vista giuridico: «La Corte Costituzionale ha sottolineato che le due tecniche rappresentano due species di un unico genus, mirando entrambe a superare le difficoltà di fertilità della coppia, realizzando obiettivi e risultati sostanzialmente analoghi».
E, dunque, se per l’omologa la legge 40 afferma che uno dei requisiti di accesso è l’età potenzialmente fertile, tale requisito deve essere applicato anche all’eterologa. E chi ci dice che una donna anche over 43 non sia potenzialmente fertile? E infatti il Tar ricorda che la legge 40, «facendo riferimento all’età potenzialmente fertile, non pone limiti precisi riguardo all’età della donna che chiede l’accesso alla tecnica».
In merito al secondo vincolo, il limite di tre cicli, la musica non cambia: «Ritiene il Collegio - si legge nella sentenza - che anche questo limite sia illegittimo in quanto volto a differenziare la disciplina delle due procreazioni medicalmente assistite». Anche in questo caso, ciò che vale per l’omologa deve valere per l’eterologa: sempre la Corte costituzionale eliminò il limite di tre cicli per l’omologa e quindi questo limite non si deve più applicare neanche all’eterologa.
In breve, scrive il Collegio, differenziare il trattamento tra omologa ed eterologa «sarebbe irrazionale» e si verrebbe meno «al principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione», dato che le coppie un po’ avanti con gli anni che potrebbero avere figli solo tramite l’eterologa sarebbero trattate diversamente rispetto a quelle di pari età che potrebbero stringere in braccio un bebè anche con l’omologa. Insomma, sarebbe discriminante permettere alle donne che ricorrono all’omologa di rimanere incinta anche dopo 43 anni e usufruendo di più cicli e non permetterlo a quelle coetanee “costrette” a intraprendere la via dell’eterologa.
Il limite posto dalla Regione Lombardia non era casuale, bensì si rifaceva ad alcuni dati del Ministero della Salute sulle reali possibilità di stringere un bambino in braccio per quelle donne non più in verdissima età, dati confermati anche dalla più recente relazione del Ministero riferita all’anno 2017: «All’aumentare dell’età il rapporto tra gravidanze ottenute e cicli iniziati subisce una progressiva flessione mentre il rischio che la gravidanza ottenuta non esiti in un parto aumenta. I tassi di successo diminuiscono linearmente dal 24,0% per le pazienti con meno di 35 anni al 5,7% per quelle con più di 43 anni».
Inoltre, «il 53,7% delle gravidanze in donne da 43 anni in su ha esiti negativi (aborti spontanei, gravidanze ectopiche, ecc.)». L’inefficacia delle tecniche di fecondazione extracorporea legata all’età dell’aspirante mamma vale anche per l’eterologa, perché - anche con un ovocita giovane - l’utero e tutto l’apparato procreativo della donna over 40 risentono degli anni e ciò influisce sulle capacità generative. In aggiunta, il limite di età previsto dalla Regione Lombardia mimava quanto dispone la disciplina normativa sulle adozioni, la quale prevede che, senza entrare in casi particolari, la differenza massima di età tra adottato e adottante sia di 45 anni. Proprio perché il bambino ha diritto di essere educato da una coppia di genitori e non di nonni.
Le anime belle si stupiranno di questa sentenza del Tar, quelle invece più bruttine - perché a mollo nella palude della bioetica italica da un po’ di anni - non si stupiranno per nulla. Infatti, tale sentenza è la logica conclusione di una premessa contenuta non nelle sentenze della Consulta, ma nella stessa legge 40. Tale normativa si poggia su un principio cristallino: una coppia ha diritto ad avere un figlio. La legge 40 predica un vero e proprio diritto sulla persona, la quale dunque si scolora a “res”, cosa. Quindi come la coppia ha diritto alla casa, così ha diritto al figlio. Tale diritto non deve conoscere limiti di sorta: dunque sì a tutte le tecniche (omologa, eterologa e a breve anche l’utero in affitto), sì a tutti i tentativi possibili, sì a qualsiasi tipologia di coppia (sterili, infertili, ma anche non sterili e fertili però portatrici di patologie genetiche ereditarie), comprese le coppie âgée.