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UMANITÀ

Elogio dell'amicizia in tempo d'estate

L’interesse per il rapporto di amicizia è sempre stato vivo nella filosofia e nella letteratura. Tutti i maggiori filosofi e letterati ne hanno trattato l'essenza sin dalla notte dei tempi. Nella tradizione cristiana accade un fatto assolutamente nuovo e rivoluzionario. Cristo, maestro e Signore, tratta i suoi discepoli come «amici»

Cultura 09_08_2019
Icona dell'amicizia

L’interesse per il rapporto di amicizia è sempre stato vivo nella filosofia e nella letteratura. Quanti saggi ne hanno trattato l’essenza fin dall’antichità!

Nei dialoghi sull’amicizia (Fedro e Liside) Platone arriva ad affermare che l’amicizia sia possibile solo tra buoni. Non occorre che due amici abbiano le stesse qualità o qualità opposte e, quindi, complementari.

Nell’Etica Nicomachea, all’interno di un discorso sull’etica e sulla politica, Aristotele distingue tre gradini dell’amicizia: quella basata sull’utilità, quella legata al piacere e quella fondata sulla bontà. Solo quest’ultima è vera amicizia, perché vuole il bene dell’altro. L’amicizia è considerata un bene per tutti, indispensabile anche per chi è già felice.

Nel mondo romano, invece, l’amicizia non è soltanto un rapporto personale, ma è un legame che ha un carattere eminentemente politico che unisce persone appartenenti allo stesso clan familiare oppure tutti quanti gravitano come clienti o liberti nell’ambito di un personaggio politico importante. In quest’ultimo caso i favori dei sottoposti sono ricambiati con la protezione e una piccola ricompensa economica offerte dal signore. Potremmo definire questa come un’amicizia politica e clientelare.

Grande mediatore della cultura e della filosofia greche a Roma, Cicerone riprende i principi aristotelici dell’Etica Nicomachea, affermando in maniera del tutto innovativa per il mondo romano che il legame di amicizia si deve improntare alla bontà e al bene reciproco.

Un affetto amicale autentico mira al bene dell’altro: «come prima legge dell’amicizia si sancisca dunque questa: chiedere agli amici solo cose oneste; fare per gli amici solo cose oneste […]. Deve essere tenuta in gran conto l’autorità degli amici che indirizzano al bene». (Laelius de amicitia)..

L’amicizia vera si instaura, quindi, tra animi virtuosi e buoni: «si forma un’amicizia se in qualche modo brilla una luce di virtù e se ad esso si unisce strettamente un animo affine». Il fondamento dell’amicizia è nel principio «idem velle idem nolle», cioè «volere le stesse cose e non volere le stesse cose». L’amicizia è, quindi, come una strada, un metodo, un percorso in cui si fanno scelte comuni di approvazione o di dissenso per alcuni aspetti o fatti di vita.

Mentre combatte l’utilitarismo, il calcolo, l’opportunismo, al contempo Cicerone pone alla base dell’amicizia la virtù e la lealtà. La virtù, però, si badi bene, viene definita in un ambito ampio, quello del vivere associato e politico. Virtuoso o «bonus» è colui che possiede le virtù su cui si fonda la comunità (fides, gravitas, pietas, iustitia, liberalitas, constantia, ovvero lealtà, serietà, ossequio nei confronti delle divinità, dei genitori, del maestro, etc., giustizia, liberalità, costanza).

Il cittadino virtuoso è colui che opera per il bene dello Stato nel rispetto del mos maiorum. Così Cicerone ha tentato l’impossibile mediazione tra il calcolo e l’utilitarismo che contraddistinguevano l’amicizia tra i Romani e il carattere disinteressato dell’amicizia nelle filosofie greche stoiche, accademiche e aristoteliche.

Nella tradizione cristiana accade un fatto assolutamente nuovo e rivoluzionario. Cristo, maestro e Signore, ha trattato i suoi discepoli come «amici». L’amicizia viene così ancor più nobilitata proprio perché è il metodo scelto da Dio per comunicare la strada, la verità, il Mistero. Dio si è fatto amico attraverso suo Figlio, per condividere le fatiche e per farsi compagnia. Da allora l’amicizia non è più soltanto qualcosa di nobile e virtuoso, di possibile tra anime che vogliono il bene. Da allora l’amicizia è indispensabile alla vita, proprio perché tramite per la verità. Cristo ha, però, sfrondato ogni patina sentimentale e idealistica di questo legame, ha sfatato l’idea che sia amicizia solo quella perfetta, senza alcun cedimento, sempre all’altezza delle attese e del desiderio dell’uomo. Quante volte cancelliamo delle amicizie perché ci hanno deluso! Che insegnamento ci ha dato Cristo che, abbandonato dagli amici e dai discepoli che tanto aveva beneficato, tradito da uno dei suoi, continua ad amarli fino alla morte! Quando risorge e riappare a Pietro, invece di accusarlo di incoerenza e di slealtà, gli chiede solo una professione di amore. Per tre volte lo incalza: «Mi ami tu?».

Ecco, l’atteggiamento di Gesù nei confronti dei discepoli presuppone un dato di partenza: la figliolanza di noi tutti nei confronti del comune Padre, Dio. Quindi, gli amici sono uguali non nel senso che hanno le stesse caratteristiche, qualità, abitudini o interessi, ma nel senso che dipendono tutti dallo stesso Mistero, Dio, Padre, anche se non tutti ne hanno la consapevolezza o la vivono fino in fondo.

L’idea di uguaglianza nell’amicizia fu presente nelle filosofie antiche precedenti a Cristo solo in alcune dottrine, come quella pitagorica che arrivò ad affermare philotes isotes, ovvero amici uguali. Era, però, un concetto di uguaglianza che partiva da presupposti molto distanti da quelli cristiani sopra accennati.

I discepoli di Gesù sono amici, perché riconoscono e seguono il Maestro, che è «via, verità e vita». Si diventa amici quando si persegue la verità, quando si è animati dalla tensione per percorrere una strada insieme. Senza un maestro che indichi la verità non si è davvero amici.

Per questo motivo, spesso, nel percorso dell’esistenza le persone maturano questa consapevolezza di un mutamento di tensione nel rapporto umano quando incontrano la figura di un maestro.