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IL CONSIGLIO DI STATO

EllaOne senza ricetta: paradossi di una sentenza

La sentenza del Consiglio di Stato sull'EllaOne senza ricetta presenta criticità multiple: nega che sia un trattamento sanitario, ignora il consenso informato e esclude la letteratura scientifica che parla degli effetti abortivi perché fa partire la gravidanza non dal concepimento. Dai giudici di Palazzo Spada affermazioni paradossali. 

Vita e bioetica 25_04_2022

Mentre l’Unfpa rende noto che al mondo si praticano 73 milioni di aborti all’anno, ecco che il Consiglio di Stato intende incentivare questo fenomeno in Italia. Nel 2020 l’Agenzia del Farmaco (Aifa) aveva abolito l’obbligo di ricetta medica anche per le minorenni per ottenere in farmacia la ellaOne, ossia la pillola dei 5 giorni dopo. Alcune realtà pro-life avevano presentato ricorso contro questa determina presso il Tar del Lazio il quale nel luglio del 2021 aveva rigettato tali istanze. Contro tale sentenza fu poi presentato appello, appello che il 19 aprile scorso è stato respinto dal Consiglio di Stato (qui la sentenza).

La sentenza presenta criticità multiple. Innanzitutto i giudici chiariscono che “per ‘trattamento sanitario’ deve […] intendersi ogni attività prodromica alla tutela della salute intesa, in senso lato, come benessere psico-fisico”. Dunque verrebbe da pensare che ellaOne sia un trattamento sanitario e quindi dovrebbe ricadere sotto la disciplina normativa della legge 219/17. Da ciò consegue che occorrerebbe ottenere il consenso informato prima di somministrare la pillola dei 5 giorni dopo, ma, dato che stiamo parlando di minori, il loro consenso deve essere prestato dai genitori. Per svincolarsi da questa impasse il Consiglio di Stato aggiunge, alla definizione di cui sopra, che “per trattamento sanitario deve intendersi ogni atto prescritto da personale sanitario, sia esso diagnostico ovvero terapeutico”. Avendo l’Aifa deciso che per la ellaOne non serve prescrizione medica, ecco che ellaOne non è un trattamento sanitario e dunque non serve consenso dei genitori. Perciò a seguire questa logica tutti i farmaci da banco non sono trattamenti sanitari. E allora cosa sono le medicine se non trattamenti sanitari ossia cure? A margine, questo commento dei giudici ci fa comprendere come sia giuridicamente errato aver saldato in modo necessario il concetto di trattamento sanitario con quello di consenso: se c’è il primo, ci deve essere il secondo (ed invece si dovrebbe avere trattamento sanitario anche in assenza di consenso). E infatti i giudici di Palazzo Spada hanno dovuto concludere che i farmaci da banco, non prevedendo consenso informato, non sono trattamenti sanitari.

Ma le affermazioni paradossali non si fermano qui. Il Consiglio di Stato, volendo privilegiare in tutti i modi la scelta delle ragazzine di prendere la pillola dei 5 giorni dopo anche a discapito del parere contrario dei genitori e appellandosi ad una non meglio precisata “lettura costituzionalmente orientata della disciplina del consenso informato”, ci informa che sul consenso informato prevale “la protezione del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'auto-determinazione della persona, diritto quest’ultimo che sarebbe esposto al concreto rischio di frustrazione nel caso in cui si pretendesse, limitatamente al caso di specie - che attiene alla libertà sessuale e, più in generale, alla sfera privata - la necessità del consenso dei genitori o dei tutori”. Ma come? Per decenni voi giudici avete messo a dura prova la nostra pazienza berciando che il consenso informato è tutto, è la divinità giuridica verso cui ogni ginocchio si deve flettere ed ora ci venite a dire che quando c’è da tutelare il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e l’auto-determinazione della persona possiamo anche farne a meno?

Ben volentieri allora facciamo nostra questa vostra argomentazione e allora vi chiediamo di essere coerenti fino in fondo e così quando un paziente, con il suo consenso, chiederà l’eutanasia il medico non dovrà somministrarla privilegiando il diritto alla vita a dispetto della disciplina sul consenso informato. È poi curioso che si voglia tutelare l’auto-determinazione del minore che dal punto di vista giuridico non produce effetti. Ma l’eccezione si trova subito quando si desidera offrire protezione alla “libertà sessuale”. In parole povere: care ragazze datevi al sesso nomade e promiscuo sotto il falso ombrello della cosiddetta contraccezione d’emergenza (che può esplicare, come vedremo, anche effetti abortivi), perché a mamma e papà che vogliono mettere il becco nei vostri affari privati ci pensiamo noi giuristi e politici, impendendo loro di aprire bocca.

Ma arriviamo al nocciolo duro della sentenza del Consiglio di Stato in cui si esclude che ellaOne possa comportare anche effetti abortivi e che dunque la sua somministrazione debba essere regolamentata dalla legge 194.  Scrivono i giudici: “il farmaco ‘ElleOne’ non deve essere confuso con il regime farmacologico usato per l’interruzione volontaria della gravidanza. L’Amministrazione […] ha ritenuto che il meccanismo d’azione del farmaco è antiovulatorio, vale a dire che agisce prima dell’impianto dell’embrione. Nessuna violazione della normativa sull’interruzione volontaria di gravidanza è quindi configurabile”.

C’è poi da aggiungere che il Consiglio di Stato, secondo la lettera della legge, non si perita di verificare se ellaOne sia un preparato anche con effetti abortivi, perché il suo compito è verificare solo se l’Aifa ha espresso il suo parere con ragionevolezza, ossia secondo alcuni standard scientifici. Ma, aggiungiamo noi, tale verifica non può prescindere da un vaglio della letteratura scientifica sul caso in esame, altrimenti come si fa a dire che Aifa ha fatto bene il suo dovere? Insomma, è il cane che si morde la coda. Detto ciò, però, poi il Consiglio afferma che la letteratura scientifica presentata dagli appellanti pro-life non è probante, invece quella presentata dall’Aifa e dalla casa produttrice di ellaOnenon risulta affetta da incertezza o lacune”. E dunque prima afferma che non può entrare nel merito del dibattito scientifico e poi ci entra. Curiosa coerenza.

Ma arriviamo al punctum dolens: i possibili effetti abortivi di questo preparato. Innanzitutto  riportiamo nuovamente un passaggio della sentenza: “il meccanismo d’azione del farmaco è antiovulatorio, vale a dire che agisce prima dell’impianto dell’embrione”. Questa affermazione ci fa comprendere che per i giudici del Consiglio di Stato la gravidanza non inizia con il concepimento, ma con l’impianto dell’embrione nell’endometrio e quindi, dato che ellaOne esplica meri effetti antiovulatori, non c’è gravidanza.  Ma ellaOne può sia esplicare  effetti antiovulatori (quindi contraccettivi) che impedire l’impianto sulla parete uterina dell’embrione provocando dunque un aborto (ma anche in questo ultimo caso per i giudici gli effetti dovrebbero essere meramente contraccettivi perché la gravidanza non sarebbe ancora iniziata). Diamo prova che la pillola dei 5 giorni dopo può presentare anche effetti abortivi.

Partiamo da una constatazione: ellaOne, il cui principio attivo è l’Ulipristal acetato, può essere assunta entro 5 giorni dal rapporto sessuale. Se la pillola può essere assunta fino a 5 giorni dopo il rapporto sessuale, nulla esclude che il concepimento sia già avvenuto e dunque il preparato in nessun modo potrebbe esplicare i suoi effetti contraccettivi. EllaOne, di cui vengono vendute più di duecentomila confezioni all’anno in Italia, non ha una capacità assoluta di impedire l’ovulazione e la sua efficacia contraccettiva è massima quando la possibilità per la donna di rimanere incinta sono assai basse e diminuisce più ci si avvicina al giorno dell’ovulazione ossia proprio nel periodo in cui le probabilità di concepire aumentano (cfr. V. Brache - L. Cochon - C. Jesam - R. Maldonado - A.M. Salvatierra - D.P Levy - E. Gainer - H.B. Croxatto, Immediate pre-ovulatory administration of 30 mg ulipristal acetate significantly delays follicular rupture, in Human Reproduction, 2010 Sep, 25 [9], pp. 2256-2263; B. Mozzanega - S. Gizzo - S. Di Gangi - E. Cosmi - G.B. Nardelli, Ulipristal acetate: critical review about endometrial and ovulatory effects in emergency contraception, in Reproductive Sciences, 2014 Jun., 21 [6], pp. 678-685). E se l’effetto contraccettivo della ellaOne fallisce e c’è il concepimento, quel concepimento potrà esitare in un aborto volontario. Non solo, ma – ed è questo l’aspetto cruciale – la pillola dei 5 giorni dopo può modificare la parete uterina rendendo impossibile l’impianto dell’embrione e dunque decretando la morte del bambino. Se per il levonorgestrel c’è dibattito sulla reale capacità di modificare l’endometrio rendendolo inospitale per l’embrione, per l’Ulipristal le evidenze scientifiche in tal senso sono più schiaccianti (cfr. Ulipristal acetate: critical review about endometrial and ovulatory effects in emergency contraception, in Reproductive Sciences, 2014 Jun., 21 [6], pp. 678-685; P. Stratton - E.D. Levens - B. Hartog - J. Piquion - Q. Wei - M. Merino - L.K. Nieman, Endometrial effects of a single early luteal dose of the selective progesterone receptor modulator CDB-2914, in Fertility and Sterility, 2010 Apr., 93 [6], pp. 2035-2041).

Ma anche ammesso e non assolutamente concesso che ellaOne non presenti effetti abortivi, di certo la sua assunzione è rischiosa per la salute delle ragazze. In letteratura si sono evidenziati questi effetti collaterali: gravidanze extrauterine, patologie epatiche, vomito, diarrea, stanchezza, sanguinamento vaginale, mal di schiena, tensione mammaria, mal di testa e vertigini. Ma per l’Aulin ci vuole la ricetta del medico e per ellaOne no.