Elezioni, pensieri sparsi
A pochi giorni dal voto è più che mai necessario richiamarsi dove sta la nostra speranza. Tanto più che realisticamente nel nuovo Parlamento siederanno soltanto poche persone disposte a combattere per la vita e la famiglia. E in gran parte non saranno diretta emanazione dei Family Day, la cui leadership ha colpevolmente ridotto quegli eventi a progetti politici.
- QUEI VESCOVI OSSESSIONATI DA SALVINI, di Ruben Razzante
- DOSSIER: VERSO IL VOTO
A ormai pochi giorni dal voto mi sia permesso di mettere insieme alcuni pensieri e spunti che mi sono suggeriti da questa strana campagna elettorale.
Comincio dal punto che fin dall’inizio come Bussola abbiamo voluto sottolineare e che ripropongo perché alla fine è ciò che rimarrà anche dopo la contingenza delle elezioni ed è il fondamento su cui costruire presente e futuro, a prescindere da quello che sarà il risultato elettorale. Il punto è dunque questo: la nostra speranza non sta nella politica, tanto meno nelle elezioni del Parlamento. Viviamo con serietà, responsabilità e passione questo momento della vita sociale italiana, ma avendo ben presente che siamo chiamati a votare per ciò in cui speriamo, consapevoli che la vera e unica possibilità di cambiamento – della nostra vita e della società – sta nell’incontro con Cristo. Una posizione questa che, per una provvidenziale coincidenza, ci è richiamata dal tempo liturgico che stiamo vivendo. Dunque, criteri chiari e consapevolezza della realtà in cui siamo.
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Hai voglia a dire tutti che si è ovviamente d’accordo su questa impostazione. Ciò a cui assistiamo mi fa dire che in generale è esattamente il contrario. È vero che in campagna elettorale si è naturalmente portati a esagerare e la passione a volte annebbia la vista, ma anche tra i cattolici mi sembra che abbondino i Salvatori della patria, quelli che garantiscono la soluzione dei problemi e il cambiamento: basta una semplice preferenza e non abbiamo neanche più bisogno di impegnare il nostro desiderio di conversione personale. Per questo tanti non andranno neanche a votare: si sono illusi tante volte che sono diventati scettici oppure, i più giovani, cresciuti in questo scetticismo, non riescono neanche a vedere la possibilità di cambiamento. Il problema non sta in promesse elettorali già tradite in passato o poco credibili nel presente, ma sta proprio nell’oggetto della promessa. Per questo la libertà della Chiesa è un criterio fondamentale con cui decidere chi votare: libertà della Chiesa significa libertà per tutti di seguire la verità.
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Criteri chiari? Si fa per dire. Anche senza confessarlo apertamente buona parte di vescovi e preti – per convinzione personale o pensando a Santa Marta – parlano quasi esclusivamente di accoglienza degli immigrati: voto al Pd e scomunica della Lega, classico caso in cui è la scelta politica a giudicare la fede e non il contrario. Poi ci sono anche quelli che vedono possibilità perfino nei 5 Stelle. Legge naturale, princìpi non negoziabili (cosa diversa dai valori) per tutti costoro non contano; non fa niente che siano parte della Dottrina sociale della Chiesa, anzi è un’aggravante: di questi tempi guai a parlare di dottrina. Se poi questi punti sono stati sviluppati da San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, peggio che mai. Ci fosse il Partito Islamico lo voterebbero, per far vedere come dialogano bene e costruiscono ponti.
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Anche sulla consapevolezza della realtà di problemi ce ne sono. C’è chi pensa di essere nel 1948 e di poter replicare la vittoria delle forze del Bene contro quelle del Male, oppure che immagina per il 5 marzo una festosa invasione del Parlamento da parte di decine di neoeletti pro-vita e pro-famiglia. Nessuno nega che si possa anche sperare in miracoli, ma se stiamo alla realtà odierna non possiamo non constatare che viviamo in un paese ormai sterile (ogni anno si batte il record negativo di nascite), fortemente secolarizzato, dove una reale presenza cattolica è ridotta al lumicino (per l’indirizzo delle gerarchie vedi sopra) e ci sono solo alcuni influenti vescovi-pilota che trattano direttamente con partiti e governo la sopravvivenza delle opere a cui tengono (e che non c’entrano nulla con la fede del popolo). In questo quadro si può realisticamente sperare solo di riuscire ad eleggere in Parlamento almeno una manciata di deputati e senatori disposti a battersi per i princìpi che ci stanno a cuore.
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Tale convinzione nasce dall’osservazione di quanto accaduto nella passata legislatura. Non fa un buon servizio alla verità chi sostiene che tutti i partiti siano stati uguali e che tutti siano stati traditori allo stesso modo. No, non è vero. Ci sono stati deputati e senatori che si sono battuti con coraggio contro le leggi più ingiuste; il disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia è stato fermato, per approvare la legge sulle unioni civili il governo ha dovuto forzare anche alcune norme costituzionali, e così via. Piuttosto si deve prendere atto che più che sui partiti si è potuto contare su singoli parlamentari, presenti nelle diverse formazioni del centro-destra. E oggi la situazione è tale che sarebbe già un buon risultato ottenere una rappresentanza analoga.
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Al proposito vedo che molti si preoccupano di non far eleggere questo o quel “cattivo” parlamentare, che sia traditore o nemico giurato. Mi sembra una pessima prospettiva, anche perché sulla scheda elettorale non c’è la possibilità di voti contro. Si deve piuttosto pensare a come far eleggere e sostenere quei candidati che riteniamo “buoni”.
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Sugli esiti dei Family Day ci sarebbero da scrivere pagine e pagine. Mi limito a qualche appunto. Personalmente trovo irritante la riduzione politico-partitica che è stata fatta di quegli straordinari eventi. Due diverse strategie – partito ad hoc e contaminazione dei partiti del centro-destra – ma un’unica radice: pensare che l’unico modo di incidere nella società e nella politica sia il Parlamento. Senza pensare che questa sia materia di fede, credo però che sia un errore gravissimo. Guardiamo realisticamente la situazione, senza entrare nel merito delle reciproche accuse che soprattutto sui social hanno raggiunto livelli notevoli: da una parte c’è un partito che, malgrado il commovente coinvolgimento di tante persone, è dato tra lo 0,5 e l’1%, distante anni luce dalla soglia necessaria a entrare in Parlamento (il 3%); dall’altra abbiamo nei partiti del centrodestra una rappresentanza diretta di membri del comitato dei Family Day più che risicata. In pratica c’è un solo candidato (Pillon), peraltro neanche certo di elezione. A questi si possono aggiungere altri due candidati molto vicini al Comitato (Iadicicco e Cerrelli). In ogni caso una miseria rispetto al potenziale di quelle piazze. Tanto più che per inseguire il sogno di “occupazione” del Parlamento si è oggettivamente resa più debole la presenza di quei deputati e senatori che hanno già combattuto le leggi ingiuste (vedi sopra).
Non solo: questa riduzione politica dei Family Day ha impedito uno sviluppo di quel movimento di famiglie che ha dato spettacolo a San Giovanni e al Circo Massimo. Sarò felice di essere smentito ma credo che non sentiremo più parlare di Family Day per molti anni, e senza neanche aver “occupato” il Parlamento.
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Un’ultima nota mi sia consentita sugli effetti di queste strategie alternative, che potrebbero peggiorare ulteriormente il quadro descritto sopra, visto il sistema elettorale attuale: nel centrodestra come sappiamo si presentano diversi candidati dalla indiscutibile identità pro-life e pro-family anche se non indicati dal Comitato Difendiamo i nostri figli. Ebbene, laddove questi nei collegi uninominali si dovessero trovare in un testa a testa con il candidato della sinistra o dei 5 Stelle, rischierebbero di perdere a causa dei voti andati al candidato del PdF. Emblematico il caso del collegio Roma 1 per il Senato dove i sondaggi danno un testa a testa tra la famigerata Emma Bonino e Federico Iadicicco, candidatura fortemente sostenuta dal Comitato Difendiamo i nostri figli. Ebbene nello stesso collegio si presenta il leader del PdF Mario Adinolfi: aldilà delle intenzioni è evidente che potrebbe (e sottolineo: potrebbe) venirsi a creare la situazione paradossale per cui la presenza del PdF favorirebbe la vittoria della Bonino. E la situazione si può ripresentare in altri collegi. Così che la già striminzita pattuglia di parlamentari “buoni” potrebbe ulteriormente ridursi a causa di una lotta “fratricida".