Egemone e laicista: la nuova Polonia deve cancellare Wojtyła
Ascolta la versione audio dell'articolo
Gli attacchi a San Giovanni Paolo II nel suo paese, accusato senza alcuna prova di aver coperto degli abusatori, si spiegano solo con la collocazione che la Polonia si sta dando come nuovo leader europeo ed egemone nel Baltico. Infatti, un Paese che aspira ad essere leader nell’Europa liberale e laicista, può ancora presentarsi come cattolico?
Dunque, partiamo dai fatti.
Il 4 marzo scorso la televisione nazionale (di orientamento liberale) TVN24 ha trasmesso il documentario intitolato «Franciszkańska 3» (l’indirizzo della sede vescovile di Cracovia). In questo lavoro, il giornalista Marcin Gutowski afferma che il vescovo Karol Wojtyła ha coperto dei preti pedofili facendoli espatriare e sottraendoli alla giustizia. Lo stesso Gutowski, nell’ottobre dell’anno scorso, aveva pubblicato un libro sullo stesso tema. Il documentario ha preceduto e spianato la strada ad un altro libro simile uscito solo quattro giorni dopo, a firma del giornalista olandese (residente in Polonia) Ekke Overbeek. Il quale, dieci anni fa, aveva già scritto un libro sullo stesso argomento e fondato una associazione (Nie lękajcie się, non avere paura) per tutelare le vittime di pedofilia da parte del clero polacco insieme alla vittima di abusi, Marek Lisiński. Diversi uomini politici (del PiS di Kaczyński) hanno manifestato stima per Giovanni Paolo II e vicinanza al clero polacco; domenica scorsa circa 50.000 persone hanno manifestato gli stessi sentimenti a Varsavia e migliaia in altre città.
Adesso cerchiamo di vederci più chiaro. Non è facile.
Partiamo da Lisiński, che pare essersi inventato gli abusi e aver ricattato una vittima (vera) di abusi; l’associazione Nie lękajcie się, travolta dallo scandalo, è stata sciolta.
I documenti in possesso dei giornalisti provengono tutti dalla stessa fonte: il servizio segreto SB, per il tramite dell’Istituto della Memoria Nazionale; non hanno ritenuto necessario cercare conferme delle loro affermazioni presso gli archivi ecclesiastici. Il punto è che i documenti dell’SB, spesso compilato con intento ricattatorio, sono quasi sempre falsi; come pare in questo caso.
Il fango dell’inchiesta ha colpito, ad esempio, il cardinale Sapieha, vescovo di Cracovia e mentore di Giovanni Paolo II. Secondo le testimonianze del sacerdote padre Anatol Boczek, Sapieha avrebbe abusato di molestie sessuali nei confronti di alcuni seminaristi tra i quali lo stesso Boczek. Peccato che, all’epoca dei fatti, Boczek (sacerdote con seri problemi di alcolismo) avesse 34 anni e Sapieha, malato e quasi infermo, 83. Un po' traballante, come accusa di abusi sessuali su minori...
Ma il vero scoop sarebbe un altro: il successore di Sapieha, il cardinale Wojtyła, avrebbe coperto e aiutato a fuggire il prete pedofilo Bolesław Saduś: saputo degli abusi, l’avrebbe spedito in Austria nel 1972. Il che è vero: è tutto il resto che non torna. Don Saduś era stato allontanato a causa di atti omosessuali con adulti; per questo motivo era stato ricattato dall’SB al fine di farlo collaborare con il regime (cioè denunciare per attività controrivoluzionarie altri confratelli). Per evitare lo scandalo e togliere il sacerdote dall’imbarazzo, il cardinale di Cracovia lo avrebbe spedito lontano, evitando a don Saduś di aggiungere la delazione alla lista dei suoi peccati. L’unico riferimento ad attenzioni di Saduś per minori è contenuto in un appunto postumo (del 1979) vergato nientepopòdimenoche dal colonnello Płatek; il quale, negli anni Settanta, era il capo della Sezione «D» del Ministero dell'Interno, avente come obiettivo la disgregazione della Chiesa Cattolica (solitamente tramite la calunnia di sacerdoti). Insomma, un documento tutt’altro che certo.
Tutto qui. Ma non faremo l’errore di guardare il dito e non vedere la luna. Cosa indicano, queste manovre? I polacchi spiegano questa ondata di fango sulla Chiesa polacca con le prossime elezioni, che vedranno il PO di Tusk (tornato in Polonia dai palazzi UE) sfidare il PiS di Kaczyński, partito che esprime il governo e il Presidente della Repubblica e che ha il suo «zoccolo duro» nella Polonia cattolica, rurale e patriottica. Sembra una visione un po' miope.
Ricordiamo che, nel 2019 e 2020, i fratelli Marek e Tomasz Sekielski avevano pubblicato altri due documentari sugli abusi sessuali su minori perpetrati da sacerdoti polacchi (casi molto vecchi e aventi come protagonisti diversi sacerdoti infiltrati nei seminari dall’SB proprio per le loro tendenze). Insomma, la questione va avanti da un po'. L’idea è che, in Polonia, qualcuno stia applicando il «protocollo Irlandese»: a partire dal film Magdalene (2002), a sua volta basato sul documentario Sex in a Cold Climate (1998) sugli abusi perpetrati da suore inglesi; per passare, un paio d’anni più tardi, dallo scandalo degli abusi del clero irlandese sui minori; fino ai referendum su aborto (2018), blasfemia e divorzio (2019); passando dal gesto clamoroso della chiusura dell’ambasciata irlandese presso il Vaticano (2011). Il risultato è un forte scollamento della popolazione irlandese dal clero, il crollo della fiducia nella Chiesa e una secolarizzazione galoppante. Così, quello che un tempo era un bastione cattolico non lo è più. Che lo stesso trattamento sia stato riservato anche alla Polonia?
Da un po' di tempo il premier Morawieczki, forte dell’attivismo del suo Paese nel conflitto russo-ucraino presenta la Polonia come nuovo leader europeo a fianco di Germania e Francia; e non è per nulla tramontata l’ipotesi di un ingrandimento polacco a spese dell’Ucraina, un passo avanti verso la realizzazione del progetto Międzymorze, ribattezzato Trimarium e fortemente sostenuto dalla NATO, che vede la Polonia leader dell’Europa centrale ed egemone dal baltico fino al Mar Nero, al Mar d’Azov e all’Adriatico. Un paese che aspira ad essere leader nell’Europa liberale e laicista, può ancora presentarsi come «cattolico»?