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LA CRISI GLOBALE

Economia, anche gli USA vanno a lume di naso

Alla New York University si snocciolano bene i problemi, ma di soluzioni neanche l'ombra. Che l'Europa debba fare a meno del colosso americano?

Attualità 26_10_2011
Wall Street

 

Deve il governo americano aumentare o abbassare la sua spesa pubblica? Quanto può o deve occuparsi della vita dei suoi cittadini?
La risposta a queste due domande era la linea di demarcazione, fino a ieri, delle fondamentali differenze di strategie politiche tra Repubblicani e Democratici.

Oggi il presidente Democratico Obama chiede di aumentare le tasse prevedendo una speciale aliquota per i ricchi e il 45%  (Purplepoll)  degli elettori Repubblicani sono d’accordo con lui.
Non solo, a queste domande Repubblicani e Democratici, all’inizio della nuova campagna elettorale per le presidenziali, non offrono risposte politiche e così le differenze tra loro scompaiono.

Mentre Obama «è in corsa contro se stesso», suggerisce Steve McMahon, consulente politico Democratico, «e solo quando troverà un avversario chiarirà la propria posizione», i primi sondaggi elettorali vedono in testa, per un solo 3%, il Repubblicano Mitt Romney. Questo grazie ai voti degli elettori “indipendenti”, un gruppo importante sempre presente nei sondaggi elettorali del Paese, ma oggi in forte aumento. Né con i Repubblicani né con i Democratici, gli indipendenti – così spiegano gli analisti e giornalisti politici sia americani sia europei presenti alla tavola rotonda recentemente organizzata dalla New York University a Firenze - sono elettori che variano di numero a ogni sondaggio e difficilmente definibili attraverso idee politiche precise.

Non sono del resto dei "centristi", posizionandosi piuttosto sulle ali estremi dei due schieramenti principali. In questo grande grande calderone stanno movimenti di opinione pubblica diversissimi tra loro quali i "Tea Party" e gli indignados di Wall street, ma pure gruppi meno visibili, portatori di interessi strettamente locali.

Nemmeno la questione della riforma del Sistema sanitario nazionale, argomento Democratico per eccellenza, riesce a spostare, oggi per la prima volta, voti e interessi: solo il 10% degli elettori lo ritiene infatti rilevante per la campagna elettorale a fronte di un 49% che chiede alla politica di occuparsi della crescita dell’economia e dei posti di lavoro.

Scomparso dai programmi elettorali è il tema della sicurezza nazionale e quindi la politica estera.
La crisi economica mondiale domina insomma la scena e spinge - nota Robert Shrum, storico consulente strategico Democratico – verso un sentimento "popolare" di antiglobalizzazione da cui prendono vigore un po’ tutti i nuovi movimenti di opinione pubblica. Una voglia di nuovo protezionismo, insomma, e di chiusura dei confini nazionali al mercato mondiale che peraltro sembrerebbe del tutto improbabile, viste le attuali condizioni del mercato e le strategie internazionali che dominano in Occidente, guerre comprese.

Intanto in Louisiana si è iniziato a costruire un nuovo oleodotto per aumentare le risorse petrolifere statunitensi: la necessità di creare energia indipendente è infatti un’altra grande richiesta nazionale.
Può darsi insomma che gli Stati Uniti abbiano deciso di assumere la stessa decisione che già presero i britannici, o meglio Winston Churchill, durante la Seconda guerra mondiale: salvare la patria abbandonando l’impero. Forse il pensiero è prematuro, ma la tentazione è evidentemente forte.

Tra gli esperti della New York University una domanda corre però più insistente delle altre: come può crescere così velocemente un’economia chiusa come quella della Corea del Sud? L’esempio infatti attrae, anche se per i relatori le ragioni di quel successo restano inspiegabili.

Non è un segreto peraltro Obama miri allo smantellamento delle superstrutture delle banche internazionali, responsabili dell’allargamento della crisi finanziaria. Per lo stesso motivo gli Stati Uniti sono preoccupati degli sviluppi negativi, recenti, della speculazione finanziaria in Europa, ma mentre negli Usa, a settembre, Obama ha intentato un’azione giudiziaria per ricuperare tasse versate dai cittadini e impegnate nel 2008 nella ricapitalizzazione delle banche statunitensi, oggi il presidente approva lo stesso progetto a cui si sarebbero decisi il duo Merkel-Sarkozy snobbando gli altri leader dell’Unione.

Che soluzioni hanno gli americani per uscire dalla crisi? Pare nessuna. Nemmeno loro sembrano capaci di immaginare una conclusione dignitosa a questa catastrofe finanziaria mondiale. Insomma, tra un presidente in continua "fase di transizione" come Obama e un possibile presidente, Repubblicano, mormone e senza grandi idee come Mitt Romney, l’Europa deve forse imparare a cavarsela da sola.