Ecco il cuore del viaggio di Dante: l'incarnazione
Quest’anno si è davvero letto di tutto sulla Divina Commedia: spettacoli e trasmissioni hanno celebrato il Sommo poeta. Ma questa mole immane di lavoro ci ha davvero avvicinato maggiormente alla comprensione? In occasione del settecentesimo anniversario della sua morte proviamo allora a rileggere il Paradiso andando al cuore dell’esperienza che Dante ha vissuto.
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Quest’anno si è davvero letto di tutto sulla Divina Commedia. Spettacoli e trasmissioni hanno celebrato il Sommo poeta. Il capolavoro è stato sottoposto a molteplici interpretazioni, piegato a disegni e ideologie, utilizzato per corroborare tesi e progetti.
Ma questa mole immane di lavoro e questa profusione di attività commemorative ci hanno davvero avvicinato maggiormente alla comprensione dell’opera oppure hanno favorito la dispersione del cuore e del centro dell’esperienza che Dante ha vissuto?
Nel 1965, in occasione del settimo centenario della nascita di Dante, con l’intervento “Le visuali retrospettive” Singleton auspicava per tutti gli studiosi e i lettori della Commedia “una conversione della fantasia”, conversione “necessaria” “a cui dovesse essere disposto ogni lettore nell’atto di una lettura partecipe”, qualsiasi fosse l’opera da affrontare.
Questa conversione era ancor più necessaria per un’opera come la Commedia per il fatto che, scriveva Singleton, “abbiamo perso contatto, per dir così, con Dante e il suo tempo – e con il poema”. In poche parole, soltanto una persona credente o che si ponga (anche se ateo o lontano dalla fede cristiana) in una prospettiva di fede simile a quella di Dante e dell’uomo medioevale (quella che Singleton chiama “conversione della fantasia”) può cercare di comprendere i versi del poeta e di intraprendere con lui il viaggio.
Singleton auspicava altresì che lettori e studiosi si educassero alle “visuali retrospettive”, ovvero, una volta giunti a mete parziali o finali del viaggio (come il termine dell’Inferno o del Purgatorio o del Paradiso), a “guardare indietro alla linea di sviluppo del viaggio […]. Ciò che vediamo allora sono schemi che si rivelano retrospettivamente (e soltanto retrospettivamente)”.
In occasione del settecentesimo anniversario della morte di Dante proviamo allora a rileggere il Paradiso unendo sia il metodo della visuale retrospettiva che della conversione alla cultura e alla mentalità cristiano medioevale che permeano tutta l’opera.
La divisione dei trentatré canti in tre parti uguali (dal canto I all’XI, dal XII al XXII, dal XXIII al XXXIII) e lo studio delle figure centrali nei sei canti che aprono e chiudono le tre sezioni, che rivestono un ruolo fondamentale dal punto di vista strutturale, mostrano che il poeta non sta viaggiando solo verso la visio Dei, ma anche verso l’epoca dell’incarnazione e della creazione.
Quali santi si trovano? Nel I canto Dante è ancora in compagnia di Beatrice, che aveva incontrato nel canto XXX del Purgatorio. Grazie a lei il poeta ha iniziato una vita rinnovata dalla fede. Potremmo anche dire che Beatrice è la santa della contemporaneità, morta l’8 giugno 1290, la santa che Dante ha conosciuto e grazie alla quale ha cambiato vita. Nella Candida rosa nell’Empireo Beatrice compare in terza posizione sotto la Madonna ed Eva.
Nell’XI canto, che conclude la prima parte, nel cielo del Sole (anime sapienti) san Tommaso racconta la vita di san Francesco, uno dei santi più importanti della storia della Chiesa e del Duecento, morto nel 1226, una quarantina d’anni prima della nascita di Dante. Nella Candida rosa san Francesco è collocato dalla parte opposta alla Madonna, in seconda posizione sotto san Giovanni Battista.
Dalla contemporaneità lo sguardo di Dante procede a ritroso nel tempo. La seconda parte si apre col canto XII con la figura di san Domenico di Guzman, salito al Cielo il 6 agosto 1221, data precedente a quella della morte di san Francesco (1226). Ci stiamo quindi avvicinando al momento dell’incarnazione.
Nel XXII canto, nel settimo Cielo di Saturno, ove si trovano le anime contemplative, il poeta può parlare con san Benedetto da Norcia, morto nel 547, gigante dell’Occidente, uno dei santi che hanno maggiormente contribuito alla realizzazione di un’unità culturale delle terre dell’impero romano d’Occidente, già crollato e ormai invaso dalle orde barbariche. Nella Candida rosa è collocato in terza posizione sotto san Giovanni battista e san Francesco.
Le prime due sezioni sono, quindi, dedicate alla santità, all’uomo che si compie nell’imitazione e nell’amore a Cristo. I primi ventidue canti presentano le anime dei santi che si mostrano a Dante scendendo dalla Candida Rosa nei primi sette Cieli.
In forma sintetica potremmo affermare che la terza e conclusiva sezione (canti XXIII-XXXIII) è focalizzata sull’incarnazione, dal trionfo di Cristo (Cristo risorto) del canto XXIII a ritroso fino al momento dell’incarnazione e della creazione di tutto (canto XXXIII).
In questa sezione conclusiva Dante incontra gli apostoli che sono stati più vicini a Cristo (san Pietro, san Giacomo, san Giovanni Evangelista nei canti XXIV, XXV, XXVI, XVII), la Madonna (prima parte del canto XXXIII), infine vede Dio (seconda parte del canto XXXIII) e il volto di Cristo, Dio che si è fatto carne assumendo fattezze umane (è il terzo momento della visio Dei).
Nel terzo momento della visione di Dio, guardando ancora meglio dentro il secondo cerchio Dante vede l’immagine dell’uomo. Il poeta ci vuole così esplicitare il mistero dell’incarnazione, umanamente incomprensibile. Nel mistero di Dio Dante ritrova il mistero dell’uomo, il volto umano. Questo è il punto chiave. Scrive Romano Guardini:
Ora soltanto si rivela la realtà ultima: il volto umano nel secondo cerchio. E qui si concentra, sotto l’urgere onnipotente della verità, ogni domanda e ogni attesa […]. Tutto dipende di qui: comprendere cioè come nell’eterno giro stia l’immagine del volto umano mortale. Comprendere come può essere ciò che non è necessità deducibile, ma è factum, voluto e compiuto nella libertà, è storia: l’incarnazione di Dio.
Dante è approdato nel suo viaggio a vedere il punto più lontano dalla Terra e nel contempo il punto più lontano nel tempo, il momento iniziale. Il viaggio di Dante è stato di duplice natura: nello spazio (verso l’Empireo) e nel tempo (verso l’incarnazione e verso la nascita dell’universo).
Da un lato il poeta si è mosso dalla Terra (in particolare dalla selva oscura ubicata a Gerusalemme) verso il centro della Terra e poi sul Purgatorio e poi di Cielo in Cielo fino a giungere all’Empireo e alla Candida rosa: un viaggio dalla Terra fino ai confini dell’universo.
D’altra parte il viaggio è stato di natura temporale, dalla contemporaneità rappresentata dalla pressoché coetanea Beatrice fino al momento dell’incarnazione (il sì di Maria) e poi addirittura fino al punto iniziale, alla sorgente di tutto, quel Dio che è “amore che move il sole e l’altre stelle”, gloria che muove tutto, Creatore dell’intero universo. Potremmo definirla una prospettiva temporale retrograda.
Qual è la ragione per cui Dante adotta tale disposizione dei santi e compie un viaggio anche di tipo temporale, dalla contemporaneità verso l’incarnazione e l’origine dell’universo?
Perché l’incarnazione è il punto della storia in cui la rivelazione si compie, divide in due il tempo, è accaduta in un momento preciso e in un luogo determinato della terra. Ma Cristo è ancora presente e si può ancora incontrare nell’hic et nunc.
Dante vuole dimostrare come l’incarnazione continui ancora nella contemporaneità e l’incontro che gli apostoli hanno avuto con Cristo è stato possibile anche a lui attraverso il volto di una santa, Beatrice.
Scrive Singleton che Dante aveva consapevolezza che “c’erano e […] che sempre ci sarebbero stati lettori del poema desiderosi di vedere la Carne nel Verbo ed il Verbo nella Carne, due nature in una”.
Chiarisce Guardini:
Da questo evento alla fine della Commedia [l’incarnazione] è sorretto ogni passo del lungo pellegrinaggio e ogni avvenimento ne è la preparazione. […] L’esistenza umana è limitata e passeggera: rimane però vera nell’eternità di Dio e lì riceve il suo ultimo significato. […] Dio opera la salvezza, […] mediante un’azione ben distinta che domanda una decisione. Mediante il “segno di contraddizione”: la nascita umana del Figlio eterno di Dio, in quell’anno, in quel paese, in quella determinata situazione storica. Altrettanto vale per l’uomo singolo: egli è transitorio, ma quanto egli compie nel tempo transeunte vale per l’eternità. […] Il mondo è finito e transeunte, ma Dio gli conferisce senso e realtà. Nel peccatore esso sperimenta la morte, nell’uomo redento e perfetto, invece, il rinnovamento è riassunto in Dio, esso sussiste eterno come nuovo cielo e nuova terra.
Per questa ragione l’incarnazione è il cuore dell’ultima sezione del Paradiso (canti XXIII-XXXIII), cuore del canto di apertura della sezione (XXIII) e di quello di chiusura (XXXIII).
Per la stessa ragione l’incarnazione è presente e non in forma secondaria anche nei canti di apertura e di chiusura di tutte le tre sezioni e ciò corrobora l’ipotesi che nel percorso retrogrado temporale Dante voglia mostrare come l’incarnazione accade sempre nel presente per ogni uomo.
Si conclude, così, l’umana avventura di Dante, nell’esperienza che la risposta all’attesa di felicità e di bellezza è «l’amor che move il sole e l’altre stelle», un magnifico verso che richiama il primo verso di apertura: «La gloria di colui che tutto move». Dio è l’«amor che move il sole e l’altre stelle», Dio è l’amore-carità, la legge più forte che esista nella realtà e, nel contempo, la legge profonda dell’animo umano. Dio è il momento in cui tutto ha origine, in cui ogni essere trova ad un tempo il suo fondamento e il suo destino.