Due illusioni e un inganno di una guerra di propaganda
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La guerra in Ucraina si è sviluppata su due grandi illusioni e un inganno: quella dei russi, convinti di portare alla resa Kiev in pochi mesi e quella delle cancellerie europee convinte di portare l'Ucraina alla vittoria. In mezzo c'è l'inganno di cui è vittima il popolo ucraino.
La guerra è anche una questione di simboli e alla vigilia del secondo anniversario dall’attacco russo il ministero degli Esteri tedesco ha diffuso una notizia fondamentale per l’esito del conflitto: nella corrispondenza ad uso ufficiale, sarà utilizzata la parola ucraina “Kyiv” e non più il termine russo “Kiev” per indicare la capitale dell’Ucraina.
«In qualità di Ufficio Federale degli Affari Esteri, stiamo gradualmente cambiando l'ortografia. Questo riguarda i siti web, la targa dell'ambasciata tedesca in Ucraina e i sigilli ufficiali», ha comunicato il ministero degli Esteri tedesco.
Ad Avdiivka, ex roccaforte ucraina nel Donbass espugnata dai russi pochi giorni or sono dopo dieci anni di scontri violentissimi (considerata la ricorrenza è il caso di ricordare che questa guerra non è cominciata due anni or sono ma nel 2014), le autorità di Mosca hanno cominciato a rilasciare passaporti russi agli abitanti mostrando foto dei primi 30 ex cittadini ucraini divenuti russi. Un evento simbolico che, tenuto conto della violenza dei combattimenti in questa città, ricorda che le poche centinaia di civili che hanno deciso di restarvi, nonostante gli appelli delle autorità ucraine affinché lasciassero le loro case, attendevano l’arrivo dei russi.
Sul campo di battaglia questo secondo anniversario dall’avvio della "Operazione Militare Speciale" russa è caratterizzato dall’avanzata delle truppe di Mosca un po’ su tutti i fronti: a ovest di Avdiivka e di Bakhmut, ma anche nei settori di Ugledar e Zaporizhia mentre a Kherson, secondo fonti russe, sono state eliminate le ultime sacche di resistenza dei marines ucraini che per mesi avevano tenuto una piccola testa di ponte sulla sponda sinistra del fiume Dniepr.
Difficile stilare il bilancio di questi due anni di guerra al netto della propaganda dei due belligeranti: gli ucraini potrebbero aver registrato mezzo milione di caduti o più facilmente di morti e feriti e il presidente Zelensky ha reso noto che i russi rimasti uccisi sono oltre 400mila. Numeri che nessuna fonte neutrale potrà forse mai confermare. Un bilancio può emergere solo valutando fatti concreti: innanzitutto i russi stanno vincendo sul campo di battaglia grazie a più truppe, meglio addestrate, con maggiore potenza di fuoco e con un continuo incremento di mezzi, munizioni e combattenti grazie a oltre mezzo milione di volontari che si aggiungono alle truppe regolari e ai riservisti richiamati.
Gli ucraini hanno bruciato migliori reparti di veterani nella difesa vana di Bakhmut, Marynka e Avdiivka e soprattutto nella fallita controffensiva dello scorso anno. Non ci sono più file lunghissime ai centri di arruolamento, anzi, le enormi perdite subite per perseguire obiettivi più politici che militari inducono oggi gli ucraini giovani e meno giovani a tentare in ogni modo di sottrarsi all’arruolamento. La credibilità della classe dirigente politica e militare è in caduta libera e lo si evince non tanto dai sondaggi in una nazione dove le legge marziale serve anche a eliminare ogni voce di dissenso ma soprattutto parlando con gli ucraini rifugiatisi in Europa.
In termini militari i rapporti di forza di oggi emettono una sentenza senza appello: il potenziale bellico russo cresce grazie a un’industria pesante supportata da enormi quantità di energia e materie prime mentre l’Ucraina dipende interamente dagli aiuti occidentali militari ed economici: aiuti necessari anche per pagare pensioni e stipendi ma in rapido calo da diversi mesi.
Se negli Stati Uniti i fondi per l’Ucraina restano bloccati al Congresso e la guerra in Ucraina non sembra essere il tema dominante della campagna elettorale (confermando che l’America si stanca delle guerre che combatte ma ancor più di quelle che fa combattere agli altri), in Europa una classe dirigente sempre più imbarazzante affronta il tema con slogan e proclami ben lontani dalla concretezza che nei tempi difficili si dovrebbe pretendere dagli statisti. Il messaggio chiave, ribadito recentemente alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, è infatti continuare ad armare l’Ucraina per permetterle di riconquistare i territori perduti, che peraltro diventano ogni giorno più vasti.
Nessuna ipotesi di negoziare un accordo che ponga fine al conflitto e stabilizzi i confini orientali di un’Europa che non ha più armi né munizioni da dare agli ucraini, se non disarmando i suoi piccoli eserciti, né sembra vi siano nazioni aderenti alla NATO pronte a inviare i propri soldati all’assalto contro i russi per riconquistare Avdiivka. Non a caso, gli ultimi aiuti militari annunciati dagli europei riguardano armi che devono ancora essere costruite e che saranno disponibili nel 2026 o nel 2027. Un po’ tardi per le esigenze dell’Ucraina il cui esercito potrebbe collassare al fronte nei prossimi mesi.
L’industria della Difesa europea, a cui la Ue si affida per i suoi annunciati programmi di riarmo, ha bisogno di anni e molti miliardi di investimenti per ampliarsi e accelerare la produzione e tutto questo dovrebbe accadere mentre l’economia va a rotoli tra inflazione, de-industrializzazione, recessione e incertezza energetica e mentre l’opinione pubblica chiede più “burro” e meno “cannoni”.
Qualche esempio illuminante ci giunge dalla “locomotiva d’Europa”: quest’anno in Germania l’unico ministero che ha un budget più elevato rispetto allo scorso anno è quello della Difesa ma non sembra che questa decisione stia portando molti consensi alla coalizione di centro-sinistra al governo dove il ministero degli esteri guidato dalla verde Annalena Baerbock (la stessa che l’anno scorso dichiarò che il problema più grave della Germania è “il clima”) è impegnato a ridefinire la dicitura delle città ucraine.
La scorsa settimana, all’inaugurazione di un nuovo stabilimento per la produzione di munizioni d’artiglieria, è emerso che i depositi dell’esercito tedesco sono vuoti dopo le cessioni a Kiev (anzi a Kyiv) e che ripianarli agli standard pre-guerra costerà 40 miliardi di euro. Moltiplicare questa cifra per tutti i campi di armamento e per tutti gli stati membri consente di immaginare cifre enormi solo per riportare i livelli di armi e munizioni in Europa agli standard non certo esaltanti di due anni or sono.
L’aspetto più imbarazzante è che gli stessi leader politici che annunciano impegnativi programmi di riarmo e il bellicoso sostegno alla riconquista dei territori ucraini perduti sono esattamente gli stessi che ci hanno raccontato (senza avere il supporto di analisi, studi e rapporti) che le nostre sanzioni (oggi ulteriormente potenziate dopo la morte di Aleksej Navalny) avrebbero distrutto l’economia russa in poche settimane o che ci assicuravano che Putin sarebbe stato rovesciato, o ucciso da una delle sue innumerevoli malattie, che l’esercito russo aveva finito munizioni e missili, combatteva con i badili e rubava le schede elettroniche dalle lavatrici nell’Ucraina occupata per metterle dentro missili e altri sistemi d’arma.
Ricordare tutto questo è ancor più necessario oggi che la Ue lancia continui allarmi e vara misure di censura per contrastare la “disinformazione russa”.
La guerra in Ucraina si è sviluppata su due grandi illusioni e un inganno. I russi hanno attaccato due anni or sono su un fronte di 1.500 chilometri con poche truppe (per un terzo composte dalla Guardia Nazionale) convinti che gli ucraini si sarebbero arresi senza combattere. Illusione durata solo qualche mese specie dopo che a fine marzo 2022 gli anglo-americani hanno indotto il governo ucraino a rinunciare all’accordo di pace negoziato con la mediazione turca in base al principio che la guerra doveva continuare perché avrebbe logorato la Russia.
Un inganno di cui oggi ucraini ed europei pagano il prezzo e che ha spalancato la porta alla seconda illusione, quella che ancor oggi sembra alimentare nei governi occidentali la fiducia cieca nel successo ucraino e nella sconfitta russa nonostante tutti gli indicatori inducano a ritenere più probabile il contrario.
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