Dopo l'attacco iraniano, Israele pensa alla risposta. Gli alleati lo frenano
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L’attacco iraniano contro Israele del 13 aprile è il primo atto di guerra aperta fra i due paesi. Ci sarà una reazione israeliana? Usa e G7 frenano Netanyahu.
L’attacco iraniano contro Israele del 13 aprile è il primo atto di guerra aperta fra i due paesi. Per questo può essere considerato già come un fatto storico.
L’ATTACCO
Nella notte fra il 13 e il 14 aprile, l’Iran ha lanciato dal suo territorio, in tre ondate, oltre 300 ordigni fra droni, missili da crociera e missili balistici. All’attacco si sono uniti anche gli Hezbollah, con lanci di razzi dal Libano, le milizie sciite in Iraq con altri lanci di missili e soprattutto gli Houthi che hanno contribuito al bombardamento dallo Yemen. Ieri l’allarme è cessato e il Comando del fronte interno israeliano ha autorizzato la riapertura di tutte le attività civili sospese prima e durante l’attacco. Anche lo spazio aereo è stato riaperto e i voli passeggeri sono ripresi. Resta aperto solo il fronte del Mar Rosso, dove gli Houthi hanno continuato i loro attacchi. I loro missili sono stati intercettati e navi statunitensi hanno risposto con raid nei territori yemeniti controllati dalla milizia sciita.
A parte queste azioni militari di scala minore, niente di nuovo sul fronte mediorientale: per tutta la giornata di ieri, domenica 14 aprile, si sono contati i danni dell’attacco iraniano a Israele, sia effettivi che potenziali. E si è rimasti in attesa di un’eventuale contro-risposta israeliana. Che non è arrivata, almeno finora.
LE INTENZIONI DELL’IRAN
I danni da calcolare sono sia quelli effettivi, sia quelli potenziali (ciò che l’Iran avrebbe potuto distruggere in Israele, se la difesa anti-missile non avesse funzionato a dovere), per misurare le intenzioni del regime di Teheran. Si è trattato di un attacco solo simbolico, “telefonato”, per mostrare all’opinione pubblica interna che l’Iran è in grado di vendicare l’uccisione del generale Zahedi e di altri sei ufficiali della Guardia Rivoluzionaria, da parte di Israele? Oppure c’era l’intenzione di devastare obiettivi civili e militari israeliani?
I danni effettivi sono molto ridotti. Secondo i dati forniti da Gerusalemme, il 99% degli ordigni iraniani è stato intercettato dalle difese israeliane. Un terzo dei droni è stato abbattuto dai caccia britannici e americani alzatisi in volo in difesa di Israele e anche le difese anti-aeree francesi sarebbero entrate in azione, assieme a quelle della Giordania. La base aerea di Nevatim, nel sud di Israele, è stata colpita ma era già operativa nella mattinata di ieri. Si contano alcuni feriti fra i civili, fra cui una bambina di sette anni, Amina, di etnia beduina.
L’Iran si ritiene pubblicamente “soddisfatto”. L’onta è lavata e non vi saranno altri attacchi. A meno che Israele non risponda e allora «la risposta dell'Iran sarà più ampia di quella della scorsa notte», secondo quanto dichiarato dal comando della Guardia Rivoluzionaria.
La quantità di ordigni lanciati, comunque, indica un attacco tutt’altro che simbolico. L’Iran voleva effettivamente sopraffare numericamente le sue difese anti-missile e infliggere danni alle strutture militari israeliane. Probabilmente due sono stati gli imprevisti: la pronta reazione di Regno Unito, Usa, Francia e Giordania che hanno contribuito notevolmente alla difesa di Israele e soprattutto l’efficienza delle difese israeliane, migliore delle migliori previsioni.
LE REAZIONI IN ISRAELE
Due ministri israeliani, tra cui Benny Gantz, hanno dichiarato che la ritorsione da parte di Israele non è imminente e che non agirà da solo, riporta la Reuters. A parte la minoranza nazionalista ortodossa rappresentata dal ministro delle Finanze, Smotrich, che vorrebbe una rappresaglia immediata «che risuoni in tutto il Medio Oriente», la maggioranza dei ministri che finora si sono espressi punta alla reazione dilazionata e soprattutto alla creazione di una coalizione anti-iraniana, costituita almeno dai paesi che hanno reagito all’Iran nella notte del 13. In ogni caso, come ha dichiarato un funzionario israeliano dell'ufficio del Primo Ministro alla NBC News americana, «Israele non può permettere un attacco di tale portata su Israele senza una qualche risposta, piccola o grande che sia. Spetta al gabinetto di guerra decidere ora».
Yoav Gallant, ministro della Difesa, preme soprattutto sulla nascita di un asse dei volenterosi: «Ieri l’Iran ha lanciato un attacco su Israele e ha incontrato la potenza del sistema di sicurezza israeliano. L’Iran è un problema mondiale, è una sfida regionale ed è anche una minaccia per Israele, e ieri il mondo si è chiaramente schierato insieme a Israele di fronte alla minaccia». Quindi: «Abbiamo l’opportunità di stabilire un’alleanza strategica contro questa grave minaccia da parte dell’Iran che sta minacciando di montare esplosivi nucleari su questi missili, il che potrebbe rappresentare una minaccia estremamente grave».
Anche il presidente di Israele, Isaac Herzog ha ribadito gli stessi principi: «L’attacco dell’Iran a Israele è stata una dichiarazione di guerra. È giunto il momento che il mondo affronti questo impero del male a Teheran. I leader mondiali devono chiarire al regime iraniano che il suo comportamento è inaccettabile. Dovremmo guardare con lucidità ai fenomeni chiamati Teheran e Iran. Israele non ha cercato di entrare in guerra dalla sua creazione nel 1948 e sta cercando la pace».
USA E G7 FRENANO
Tuttavia l’atteggiamento degli alleati di Israele, quelli che dovrebbero costituire la coalizione anti-iraniana, è di tutt’altro tenore. Il G7, in una riunione lampo ha espresso la chiara volontà di: “utilizzare tutti i canali di influenza su Israele per non lanciare ora un attacco di rappresaglia contro l’Iran”, secondo quanto riferisce l’agenzia Bloomberg. Ma soprattutto è il presidente americano Joe Biden che, nella sua telefonata a Netanyahu, nel pieno della crisi, ha subito pregato il suo alleato di trattenersi dalla rappresaglia. Successivamente, sempre Biden ha dichiarato che, in caso di risposta militare israeliana, gli Usa non parteciperanno.