Dopo l'Afghanistan tocca a Taiwan. La minaccia cinese
Il regime cinese, tramite i suoi quotidiani, avverte Taiwan: gli americani hanno abbandonato l'Afghanistan, quindi non aiuteranno nemmeno voi. Segue paterno consiglio: meglio fare la pace con Pechino. Che dal 1949 vuole annettere l'isola. Intanto iniziano le esercitazioni navali e aeree proprio a ridosso dell'isola "ribelle".
Il Global Times, quotidiano cinese in lingua inglese, legato al Partito Comunista, sta dedicando, da due giorni, una serie di articoli sulla questione di Taiwan. Un unico tema per quattro articoli (finora): se è vero che gli americani hanno abbandonato l’Afghanistan al suo destino, dopo tutto quel che ci hanno investito, allora a maggior ragione faranno la stessa cosa anche con Taiwan.
Taiwan è di fatto indipendente dalla Cina continentale sin dal 1949, quando sull'isola si ritirò il generale Chiang Kai-shek con quel che restava delle armate nazionaliste, sconfitte nella guerra civile da Mao Zedong. Da allora la Cina la considera come una "provincia ribelle" e vuole riannetterla. La data del 2020 era considerata come il limite dopo il quale la riannessione sarebbe avvenuta. Poi, causa Covid e probabilmente altre considerazioni di natura politica, la resa dei conti è stata rimandata. Per la fine degli anni '20, secondo le stime dell'intelligence militare americana, una guerra a Taiwan potrebbe essere vinta dai cinesi. Una formale dichiarazione di indipendenza, da parte del governo di Taipei, accelererebbe lo scoppio: Pechino ha già avvertito, più volte, che la intenderebbe come una formale dichiarazione di guerra. Quindi si può immaginare che tensione si viva da quelle parti.
Curiosamente, uno dei pezzi del Global Times, è un’analisi scritta da un ex ufficiale dei Marine in pensione, Franz Gayl, ora presentato come “funzionario civile del Pentagono”, dunque una fonte interna e autorevole agli occhi del pubblico cinese e internazionale. Gayl ritiene che gli Stati Uniti abbiano ormai l’abitudine “radicata nelle loro stesse origini” di sfruttare e poi abbandonare i loro alleati. Traccia un parallelo fra Afghanistan, Iraq, Somalia, Libano e Vietnam (andando a ritroso) fino alla Francia di Luigi XVI, che a suo dire sarebbe stata abbandonata, con un trattato per essa svantaggioso, nelle braccia dell’egemonia inglese. La leadership americana è mossa solo apparentemente da ideali, ma in realtà fa solo gli interessi del complesso militar-industriale (vecchio mantra della propaganda sovietica, della sinistra marxista europea e della sinistra pacifista americana), quando quest’ultimo inizia a realizzare le perdite allora si abbandona l’alleato ormai scomodo. Quindi la classe dirigente americana è presentata come una banda di scommettitori che si arricchiscono comunque. Si tratta, appunto, di tesi vecchie. Però, se è un ex ufficiale di carriera americano che lavora ancora al Pentagono che la sostiene… Lo scopo è quello di prevedere che la prossima nazione ad essere usata e poi scaricata sarà Taiwan. E che le condizioni perché faccia la fine degli sfortunati e ingenui predecessori ci sono tutte.
L’articolo dell’ex Marine, precedeva di un giorno un impressionante editoriale che suona come un vero e proprio avvertimento. La tesi è semplice: Taiwan farà la fine dell’Afghanistan. Quindi l’editoriale si conclude con un paterno consiglio, da Pechino alla “provincia ribelle”: «Le autorità del Partito Democratico Popolare (il partito al governo, ndr) dovrebbero rimanere lucide e le forze secessioniste dovrebbero usare la testa per svegliarsi dai loro sogni. Stando a quel che è avvenuto in Afghanistan, dovrebbero capire che, una volta scoppiata la guerra nello Stretto (di Taiwan, ndr), le difese dell’isola collasserebbero in poche ore e le forze statunitensi non arriverebbero. Di conseguenza, le autorità del Pdp si arrenderebbero in fretta, alcuni funzionari di alto livello dovrebbero fuggire in aereo. La scelta migliore che le autorità del Pdp possano fare è quella di evitare di spingere la situazione fino a questo punto. Devono cambiare la loro politica che li lega al ruolo di arma usata dagli Usa contro la Cina continentale. Dovrebbero mantenere la pace nello Stretto e con metodi politici, invece che agire come strumento militare degli Stati Uniti e sopportare le peggiori conseguenze di una guerra».
Questo articolo su un quotidiano del Partito Comunista Cinese (a cui ne seguono altri due che documenterebbero i timori dei cinesi di Taiwan, politici e semplici cittadini), suona come una minaccia. E lo è, a tutti gli effetti. Anche perché Pechino non si limita a parlare o a far scrivere editoriali sui suoi quotidiani di riferimento. Ma agisce in concreto, avendo avviato massicce esercitazioni aeree e navali proprio a ridosso di Taiwan. Con nuovi sorvoli di aerei militari, la Cina ha anche compiuto, dall’inizio dell’anno, 380 incursioni nel perimetro della difesa aerea taiwanese (non c’è un vero e proprio spazio aereo, visto che l’indipendenza dell’isola non è riconosciuta). Un aumento notevole, considerando che un numero analogo di incursioni si era verificato nell'arco di tutto il 2020.
La minaccia è abbastanza concreta da aver indotto il premier taiwanese, Su Tseng-chang, ad intervenire pubblicamente per smentire ogni facile parallelismo fra la situazione afgana e la sua. «La lezione sanguinosa che dobbiamo trarre dall’Afghanistan è che se al tuo interno regna il caos, un alleato esterno non può aiutarti, anche se lo desideri. Solo se prima aiuti te stesso, un alleato può aiutarti». Il premier ritiene che le forze armate taiwanesi, armate ed equipaggiate con armi in gran parte statunitensi, ma pienamente indipendenti (non ci sono basi Usa nell’isola) siano in grado di resistere ad un attacco cinese. Ma il fatto che ne parli, però, indica quanta tensione vi sia nell’isola dell’Asia orientale. Ed era inevitabile. La precipitosa ritirata americana, le scene dell’evacuazione di Kabul, hanno provocato uno shock in tutto il mondo. Ed è normale che gli alleati si chiedano quanto Washington sia disposta a sacrificare per correre in loro aiuto. Si spera solo che i nemici degli Usa, a partire dalla Cina, non vogliano testarne la determinazione.