Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Lorenzo a cura di Ermes Dovico

La meditazione

L’inquietudine per il domani, figlia dell’esclusione di Dio

A Dio non piace che pianifichiamo tutto. Il futuro non è nelle nostre mani. Dobbiamo invece fidarci della Provvidenza e fare la nostra parte giorno per giorno, vivendo con gioia quello che Dio ci offre oggi, senza affannarci per il domani. Dalla riflessione di un monaco benedettino.

Ecclesia 10_08_2025

Da quando Adamo si è privato della dolce familiarità con il suo Creatore, cercando di sottrarsi al suo sguardo e alla sua vicinanza, l’uomo, che non “sente” più la presenza di Dio, vive tormentato da tante paure. Egli, che viveva sotto la sensibile protezione di Dio, si ritrova solo, perché ha voluto “fare da solo”, ha scelto di escludere Dio dalla propria vita per realizzarsi da sé. Il demonio ha così campo aperto per tentare l’uomo, facendo leva su questa solitudine, su questa “assenza” di Dio. E il suo capolavoro è senza dubbio il nostro mondo, così fiero di cancellare ogni traccia di Dio dalla vista e dal cuore dell’uomo. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: il pane quotidiano dell’uomo moderno è la paura, l’ansietà, la preoccupazione, fino alla disperazione. Un monaco benedettino ci indica la strada per sottrarci da questa tirannia della paura, che attanaglia l’uomo, e tornare a vivere nella dolce e operosa confidenza nella Provvidenza (L.S.).

***

Dio sopporta tutti i nostri difetti. Eppure ve n’è uno che mette particolarmente alla prova la sua pazienza: quello di voler pianificare tutto. Così Charles Péguy mette questo lamento sulle labbra divine:

«Chi la sera, mettendosi a letto, fa dei progetti per il giorno dopo, costui non mi piace, dice il Signore. Lo sciocco: sa almeno cosa riserverà il domani? Forse conosce almeno lo scorrere del tempo? Sarebbe meglio che pregasse. Non mi piace – dice Dio – l’uomo che specula sul domani. Non gradisco colui che sa meglio di me quello che farò. Non amo colui che sa quanto io compirò domani. Non mi piace chi pensa di essere scaltro. L’uomo forte non è il mio forte» (C. Péguy, Le Mystère des Saints Innocents).

Queste parole ci mettono in guardia dalla volontà di operare al posto del buon Dio: trascorrere il proprio tempo a pianificare ogni cosa e non sopportare che le cose non vadano come previsto. In una certa misura, si può vedere in questo atteggiamento l’attitudine dei farisei di fronte al cambiamento provocato dalla venuta del Figlio di Dio. Ci si proietta continuamente in un futuro illusorio e non si sa più gustare con semplicità la gioia che Dio offre ogni giorno. Ci si sente schiacciati dal peso del domani prima ancora di averlo provato… Ascoltiamo ancora la santa di Lisieux: «Se penso al domani, temo per la mia incostanza. Sento nascere nel mio cuore la tristezza e la noia. Ma voglio vivere la prova, la sofferenza, mio Dio, solo per oggi» (Mon chant d’aujourd’hui, str. 4).

Dio non ama la lungimiranza in quanto comporta preoccupazione, bisogno di accumulare, inquietudine di rimanere senza. Ecco perché gli ebrei nel deserto dovevano raccogliere la manna caduta dal cielo secondo i loro bisogni quotidiani, con la proibizione di fare delle scorte (cf. Es 16). Allo stesso modo, Gesù raccomanda ai suoi discepoli inviati per la missione: «Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6, 31-34). In effetti, cosa ne sappiamo del domani? In fondo, una sola cosa: «Quel che so di domani, diceva Lacordaire, è che la Provvidenza si leverà prima del sole»!

Guardiamoci tuttavia dall’altra insidia, che si colloca all’opposto: l’imprevidenza, che è una mancanza contro la virtù della prudenza e una caricatura del vero abbandono.

«Non pensiamo che al presente e abbandoniamo l’avvenire alla Provvidenza. Ancor meglio, è il buon uso del presente che ci assicura l’avvenire» (J.-P. de Caussade, Lettres spirituelles, 6). Con queste parole, il padre de Caussade ci ricorda che l’abbandono si allea con la virtù della prudenza. Ogni giorno porta in sé la promessa del domani. E al contrario, la pigrizia di oggi conduce all’indigenza di domani. Chi non conosce la morale de La cicala e la formica? Facciamo quel che Dio ci chiede giorno per giorno, senza inquietarci per il domani. È l’insegnamento del Vangelo: «Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro» (Lc 14, 28-30).

Non cadiamo dunque in un altro difetto: la “procrastinazione”, che consiste nel rimandare continuamente a domani quanto possiamo e dobbiamo fare oggi. Questo atteggiamento si traduce con espressioni che ho spesso sentito: “Domani inizio”, o: “domani smetto”. Gli spiriti magnanimi, al contrario, sanno di non dover ritardare la realizzazione dei loro progetti. Come dimostra questo aneddoto storico. Sotto il regno di Luigi XIV, la Francia era terribilmente a corto di navi di fronte alla potenza marittima inglese, sempre più minacciosa. Ora, ci si trovava con carenza di querce, indispensabili per produrre alberi di navi. Colbert radunò allora i silvicoltori del re e chiese loro di piantare una foresta. «Ma, signore, fecero notare, ci vorranno cent’anni per avere querce abbastanza grandi per ricavarne degli alberi...». Replicò Colbert: «Ah, in questo caso… bisogna iniziare subito!».

Perché Dio sa anche dire “raccogli in vista del domani”, quando necessario: a Noè, quando gli affidò di costruire l’arca e di fare provviste (cf. Gn 6, 21), o ancora a Giuseppe, in vista della carestia che stava per abbattersi sull’Egitto dopo sette anni di abbondanza (cf. Gn 41). Anche Nostro Signore non dice forse ai suoi apostoli nell’ora del pericolo, prima del suo arresto: «“Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?”. Risposero: “Nulla”. Ed egli soggiunse: “Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una”» (Lc 22, 35-36)?

Come trovare il giusto mezzo tra l’inquietudine per il domani e la colpevole negligenza, se non nell’abbandono alla volontà di Dio nel presente? È il segreto di Madame Élisabeth, sorella di Luigi XVI, che, nella prigione ch’ella doveva lasciare solo per salire al patibolo, recitava tutte le mattine questa preghiera:

«Cosa mi accadrà oggi, mio Dio? Non lo so. Tutto quello che so, è che non mi accadrà nulla che voi non avete previsto, sistemato e ordinato dall’eternità. Questo mi basta, mio Dio, questo mi basta: adoro i vostri disegni impenetrabili, e mi sottometto con tutto il cuore per vostro amore. Voglio tutto, accetto tutto, tutto vi offro in sacrificio, e unisco questo sacrificio a quello di Gesù Cristo, mio divino Salvatore. Vi chiedo nel suo nome e per i suoi meriti infiniti la pazienza nelle pene e la perfette sottomissione che vi è dovuta per tutto quanto volete e permettete».

Il sacrificio di ogni istante è così offerto in unione a quello del Calvario, dove l’eternità raggiunge il tempo degli uomini. Per questo il presente è il «momento favorevole» (2 Cor 6, 2) dell’incontro con Dio.

(Un Moine bénédictin, Les Ailes de la Colombe. La voie de l’abandon à Dieu, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux, 2015, pp. 111-115)