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terrorismo

Jihad fai-da-te, un'auto sulla folla all’Île d'Oléron

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Almeno dieci feriti nel folle attentato sull’isola francese. I neofiti del radicalismo islamico operano in proprio e con mezzi rudimentali, ma chiamarli “lupi solitari” significa minimizzare il pericolo. L’Isis non ha fatto che soffiare sotto un fuoco già appiccato e vivo nel Paese

Attualità 06_11_2025
(AP Photo/Yohan Bonnet) Associate Press/ LaPresse

Un uomo ha investito con la sua auto la folla sull’isola francese di l'Île d'Oléron, gridando: «Allahu Akbar», nella mattina di mercoledì 5 novembre. Almeno dieci persone nella famosa località turistica, situata al largo della costa atlantica, sono rimaste ferite e tre versano in condizioni critiche in un attentato folle che è durato almeno 30 minuti. L’uomo, 35 anni, con precedenti per microcriminalità, è stato fermato pochi minuti dopo i fatti dalla gendarmerie mentre tentava di dare fuoco al proprio veicolo all’interno del quale sono state ritrovate anche bombole di gas.

Tra i feriti c’è anche la ventiduenne Emma Vallain, assistente parlamentare di Pascal Markowsky, deputato del Rassemblement National di Marine Le Pen. Stella nascente del partito, solo pochi giorni prima aveva preso parte a un dibattito televisivo sull’attuale stallo politico in Francia.
Eric Zemmour, leader del partito Reconquête, ha reagito all’attentato richiamando l’attenzione non solo sulla violenza del gesto per evidenziare la portata simbolica dell’accaduto: «Solo pochi anni fa, luoghi come l'Île d'Oléron erano rifugi per chi desiderava ancora vivere in una Francia incontaminata. Oggi la situazione è tale che stiamo assistendo all’emergere di jihadisti in tutta la Francia».
Parole dure, pronunciate mentre sul Paese cala nuovamente un velo di sgomento. Perché, al di là delle appartenenze politiche, tra la popolazione si leva un solo, amaro commento: «La barbarie ha nuovamente insanguinato il nostro Paese».

Gilles Kepel, politologo, orientalista e accademico francese, specializzato negli studi sul Medio Oriente contemporaneo e sulle comunità musulmane in Occidente, ha provato, già tempo fa, a rispondere a una domanda diffusa e frequente: perché la Francia continua ad essere l’obiettivo privilegiato del terrorismo islamico? Secondo Kepel il messaggio ideologico dell’islam, che impone la lotta contro i “miscredenti” e gli “apostati”, è talmente diffuso che l’Isis, o chi per esso, ha già vinto in partenza. Che venga combattuto o meno, «non c’è più alcuna necessità di ordini o una logistica sofisticata». Infatti, sempre più spesso gli attentati hanno avuto come protagonisti dei radicalizzati, neofiti dell’islam, soggetti slegati da qualsiasi sigla terroristica, costringendo la Francia negli ultimi anni ad essere testimone della minaccia di un terrorismo “endogeno” a cui non riesce  proprio a far fronte. I coltelli, le bombe costruite comprando materiale su internet, armi di piccole dimensioni, le auto, sono stati le armi di attentati jihadisti “fatti in casa” oltralpe. L’Isis non ha fatto che soffiare sotto un fuoco già appiccato e vivo nel Paese. Servendosi, per esempio, di internet e della propaganda costruita con lo streaming degli attentati o delle decapitazioni.

La Francia assiste ad un radicalismo di massa che ha subito certamente un brusco incremento con il sogno della “jihad siriana” (è il Paese che ha fornito il maggior numero di combattenti stranieri e soprattutto di giovani) – già nel 2013 gli specialisti dell’anti-terrorismo ritenevano che le forze dell’ordine non potessero rappresentare la risposta –, ma soprattutto attraverso l’enorme popolazione islamica che ha plagiato, tramite le migliaia di imam, i giovanissimi. Parigi conta una crescita allarmante di minori islamizzati, nuove leve di una propaganda che alimenta una epidemia di violenza che minaccia di diffondersi ben oltre i confini francesi.
La possibilità di radicalizzarsi è offerta dagli imam importati e da quelli che la popolazione musulmana di Francia si cresce in casa da giovanissimi mandandoli però a studiare in Turchia.

Uno dei tanti errori di gestione del terrorismo islamico, in questi anni, è stato anche giudicarli come semplici “lupi solitari” perché ha trasformato gli attentatori in elementi marginali. Come se il solo non essere veri e propri soldati muniti di kalashnikov, sotto lo stendardo dell’Isis o di Al Qaeda, li rendesse meno pericolosi. 
E, invece, proprio l’attentato che ieri ha colpito di nuovo la Francia ci racconta di una modalità che non rappresenta una novità nella storia del terrorismo, bensì l’evoluzione ed il ritorno di una tecnica sempreverde.
I vantaggi del terrorismo veicolare sono molteplici: l’estrema reperibilità e la semplicità d’impiego trasformano mezzi comuni in veri e propri «moltiplicatori di forza», spingendo sempre più verso questa tipologia di attacco.

Già in un numero del 2016 del magazine dell’IsisRumiyah, si trovavano accurate istruzioni per l’impiego di camion come “arma mortale contro i crociati”. «I veicoli sono come coltelli estremamente facili da acquistare, ma diversamente dai coltelli, non fanno sorgere sospetti perché diffusi in tutto il mondo. Per questo sono uno dei metodi più efficaci di attacco e offrono a chiunque sia in grado di guidarli la possibilità di provocare terrore», scriveva così l’Isis mentre suggeriva anche i bersagli contro cui usare le auto: strade affollate, celebrazioni, mercati all’aperto, festival, parate, raduni politici. Il vehicle ramming — lo speronamento o investimento veicolare — trae origine dal battering ram, l’ariete o rostro delle antiche navi da guerra, lo sperone di prora usato per mandare a fondo il nemico. Il ramming, in sé, non è necessariamente un atto kamikaze perché la possibilità di sopravvivenza c’è sempre. Tra i suoi ulteriori vantaggi figurano la facilità d’emulazione, l’economicità, la pressoché nulla necessità di pianificazione, coordinamento e logistica, nonché la drastica riduzione dei rischi legati al traffico, alla produzione e all’approvvigionamento di materiali illeciti.

Jamie Bartlett del think tank britannico Demos sostiene che questo genere di attentati siano particolarmente confacenti ai lupi solitari che, fomentati ed istruiti dalla propaganda sul web, trasformano rabbia e frustrazione in azioni letali individuali, virtualmente impossibili da sventare. Infatti, Anwar al-Awlaki, carismatico radicalizzatore di al-Qaeda invitava, nei primi anni dieci del 2000, a compiere il jihad nei propri Paesi d’origine, senza più recarsi nei teatri bellici o nei campi di addestramento mediorientali. Al-Adnani – uno dei personaggi più importanti dello Stato Islamico, considerato l’ideatore della strategia degli attentati in Europa e in Occidente – sosteneva che per compiere un attentato in Occidente «non c’è bisogno di consultarsi con nessuno; ritenuti tutti infedeli e nemici, qualunque individuo è un bersaglio lecito».

A dieci anni esatti da quel 13 novembre 2015, quando Parigi fu colpita da una serie coordinata di attacchi, in uno dei più gravi attentati terroristici della storia d’Europa che costò la vita a 130 persone e contò oltre 350 feriti, il terrorismo islamico continua a colpire la Francia. Anche se l’Isis non è più la forza di un tempo, e i servizi segreti sono molto più efficaci nel rintracciare e smantellare le reti, l’islamismo si è diffuso ovunque, infiltrandosi finanche nelle scuole, nelle università e nello sport.
Oggi la maggior parte dei terroristi agisce di propria iniziativa, rispondendo a chiamate generali all’azione, con contatti solo online. Basti pensare che a settembre, la rivista settimanale dello Stato Islamico, al-Naba, invitava a «colpite ebrei e cristiani» in Europa per vendicare Gaza.
Coltivare un senso di vittimizzazione è al centro della strategia degli islamisti. Usano i social media e internet per convincere i musulmani europei di essere vittime oppresse. Per i più impressionabili, gli immaturi e coloro che sono in cerca di un’identità, è un messaggio che trova riscontro. 
Il successo più importante in azioni come quella di ieri in Francia resta dimostrare la vulnerabilità dei leader politici occidentali e, per estensione, la debolezza della nostra democrazia.

 



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