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terrorismo

La rivista dello Stato Islamico: «Colpite ebrei e cristiani»

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Dalle pagine di al-Naba una doccia gelata per il centro analisi del terrorismo di Parigi: l'obiettivo è portare il jihad ovunque a partire dalla Francia. Un appello-choc in nome di Gaza che mira dritto al cuore dell'Europa, e non in senso figurato.

Attualità 24_09_2025
CARLO CARINO BY AI MID - imagoeconomica

La rivista settimanale dello Stato Islamico, al-Naba, riemerge con una stoccata brutale: nell’ultimo numero campeggia un appello spietato e senza veli rivolto ai musulmani — «Colpite gli ebrei e i cristiani … uccideteli con ogni mezzo: in macchina, con un coltello, con un’arma da fuoco o appiccando un incendio». Un’esortazione che squarcia ogni cortina retorica e mette a nudo l’obiettivo: diffondere violenza ovunque, con particolare accanimento verso la Francia, il Paese europeo in cui le proteste pro-Palestina sono esplose per prime e proseguono incessanti, tra manifestazioni violente e atti di intimidazione.
L’editoriale d’apertura, intitolato La tragedia di Gaza, arriva come una doccia gelata per il centro analisi del terrorismo di Parigi, e non solo. È una pubblicazione di propaganda che le autorità saranno obbligate a sezionare parola per parola. 

Se la rivista di un’organizzazione terroristica, che non ha mai lasciato niente al caso, ricompare dopo mesi di silenzio sull’offensiva a Gaza, è perché sa che è il momento giusto per innestare certe suggestioni e idee.
L’editoriale è lungo, articolato, corredato dalla fotografia di un bombardamento israeliano. Affronta la «sofferenza dei musulmani a Gaza», sostenendo che «si è aggravata negli ultimi giorni a causa della guerra di distruzione condotta dagli ebrei»: «colpiscono alla cieca con i loro aerei, missili e bombe, senza distinguere tra una casa, una moschea, una scuola o un ospedale. I martiri cadono a decine e centinaia, la maggior parte dei quali donne, bambini e anziani», recita il testo.

La rivendicazione prosegue denigrando «i crociati, gli apostati e gli ipocriti», accusati di aver lanciato «un’escalation mediatica e politica per costringere i musulmani di Palestina ad accettare iniziative di tregua e di pace» che — secondo la rivista — servirebbero soltanto «a salvare gli ebrei dalla minaccia di scomparsa e collasso, dopo i colpi inferti loro dai mujaheddin», in riferimento all’attacco del 7 ottobre. L’editoriale, quindi, non risparmia nemmeno Hamas, liquidata con disprezzo come un «gruppo nazionalista “islamista” che partecipa a questi complotti (e) accetta le leggi anche umane anziché solo quelle divine».
Si va oltre il mero giudizio ideologico: è un atto d’accusa contro ogni tentativo di compromesso, persino fragile e provvisorio, come gli accordi sul rilascio degli ostaggi e i cessate il fuoco che, a intermittenza, emergono.

Un articolo che viene pubblicato proprio nelle stesse ore in cui diversi Paesi occidentali, tra cui la Francia, si preparano a riconoscere simbolicamente lo Stato di Palestina, con l’intento di esercitare pressione su Netanyahu. Un gesto che arriva in un momento paradossale della storia: dal 1948 a oggi, infatti, la prospettiva di una reale nascita di uno Stato palestinese non è mai apparsa tanto remota quanto ora.
Per al-Naba, la soluzione è netta e immutabile: il ritorno al jihad per amore di Allah e il rifiuto dei sistemi miscredenti imposti dal nemico. «Solo così la Palestina sarà liberata e gli ebrei espulsi dalla terra dei musulmani», proclama il testo — una visione in totale rottura con la proposta dei due Stati sostenuta da leader occidentali come Emmanuel Macron.

L’Isis non lascia nulla al caso nel linguaggio: la guerra è presentata come «la tragedia di Gaza» per i musulmani e i caduti sono «martiri» — una parola che nella retorica islamica assume grande valenza. È sulla santificazione del martirio che si sono innestate le letture delle varie organizzazioni terroristiche islamiche del sacrificio: il martire islamico è colui che si uccide per uccidere e diventare testimonianza vivente per conquistare il paradiso di Allah. Il pezzo avalla, poi, una visione in cui le vittime sono inserite in uno schema di oppressione orchestrato da «crociati, apostati e ipocriti»; gli ebrei sono etichettati come «coloni», e qualsiasi cosa si frapponga al jihad è demonizzata come ostacolo alla «vittoria dei musulmani».

L’editoriale si chiude con una chiamata all’azione che non lascia scampo: «O musulmani monoteisti... Colpite gli ebrei e i cristiani, le loro folle e i loro convogli, nelle strade e sulle strade d'America e d'Europa, e soprattutto in Francia. Non risparmiateli, attaccateli, uccideteli con ogni mezzo: in macchina, con un coltello, con un'arma da fuoco o appiccando un incendio», si legge. «Sappiate che ogni infedele che uccidete li fa soffrire più di quanto i nostri attacchi possano fare qui (...) Colpiteli con attacchi solitari come quelli che abbiamo visto prima a Parigi, Bruxelles e in altri luoghi dei paesi crociati».

Il califfato sarà anche caduto sul piano territoriale, ma la sua macchina d’indottrinamento non si è arresa, come abbiamo già avuto modo di raccontare da queste colonne. I seguaci, oggi più dispersi e ibridi, hanno riorientato la guerra verso la rete e Gaza è diventa carburante per la radicalizzazione e la sete di vendetta.
Gli autori si ergono a ritrattisti della quotidianità offesa: discriminazioni a scuola, disparità nei tribunali, umiliazioni negli spazi pubblici — la controversia sul velo già diventata simbolo e detonatore, mentre la sofferenza dei musulmani viene ricondotta a tragedie lontane in Occidente come quella di Gaza. Dal sentirsi oppressi nasce la spinta alla vendetta: è lì che i messaggi più pericolosi si attaccano alle anime fragili.

Uno schema che emerge chiaramente anche dall’editoriale di al-Naba in cui si chiede di colpire la Francia: un appello per i musulmani trasferiti lì. D’altronde, Marc Hecker, ricercatore sul terrorismo, direttore esecutivo di Ifri (Institut français des relations internationales) e ricercatore presso il Security Studies Center, sottolinea il perché la propaganda jihadista dipinga la Francia «come uno Stato in guerra con l’islam»: laicismo e legislazione vengono reinterpretate come «islamofobia istituzionalizzata» e la partecipazione francese alle operazioni in Sahel e Levante è equiparata a una guerra contro i musulmani. Per i gruppi jihadisti, la Francia è un bersaglio tanto simbolico quanto pratico: attacchi grandi o piccoli rientrano in una strategia dei «mille tagli», pensata per dissanguare il tessuto sociale ed ispirare il resto d’Occidente – si tratta del Paese europeo con la più grande popolazione musulmana.

Il reportage di al-Naba non concede semplificazioni: la verità più nitida è che la guerra si combatte anche sulle narrazioni: chi controlla la storia dirige le motivazioni; chi indirizza la rabbia coltiva la disperazione della vendetta. Del resto, il 7 ottobre non ha creato l’odio antisemita in Francia, lo ha scatenato, e ciò ha alimentato tensioni già latenti. 
Oggi, l’Isis ci ricorda ancora che i «soldati» disposti ad immolarsi per la causa jihadista potrebbero contarsi a migliaia in Europa e, in misura particolare, in Francia. Ma soprattutto, l’organizzazione smonta l’equivoco diffuso dai media occidentali che hanno sempre ridotto il «lupo solitario» a un improvvisatore o a un individuo squilibrato: al contrario, questi attori possiedono un valore simbolico enorme, sono spesso manovrati a distanza, privi di strutture cellulari convenzionali, eppure comunque connessi a una vasta macchina del consenso. Incitare a «colpire il cuore d’Europa» in nome di Gaza — con la Francia indicata come bersaglio emblematico — è insieme un atto di guerra e una strategia d’intimidazione mirata a seminare paura e delegittimare le istituzioni.

 



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