Diventa cronica la condizione di sfollato per centinaia di migliaia di profughi e rimpatriati afghani
Il protrarsi dei combattimenti e l’assenza di efficaci interventi governativi rendono sempre più difficile la vita degli sfollati in Afghanistan
Dal 2015 in Afghanistan, in fuga dai Talebani o dall’Isis, più di 1,6 milioni di persone hanno perso casa e lavoro, mezzo milione nel solo 2017, anno in cui, a rendere ancora più difficile la situazione nel paese, quasi 157.000 afghani sono rientrati in patria dal Pakistan, aggiungendosi ai 618.000 già rimpatriati nel 2016. Altre decine di migliaia di persone sono tornate dall’Iran e da altri paesi confinanti. È aumentato sensibilmente anche il flusso dei rientri dall’Europa in seguito alla drastica riduzione delle richieste di asilo accettate nei principali paesi di destinazione degli emigranti afghani. La Germania, ad esempio, nel 2017 ha accolto meno della metà delle richieste di asilo rispetto al 2016. Inoltre in quell’anno è entrato in vigore un accordo in base al quale l’Unione Europea può riportare in patria, anche contro la loro volontà, i richiedenti asilo afghani respinti. Molti emigranti di ritorno non riescono a reinserirsi nelle comunità d’origine e diventano profughi interni: per emigrare in Europa hanno venduto o investito tutto quel che avevano e tornano a casa a mani vuote. Inoltre durante la loro assenza quel che restava dei loro beni spesso è stato danneggiato dai combattimenti oppure è stato rubato. Il perdurare dei conflitti fa sì che la condizione di profugo si protragga nel tempo per centinaia di migliaia di persone. Il ministero afghano per i profughi e i rimpatriati dovrebbe provvedere a loro. Si è parlato di piani per la costruzione di abitazioni sia per i profughi interni che per i rimpatriati. Di fatto solo un quarto circa degli sfollati riceve qualche forma di assistenza. Questo stato di cose sta producendo conseguenze che rischiano di durare per generazioni.