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EMERGENZA COVID

Difesa dei deboli, un punto per il governo Trump

Dopo le decisioni di alcuni Stati federati di limitare l’accesso alle cure in tempo di Coronavirus, l’amministrazione Trump ha emanato un bollettino per ricordare che «alle persone con disabilità non dovrebbero essere negate le cure mediche sulla base di stereotipi, valutazioni della qualità di vita, o giudizi sul “valore”». I gruppi pro vita e i vescovi ringraziano. Un primo passo nella direzione giusta.

Attualità 06_04_2020

Già da diversi giorni, con l’aggravarsi della crisi da Coronavirus, in non pochi Stati degli Usa (sia guidati da democratici che da repubblicani, con prevalenza dei primi) sono state prese controverse decisioni volte a limitare l’accesso alle cure a particolari categorie di persone: soprattutto disabili e anziani. Il motivo addotto, come già riferiva Paolo Gulisano su questo quotidiano, è la scarsità delle attrezzature. Un problema che sta emergendo un po’ in tutto il mondo (Italia inclusa), con risposte diversificate a seconda di chi governa e spesso imbevute, ahinoi, di una mentalità eutanasica.

Di fronte a questa svalutazione della vita fragile, si sono levate diverse proteste da parte di associazioni di disabili e gruppi pro vita americani. E sabato 28 marzo, per quel che le compete nel rapporto con i vari Stati federati, l’amministrazione Trump è intervenuta cercando di mettere una prima pezza a questa situazione. Lo ha fatto attraverso l’Ufficio per i diritti civili (OCR) del Dipartimento della Salute (HHS), pubblicando un bollettino in cui si ricorda alle strutture sanitarie che ricevono fondi federali che non è lecito razionare le cure sulla base dell’esistenza o meno di una disabilità. «In questo momento di emergenza - si legge nel bollettino - il lodevole obiettivo di fornire assistenza in modo rapido ed efficiente deve essere guidato dai fondamentali principi di correttezza, uguaglianza e compassione che animano le nostre leggi sui diritti civili».

Prosegue il documento: «Perciò, alle persone con disabilità non dovrebbero essere negate le cure mediche sulla base di stereotipi, valutazioni della qualità di vita, o giudizi sul “valore” relativo di una persona in base alla presenza o assenza di disabilità». Nel testo governativo si rammentano alcune delle protezioni già esistenti nei confronti dei disabili, come quelle contenute nell’Affordable Care Act (“Obamacare”) e nel Rehabilitation Act.

Sempre il 28 marzo, come riferisce la CNA, in una conferenza telefonica con i giornalisti, il direttore dell’OCR, Roger Severino, ha spiegato che «stiamo facendo tutto il possibile per informare gli operatori sanitari dei loro obblighi previsti dalla legge» e promesso che il bollettino «è il primo passo». Severino ha anche chiarito che le strutture religiose operanti in campo sanitario possono trovare protezione nella legge federale nel caso dovessero sollevare obiezione di coscienza riguardo a nuovi standard imposti nei loro Stati durante l’emergenza. Fanno sperare anche le parole secondo cui «non siamo una società guidata da una sorta di spietato utilitarismo» e che l’obiettivo delle leggi è di proteggere «l’uguale dignità di ogni vita umana». Questa crisi sarà anche un’occasione, negli Usa e altrove, per dimostrarlo.

La presa di posizione del governo è stata elogiata da diversi gruppi pro life. Ed è piaciuta anche alla Conferenza episcopale statunitense, che il 3 aprile ha pubblicato una dichiarazione firmata da tre vescovi con ruoli apicali all’interno della stessa USCCB: Kevin Rhoads (commissione per la dottrina), Joseph Naumann (attività pro vita) e Paul Coakley (giustizia interna e sviluppo umano). I vescovi americani hanno ringraziato i medici e tutti gli operatori sanitari impegnati nella battaglia contro il Covid-19, esortandoli a rimanere saldi nei principi alla base della loro professione, quindi nella salvaguardia di ogni vita. «Principalmente - si legge nella dichiarazione congiunta - il nostro approccio alle risorse limitate deve tenere sempre presente la dignità di ogni persona e il nostro obbligo di prenderci cura dei malati e dei morenti».

Stando ai dati ufficiali, oggi gli Stati Uniti sono il Paese con il più alto numero di contagiati (oltre 300.000). Se c’è stata troppa inerzia nelle settimane in cui il virus si diffondeva nel resto del mondo, ora si cerca di rimediare. Uno dei fronti su cui è impegnata l’amministrazione Trump è comprensibilmente quello di aumentare il numero di respiratori. A tal fine, riferiva Usa Today il 2 aprile, il governo ha stipulato accordi con dieci produttori per avere 5.000 ventilatori aggiuntivi nel giro di trenta giorni e oltre 100.000 in più entro la fine di giugno. Insomma, qualche buon primo passo è stato fatto. Speriamo ne seguano altri.