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LA RIFLESSIONE

Denatalità, se il narcisismo vince sulla riconoscenza

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C’è chi attribuisce il calo delle nascite a un problema fondamentalmente economico, politico o ideologico. Ma c’è una “causa prima” che ha spento il desiderio di diventare genitori ed è una causa prioritariamente di natura psicologica.

Cultura 24_04_2023

Nell’antichità, per due coniugi non avere figli era la sventura più grande. L’assenza di figli, infatti, comportava un sentimento di incompiutezza sul piano personale, di non legittimità del proprio nucleo familiare, di un venir meno nei confronti della società. Si riteneva che una coppia senza figli non fosse benedetta dal Cielo.

In Italia è in atto una “desertificazione” non soltanto del territorio ma anche della popolazione. Ogni anno si generano sempre meno bambini: una tendenza - questa - che non sembra voglia fermarsi e men che mai invertirsi. C’è chi riduce questo fenomeno a un problema economico, chi a un problema essenzialmente politico, chi persino a un problema di natura ideologica.

Certo, un’azione politica a favore della famiglia aiuterebbe forse a contenere il fenomeno, ma non eliminerebbe il problema, poiché il depauperamento del patrimonio umano non riguarda una precisa classe sociale, né è confinato a una specifica regione più o meno ricca di servizi sociali, e neppure è da addebitarsi a particolari movimenti definiti childless o childfree (cioè senza figli). L’aspetto più grave nel nostro Paese non è il record annuale di denatalità bensì l’indifferenza sia sul piano politico sia su quello più generale della società di fronte a una tale perdita. Qualcosa dunque impedirebbe alle famiglie l’opportunità di generare.

L’avere o il non avere un figlio non è il risultato di una decisione presa a tavolino. Un figlio è il frutto di un desiderio, o meglio di una passione. Ora, come dice lo stesso Freud, nulla può la ragione contro la passione. Non ci sono condizioni lavorative ed economiche, non c’è assenza di una legislazione in favore della famiglia, non ci sono discorsi ideologici avversi alla famiglia capaci di soffocare una passione, qualora ci sia, come quella di un figlio.

C’è dunque una “causa prima” che ha spento il desiderio di generare e di diventare genitori, ed è una causa di natura prioritariamente psicologica. Tutte le altre presunte cause sono in realtà “razionalizzazioni”, ossia mere giustificazioni.

La denatalità è un fenomeno del nostro mondo occidentale, di questo preciso periodo storico e, pertanto, di una cultura che si è progressivamente imposta, vale a dire di una cultura in cui prevalgono l’individualismo, il consumismo, l’antagonismo, tre indici che caratterizzano una società narcisistica. Certo il narcisismo nel senso dell’amor proprio è un tratto della personalità non soltanto normale ma augurabile, ma quando l’amor proprio “ristagna” cioè non evolve nell’amore per l’altro (nell’amore oggettuale) si trasforma in un narcisismo che rientra in una delle diagnosi psichiatriche. Si può ragionevolmente comprendere quanto possa essere difficile dichiarare un’intera società affetta da un anomalo narcisismo correndo il rischio dell’impopolarità. Il narciso è in fondo un bambino in un corpo diventato alto e largo, e nessuno più di un bambino è miglior consumatore in una società il cui valore più importante è il consumo.

Ora, il sentimento genitoriale e, di conseguenza, il desiderio di generare un figlio ha la sua fonte psichica nel più profondo sentimento del debito. Si nasce con un senso del credito illimitato e assoluto che dura fino alla morte; questo sentimento può essere soltanto arginato, limitato, contenuto nella misura in cui si sviluppa nell’individuo il sentimento della “riconoscenza”. Con riferimento al problema in questione, il sentimento genitoriale può maturare solamente come espressione di una gratitudine vissuta dai figli nei riguardi della generazione che ha loro trasmesso la vita. Questo debito, infatti, si “estingue” con la trasmissione ad altri di quel che si è ricevuto. Senza la maturazione del sentimento del debito, il bambino, narciso per natura, resta per l’intera sua esistenza con il sentimento del proprio credito nei confronti dei genitori, degli altri, dello “Stato”, della vita, e persino dei propri figli qualora ne avesse “biologicamente”. Incapace di empatia, la personalità narcisistica non è in grado di riconoscersi o di identificarsi in un figlio; al contrario, vedrebbe nei figli dei rivali oppure delle appendici di sé.

Entrare nelle cause che hanno formato questo tipo di società in cui noi tutti viviamo andrebbe oltre le nostre personali competenze, ma sarebbe necessario approfondire questo tema, poiché è “vitale”. Una delle radici che lo hanno nutrito è sicuramente il dissolvimento della figura del padre, colui che impone un limite al desiderio di onnipotenza infantile e colui che trasmette al figlio il desiderio di crescere per essere come lui, ossia padre, e alla figlia a voler vivere insieme con qualcuno che sia padre come lui, in una nuova proposta di vita.

Un’educazione permissiva, indulgente, che non impegna ma che elimina le responsabilità e particolarmente le frustrazioni, ha favorito la formazione di individui sempre più infantili, i quali ignorano la realtà, le sue regole, le sue leggi, soprattutto ignorano gli altri. Forse non tutto è perduto se si iniziasse a ridurre qualche “diritto” e a parlare di qualche “dovere”, aiutando i figli a sopportare un “No!”, cioè una frustrazione, e a rimandare nel tempo la gratificazione di una ricompensa conseguita per un personale sforzo.