Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
GLI STATI GENERALI

Denatalità: cure blande senza domande sulle cause

Ascolta la versione audio dell'articolo

Gli Stati generali della Natalità inquadrano la malattia, la denatalità, ma le cure sono ancora insufficienti. E si ignorano le cause dell'inverno demografico che hanno a che fare anche con la promozione di aborto, divorzio e contraccezione. Inutile invogliare i giovani a fare figli se la prospettiva che hanno davanti è quella della povertà cui vanno incontro le famiglie numerose. 

Famiglia 13_05_2023

In medicina, la Patologia è la scienza che studia le cause delle malattie per poi trovare la cura. Agli Stati Generali della Natalità che si sono chiusi ieri con la presenza di Papa Francesco e del presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è parlato della malattia che attanaglia il Paese, la denatalità, ma si sono proposte cure blande, per lo più incentrate sull'accesso della donna nel mondo del lavoro e sull'implementazione dei nidi e di misure esistenti.

E ancora più blanda, se non inesistente, è stata la ricerca delle cause che hanno portato l’Italia ad essere uno dei Paesi europei con il più basso tasso di figli per donna, con drammatiche previsioni sulla perdita di Pil da qui a 20 anni che il ministro dell’Economia ha stimato in 18 punti in meno. Impossibile trovare tra le cause divorzio, aborto, contraccezione, relazioni provvisorie e promiscue, nichilismo, individualismo, narcisismo. Eppure, ognuno di questi fattori è un tumore che è cresciuto negli anni fino a rendere l’albero della vita sempre più spoglio di rami.

Non è un caso che Papa Francesco nel suo discorso abbia spronato ad uscire dalla mancanza di speranza e dall’infelicità che sono indicatori del fatto che non si fanno più figli. Che cosa, o meglio, chi, dia speranza e felicità per intraprendere la grande avventura della vita forse sarebbe stato meglio ribadirlo.   

Che fosse una passerella per politici, aziende e personaggi in cerca d’autore lo avevamo temuto fin da subito e le previsioni si sono purtroppo confermate.

Per carità, meriti ce ne sono e vanno sottolineati, ma l’impressione è che tra i tanti membri del governo non ci fosse la benché minima idea di come fare a risollevare le sorti e a darsi l’obiettivo di raggiungere la quota di 500mila neonati all’anno entro il 2033, come richiesto nel claim proposto dal dominus degli “stati generali” Gigi De Palo, per il semplice motivo che nessuno ha ancora avuto il coraggio di individuare le cause che hanno spopolato il Paese.

Ma anche perché da parte del governo non si sa ancora bene che strada perseguire. Quoziente famigliare? Non pervenuto; Fattore famiglia? Chi lo ha visto? Fisco, detrazioni o c’è altro? Modello di Paese da seguire? Neanche a parlarne, eppure dalla Polonia alla Francia, dalla Germania alla Romania, come ha mostrato il past president Istat Giancarlo Blangiardo, qualcosa si muove e fa sperare perché, là, il raggiungimento dei 2 figli per donna è perseguibile. Tutti i Paesi che sono in crescita demografica hanno avviato dei piani ambiziosi e hanno investito risorse. L’Italia, invece, scende inesorabilmente anche perché non ha trovato una ricetta su cui credere nell’arco di un decennio almeno.

Ma soprattutto nessuno ha affrontato l’annoso problema di ciò che manca allo Stato per fare la sua parte nella complessa partita dell’inversione dell’inverno demografico, che ha una miscellanea di fattori e cause: i soldi per sostenere le famiglie già formate e i soldi per quelle in formazione. Ci vorrebbero molti di più dei 15 miliardi che ogni anno lo Stato mette per l’Assegno unico, ma il tema è rimasto silente anche nell’intervento del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, dal quale ci si aspettava qualche cosa di più dopo le parole sullo choc delle scorse settimane, che avevano fatto ben sperare.

Almeno, un merito che va riconosciuto a Giorgetti, in collegamento con l’Auditorium della Conciliazione dal Giappone, è stato quello di affermare che la partita della Natalità si gioca nella riforma del sistema previdenziale e nel MEF, il ministero che guida. Dopo anni di ministri della famiglia col cappello in mano e senza portafoglio, è un passo in avanti e va promosso.  

Non che con l’opposizione sia andata meglio, anzi; da Elly Schlein in giù è stato tutto un profluvio di paroloni a collaborare, di opportunità, di asili nido (deve essere un’ossessione, ma dei diritti della madre a stare a casa in congedo prolungato a fare la mamma non se ne può mai parlare?). In politica se le opposizioni collaborano è perché su certi temi o non ci credono o non costa granché. L’impressione è che la natalità sia ormai diventato un tema pop, argomento buono per tutte le stagioni: tutti ne parlano, ma in fondo non compromette davvero nessuno finché non diventerà impegnativo - e imperativo per ragioni di sopravvivenza - e finché resteranno inesplorate le cause che l’hanno provocata. Un'operazione  che costringerebbe tutti a un bagno di realtà e di umiltà.

Qualche felice mossa c’è stata. Matteo Salvini, ad esempio, ha mostrato di essere perfettamente a conoscenza della situazione quando ha parlato delle politiche ungheresi. Fra i politici invitati, a parte il ministro titolare, il leader leghista è quello che è parso maggiormente a suo agio nell’elencazione delle straordinarie possibilità di rilancio Paese che potrebbe dare una politica famigliare di sistema.

E la ministra per le politiche famigliari Eugenia Roccella, è parsa maggiormente convincente quando ha spiegato che il governo sta introducendo in ogni misura che affronta, un meccanismo di preferenzialitá familiare, cioè un criterio di famiglia, che è trasversale nei vari provvedimenti. Lo si è visto infatti sul bonus sociale bollette, sull’accesso al nuovo Superbonus, sulla riforma fiscale e da ultimo sulla detassazione dei fringe benefit, riservati ai dipendenti con figli a carico. Questo è molto positivo perché da un lato afferma il principio del favor familiae in tutte le politiche – fiscali, di welfare, di bonus – dall’altro contribuisce a edificare una politica strutturale che fino ad oggi è mancata nell’architrave dello Stato, che l’ha relegata solo all’assistenzialismo di Stato.

Non si capisce bene il coinvolgimento di aziende, alcune anche multinazionali, e di banche nei vari panel di lavoro se non per vaghi e generici riferimenti al benessere delle mamme e dei papà nelle aziende. Da una banca, in un contesto del genere, ti aspetteresti qualcosa di rivoluzionario, come ad esempio il calcolo della rata del mutuo casa sulla base dei carichi famigliari. È una provocazione, ma fino ad un certo punto, sarebbe davvero uno choc.

Dicevamo delle cause. Di quelle si preferisce non parlare. Perché si dovrebbe affrontare il corto circuito di una politica che si lamenta delle culle vuote, ma promuove, difende e incentiva l’aborto; di governi che regalano la contraccezione ordinaria e d’emergenza mentre allargano le braccia sul fatto che in Italia manca una cultura della famiglia; di leader di partito che ormai non si sognano nemmeno di mettere in discussione la facilità di accesso al divorzio e che girandosi dall’altra parte si stupiscono che nessuno più metta su famiglia e che i conviventi abbiano superato gli sposati. La Natalità è anche una scommessa di stabilità, di amore, di speranza nella coppia e nel futuro: se si fanno leggi come l’ultima sul divorzio sprint – che nessuno nel governo si guarda bene dal mettere in discussione – come stupirsi poi se i giovani scelgono di non sposarsi o di sposarsi tardi, quando l’orologio biologico segna la sua ora?

C’è, insomma, molto conformismo anche sulla partita della Natalità, accanto a molti tabù. Nella due giorni non è risuonato come dovrebbe il grido d’allarme delle associazioni famigliari sulla povertà delle famiglie con figli, soprattutto quelle numerose. Povertà, parola che spesso fa comodo, ma che la politica fatica a vedere nelle nuove categorie sociali in cui si manifesta. Oggi fare tre, quattro o più figli espone le coppie alla povertà, cioè a fare i conti con una situazione che non avevano preventivato quando hanno deciso di aprirsi alla vita. E sono coloro che pagano il conto più salato della crisi come possono testimoniare il Forum delle associazioni famigliari e l’Associazione Famiglie Numerose.

Questa è la fotografia che è stata tenuta nel cassetto e che non è stata mostrata. D’altra parte, se devi invogliare i giovani a fare figli, mostrare la prospettiva della povertà a cui vanno incontro le famiglie non è un grande incentivo. Eppure, il problema oggi è lì.