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DI MAIO E NON SOLO

Democrazia nei partiti, questa sconosciuta

La designazione di Di Maio a candidato premier del M5S è avvenuta in modo non democratico. Ma chi ascolta i suoi elettori e militanti scagli la prima pietra: nessun partito è democratico al suo interno.

Politica 20_09_2017
Grillo e Di Maio

La designazione di Luigi Di Maio a candidato premier per il Movimento Cinque Stelle ha scatenato le critiche, anche sarcastiche, di quasi tutti i cronisti politici e di molti osservatori delle vicende del Palazzo. Perfino Marco Travaglio e il Fatto Quotidiano hanno preso le distanze dalla scelta, definita “coreana”, di non contrapporre a Di Maio altri veri candidati, se non modesti e semisconosciuti rappresentanti del Movimento, che non potrebbero ostacolare in alcun modo la corsa del rampante vicepresidente della Camera.

Dunque nel week-end Di Maio verrà acclamato a Rimini candidato alla Presidenza del Consiglio per il Movimento Cinque Stelle e, a seguito della modifica dello Statuto appena approvato, assumerà di fatto i pieni poteri sul mondo pentastellato, relegando lo stesso Grillo ad un ruolo più che altro simbolico e onorario.

La procedura è alquanto discutibile, tanto che c’è un’ala di pentastellati duri e puri, che fa capo al Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Roberto Fico, che non ha nascosto i suoi malumori, sia per la mancanza di veri competitor che potessero rendere più avvincente la sfida, sia per l’attribuzione di pieni poteri a Di Maio.

Ma se il funzionamento della selezione della classe dirigente nel Movimento Cinque Stelle alimenta dubbi circa la sua democraticità, va detto, con altrettanta obiettività, che negli altri partiti la situazione non è migliore, anzi.

L’accanimento mediatico di queste ore contro l’incoronazione annunciata del vicepresidente della Camera a candidato premier pentastellato appare francamente eccessiva. Per una serie di ragioni che si possono agevolmente evidenziare.

La prima è che in ogni caso Di Maio da tempo era il candidato “in pectore”, è la personalità più rappresentativa del Movimento dopo Grillo e il figlio di Casaleggio, ricopre il prestigioso incarico di vicepresidente della Camera, ha ricevuto un mandato popolare in quanto parlamentare e gira in lungo e in largo l’Italia, anche la Sicilia ultimamente, in vista delle regionali, per fare campagna elettorale e veicolare le idee del Movimento sul territorio. E’ un politico a tutto tondo e gode di un consenso assai ampio, come testimoniano i sondaggi.

La seconda, collegata alla prima, è che neppure gli altri partiti, di centrodestra e di centrosinistra, hanno brillato affatto per spirito democratico. Forza Italia non ha quasi mai celebrato congressi nazionali, è un partito che si regge fin dalle origini sulla figura carismatica di Silvio Berlusconi e probabilmente imploderebbe senza il suo fondatore. Il candidato premier di quella coalizione è naturalmente lui, nonostante non sia in questo momento candidabile e abbia la veneranda età di 81 anni. Nonostante le rivendicazioni di Salvini e Meloni, il baricentro di quella coalizione rimane il berlusconismo, che si è contraddistinto per una selezione alquanto discutibile della sua classe dirigente. Senza la trascinante forza elettorale di Berlusconi, moltissimi attuali parlamentari azzurri non sarebbero mai arrivati né a Montecitorio né a Palazzo Madama, e dunque la loro rappresentatività è alquanto dubbia. Ove Berlusconi, per l’impossibilità giuridica di ricoprire l’incarico di premier o per altri motivi decidesse di fare un passo indietro, indicherebbe un suo successore come candidato premier e c’è da scommettere che la sua designazione non sarebbe più democratica di quella che nel week-end riguarderà Luigi Di Maio.

Nel Pd lo Statuto prevede che il candidato premier sia il segretario, ma il doppio incarico alimenta i mugugni degli antirenziani che vorrebbero una gestione più collegiale del partito e puntano a candidare a Palazzo Chigi l’attuale premier, Paolo Gentiloni. Peraltro Matteo Renzi è arrivato alla Presidenza del Consiglio nel 2014 senza una legittimazione popolare, non essendo neppure parlamentare, e ora, anche se non è più premier, continua a tentare di condizionare la vita politica del Paese.

Senza dimenticare che anche altri premier di questa legislatura e della precedente, Letta in questa, Monti nella precedente, sono stati calati dall’alto con trame oscure di natura tecnocratica, estranee ai meccanismi della democrazia rappresentativa.

Se, dunque, da tempo in Italia i premier non li scelgono i partiti ma i poteri forti o i centri di potere internazionale, non si capisce perché ci si debba scandalizzare di fronte all’imminente investitura di Di Maio. Se si pensa che Renzi, Berlusconi, D’Alema, Prodi, Letta non sono parlamentari eppure continuano a dominare la scena politica del nostro Paese, appare certamente meno criticabile che un Movimento mai stato al governo indichi il suo candidato premier quasi per acclamazione. L’importante è che quel Movimento abbia un legame con la sua gente e i suoi elettori, cosa che peraltro continua ad emergere nitidamente dai sondaggi riguardanti i Cinque Stelle.